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Le Altre Iliadi

Oltre al racconto insuperabile di Omero, altri testi di straordinario interesse hanno descritto la vicenda di Troia 

 

Dione Crisostomo

Il Discorso Troiano (passim)

A cura di Francesco Chiappinelli

 

Dione di Prusa visse tra I e II secolo d.C., conobbe le ristrettezze dell’esilio inflittogli da Domiziano e il successo e gli onori sotto Traiano e Adriano. Il genere letterario che lo rese famoso è l’oratoria epidittica, l’unica che potesse prosperare ai tempi dell’impero, e l’ammirazione che egli suscitò fu tale che i contemporanei gli diedero l’appellativo di Crisostomo, che tradurremmo con il nostro Boccadoro. Molte delle sue orazioni propongono all’uditorio tesi peregrine, come era necessario per dimostrare la propria valentia, e non si deve dedurne che le idee vigorosamente sostenute siano effettivamente dell’oratore che le esprime. E’ forse questo proprio il caso del suo Troico, in cui sostiene la tesi paradossale che la guerra di Troia sarebbe andata in modo totalmente diverso da come la descrive Omero nell’Iliade: a vincere sarebbero stati i Troiani, Ettore avrebbe ucciso Achille e via di questo passo…La verità sul conflitto gli sarebbe stata raccontata da un sacerdote egiziano, secondo un espediente letterario proprio di origine omerica! Noi diamo qui una traduzione antologica, limitata ai passi per così dire antiomerici, i più idonei a dimostrare l’abilità oratoria.

 

 

…Ora io (riferirò i fatti) così come li venni a sapere a Onufi da uno dei sacerdoti egiziani molto vecchio, che per molti altri motivi derideva i Greci, in quanto ignari della verità su moltissimi argomenti, ma si avvaleva soprattutto di questo argomento, che essi sono convinti che Troia sia stata conquistata da Agamennone e che Elena, pur essendo sposata a Menelao, si innamorò di Alessandro. E di questi fatti essi, ingannati da un solo uomo, sono così convinti che ciascuno vi giurerebbe persino sopra.

38. Diceva che tutta la storia precedente si trovava scritta presso di loro, parte nei templi, parte su stele; che certi fatti erano ricordati soltanto da pochi perchè le stele erano andate in rovina,ma che molti fatti tra quelli scritti sulle stele erano anche ignorati per l'ignoranza e l'incuria dei posteri; e che tra i fatti più recenti c’erano anche le vicende di Troia, giacché Menelao giunse in Egitto e raccontò loro tutti i fatti così come si svolsero. 39. Pregandolo io allora di narrarmeli, dapprima rifiutava, dicendo che i Greci sono arroganti e si reputano dottissimi sebbene siano ignorantissimi; e sia per uno singolo sia per molti nessun male è più grave del reputarsi sapientissimo, essendo invece ignorante: uomini siffatti non possono giammai essere liberati dall'ignoranza.

40. "E, diceva, in base a queste cose vi comportate in modo così ridicolo  da dire che un altro poeta convinto da Omero e che ave scritto tutte le stesse cose riguardo a Elena, Stesicoro, come credo, fu da Elena accecato come calunniatore, ma riacquistò la vista scrivendo il contrario. E pur dicendo queste cose, nondimeno i Greci sostengono che la poesia di Omero sia veritiera.

41. E sentendo che Stesicoro nel carme successivo asserisce che Elena non navigò proprio per alcun dove; che altri invece dicono che Elena fu rapita da Alessandro, e giunse qui da noi, in Egitto. E sebbene il fatto sia così problematico e avvolto da grande incertezza, neppure di fronte a questo sono capaci di sospettare l'inganno”.

43… Narrava infatti che a Sparta viveva Tindaro, uomo saggio e re potentissimo, e che da lui e da Leda nacquero due figlie, nomate proprio Clitemnestra ed Elena, come noi le chiamiamo, e due figli maschi gemelli, belli, prestanti e di gran lunga i migliori tra i Greci.

44. Elena era famosa per la sua bellezza, ebbe molti pretendenti fin da tenera età, e fu rapita da Teseo, re di Atene. I fratelli di Elena immantinente marciarono contro il regno di Teseo, devastarono la città e ricondussero in patria la sorella. Trascinarono prigioniera la madre di Teseo, su di lei prendendo vendetta del ratto di Elena, mentre lasciarono andare le altre donne che avevano catturate. Erano infatti capaci di guerreggiare contro l'intera Ellade e l'avrebbero facilmente sottomessa, solo che l'avessero voluto...

46. Il sacerdote continuò il suo racconto dicendo che, dopo questi avvenimenti, Agamennone, poiché temeva i figli di Tindaro (ben sapeva infatti che esercitava sì il potere in Argo, ma era pur sempre un signore straniero e venuto da fuori), volle guadagnarsi la loro amicizia imparentandosi con loro, e perciò prese in moglie Clitemnestra. Quanto ad Elena, voleva darla in moglie al fratello, ma nessuno dei Greci voleva concederglielo, giacché ciascuno di loro affermava di avere maggiore affinità di stirpe con lei che non Menelao, che era figlio di Pelope. Vennero anche da paesi stranieri molti pretendenti attratti dalla fama della sua bellezza e dalla potenza dei fratelli e del padre…

48…“Pertanto - narrava il sacerdote - essendo consuetudine che le persone più illustri, anche quelle abitanti in paesi molto distanti, si scambiassero le donne fra di loro, dandole e prendendole come mogli, anche Alessandro venne per chiedere Elena in sposa, confidando nella potenza del padre, che regnava su quasi tutta l'Asia, tanto più che Troia non era molto distante, e per giunta i Pelopidi regnavano già in Grecia, e si erano stabiliti stretti rapporti tra i due paesi.

49. Venuto con molte ricchezze e con gran pompa, come si addice a chi viene a prendere moglie, e splendido di bellezza, Alessandro entrò in trattative con Tindaro e con i fratelli di Elena, magnificando l'impero di Priamo, la sua straordinaria ricchezza e tutto il resto della sua potenza, e aggiungendo che il regno sarebbe stato suo. Diceva che Menelao era un semplice suddito, giacché la successione al trono spettava ai figli di Agamennone e non a lui. Dichiarava altresì di essere devoto degli dèi e che Afrodite gli aveva promesso il più brillante matrimonio del mondo; ed egli aveva prescelto la figlia di Tindaro, pur potendo prendere in sposa una principessa d'Asia, se così gli fosse piaciuto, o la figlia del re d'Egitto o del re dell'India.

50. Diceva che egli dominava su tutte le altre genti da Troia fino all'Etiopia; ed infatti sugli Etiopi regnava suo cugino Memnone, figlio di Titono, fratello di Priamo. Aggiungeva molti altri argomenti persuasivi, e a Leda e agli altri parenti offriva doni, quanti nemmeno i Greci tutti insieme avrebbero potuto. Diceva di essere anche parente di Elena, in quanto Priamo discendeva da Zeus e sentiva dire che sia i Dioscuri sia la sorella erano figli di Zeus. Ad Agamennone e a Menelao non conveniva avanzare riserva sulla sua patria, perché erano anche essi Frigi, originari della città di Sipilo. Faceva presente ai Tindaridi che a loro conveniva imparentarsi piuttosto con i re dell'Asia che non con fuggiaschi scacciati da quel paese. E difatti anche Laomedonte aveva dato in sposa sua figlia Esione a Telamone, che era venuto insieme con Eracle a Troia per chiedere la sua mano, e aveva condotto con sé anche Eracle, amico e ospite di Laomedonte.

51. Di fronte a queste argomentazioni Tindaro tenne consiglio con i figli e dopo matura riflessione parve loro che imparentarsi con i re dell'Asia non fosse il peggior partito. Infatti la casa dei Pelopidi aveva già Clitemnestra a seguito del suo matrimonio con Agamennone; se, inoltre, si fossero imparentati con Priamo, avrebbero controllato anche la politica dell'Asia e nessuno avrebbe impedito loro di esercitare il dominio sull'Asia e sull'Europa tutta. A questi piani si opponeva invece Agamennone, ma cedette alle buone ragioni che gli furono contrapposte.

52. Diceva infatti Tindaro che ad Agamennone poteva bastare il legame di parentela che aveva stretto, e al tempo stesso gli fece comprendere che non era nel suo interesse che il fratello ottenesse una sorte pari alla sua, giacché in questo modo avrebbe potuto più facilmente tramare contro di lui; ed infatti nemmeno Tieste si era comportato come un fratello affettuoso con Atreo. Ma soprattutto riuscì a persuaderlo facendo presente che gli altri pretendenti greci, Diomede, Antiloco, Achille, rimasti soccombenti, non avrebbero accettato Menelao come sposo di Elena, ma gli avrebbero mosso guerra. E proseguiva dicendo che avrebbe rischiato di rendersi nemici i più potenti dei Greci.

53. Pertanto era meglio non dar occasione a guerre e divisioni fra i Greci. Agamennone cedette a malincuore; d'altra parte non aveva come contrastare Tindaro, essendo questi padrone di sua figlia; al tempo stesso Agamennone temeva i suoi figli. In tal modo Alessandro prese in moglie Elena regolarmente con il consenso dei genitori e dei fratelli, e la condusse a Troia pieno di trasporto e di gioia; e Priamo, Ettore e tutti gli altri mostrarono il loro compiacimento per questo matrimonio e accolsero Elena con sacrifici e voti.”

54. “Considera dunque, diceva il sacerdote, quanto sia stolto il discorso opposto. In primo luogo ti sembra possibile che uno si innamori di una donna, che non ha mai visto? ed in secondo luogo che la persuada a seguire uno straniero, abbandonando il marito, la patria e tutti i congiunti, ed essendo, per di più, come io vado considerando, già madre di una figlioletta? Per questa assurdità hanno inventato la favola relativa ad Afrodite, ancora più incongruente di tutto questo.

55. Se Alessandro progettò di rapirla, come glielo permise suo padre, che non era uno stupido, ma aveva fama di essere uomo molto saggio? come glielo permise la madre? Come può essere credibile che Ettore da principio gli consentisse di dare esecuzione a questi disegni, e che successivamente gli rimproverasse e gli rinfacciasse il ratto, come narra Omero? Il poeta infatti così dice: "Paride, indegno del tuo nome, bellissimo all'aspetto, matto di donne, vile seduttore,| che mai nato tu fossi e senza nozze morto.| Non ti aiuteranno la cetra e i doni di Afrodite| né la tua chioma e la tua bellezza quando rotolerai nella polvere".

56. Come mai Eleno, che pur era indovino, e con lui Cassandra dotata di spirito divino, e oltre a questi Antenore, che aveva fama di saggio, non gli predissero le future calamità, ma soltanto dopo si indignarono e lo rimproverarono a cose fatte? Eppure essi ben potevano impedirgli di andare in Grecia. Se vuoi conoscere il colmo della stravaganza e come le menzogne si elidano l'un l'altra, considera questo: i Greci dicono che pochi anni prima Eracle aveva devastato la città di Troia per un futile motivo, ossia perché si era adirato a motivo dei cavalli, in quanto Laomedonte, dopo avergli promesso che glieli avrebbe dati, venne meno ai patti.

57. Ed io ricordo anche i versi, nei quali Omero dice queste cose: "Eracle che, giunto qui una volta per i cavalli di Laomedonte,| con sole sei navi e con uomini meno numerosi dei Troiani,| distrusse la città di Ilio, e ne rese deserte le vie". Orbene, disse, neppure in questo dicono il vero. Infatti come in sì poco tempo una città, conquistata in tal modo e ridotta alla desolazione, poté prendere così grande sviluppo da diventare la più potente fra tutte le città dell'Asia ? E come Eracle poté conquistare con sei navi soltanto una città, da molto tempo inviolata, mentre gli Achei, venuti con mille e duecento navi, non poterono espugnarla ? O come mai Eracle permise a Priamo di regnare, dopo averne ucciso il padre, che egli considerava il suo più fiero nemico, e non scelse invece alcun altro come sovrano del paese?

58. Se dunque i Greci così in certo modo presentano i fatti, come mai i Troiani e Priamo non paventarono l'inimicizia con i Greci, sapendo che anche precedentemente erano stati annientati e sterminati, pur non avendo commesso un così grande fallo, e per giunta serbando molti la memoria della precedente conquista? Possibile che nessuno di loro non facesse alcuna di queste riflessioni, né trattenesse Alessandro? In che modo mai, una volta giunto in Grecia, Paride poté intrattenersi con Elena e parlarle e alla fine convincerla, senza che si preoccupasse dei genitori, della patria, del marito o della figlia, della sua buona reputazione tra i Greci, e per di più senza temere i fratelli ancora vivi, che prima l’avevano strappata a Teseo e non avevano tollerato il suo ratto?

59. Per un verso, come mai Menelao, pur presente, non si accorse di questa tresca ? Per altro verso, ammesso che il marito si fosse allontanato, come è credibile che una donna entrasse in intimità con uno straniero? E per altro verso ancora, come è credibile che nessuno degli altri si accorgesse del maneggio, o che, pur accortosene, lo tenesse nascosto ed inoltre che Etra, madre di Teseo, sua schiava, salpasse con Elena? Evidentemente non bastava ad Etra, che era la figlia di Pitteo, essere schiava a Sparta, ma decise di seguirla anche a Troia.

60. Alessandro, d'altra parte, compì la sua opera senza tema alcuna e con tanta facilità che non gli bastò portar via a Menelao la sposa, ma per giunta si impadronì anche delle ricchezze. Ed è mai credibile che non lo inseguisse nessuno, né della gente di Menelao, né di Tindaro, e nemmeno i fratelli di Elena, tanto più che vi erano navi in Laconia, ed inoltre che nessuno li inseguisse ancora prima, quando essi scendevano a piedi da Sparta verso il mare, considerato che la notizia del ratto, come è verisimile, si sia subito divulgata ? Non era possibile che Elena andasse via in questa maniera con Alessandro, ma solo dopo aver contratto matrimonio con il consenso dei suoi familiari.

61. Solo in questo caso infatti non sarebbe stato assurdo che Etra partisse con lei e che fossero portate vie le ricchezze. Nessuna di queste circostanze è indizio di ratto, ma molto più di legittimo matrimonio.” “E dopo che, come ho detto, Alessandro la prese in moglie e partì con lei, Menelao era corrucciato per il fallimento delle sue profferte matrimoniali e incolpava il fratello, e diceva di essere stato da lui tradito;

62. Agamennone dal canto suo non tanto si curava di lui, quanto temeva Alessandro e sospettava che potesse aspirare al dominio della Grecia, al quale il suo matrimonio gli dava diritto. E così radunò gli altri pretendenti di Elena e disse che tutti loro erano stati ingiurati e la Grecia vilipesa e che la migliore donna di Grecia se ne era andata sposa tra i barbari, come se quasi nessuno di loro fosse stato degno di lei.

63. Con queste parole, Agamennone giustificava Tindaro e spingeva a perdonarlo, considerato che si era lasciato sedurre da doni; riversò la colpa di tutto su Alessandro e Priamo. Incitava a marciare uniti contro Troia, affermando che egli aveva la ferma speranza che avrebbero conquistato Troia, se tutti insieme si fossero uniti nella spedizione. Se questo evento si fosse realizzato, si sarebbero impadroniti di molte ricchezze e avrebbero conquistato il dominio di una terra opulentisssima, poiché la città era la più ricca fra tutte e gli uomini erano infiacchiti dalle mollezze del vivere; d'altra parte aveva inoltre molti parenti in Asia, i discendenti di Pelope, i quali lo avrebbero adiuvato, in odio a Priamo.

64. Udendo questi discorsi, alcuni si adiravano e pensavano che l'accaduto fosse veramente un'ignominia per la Grecia, altri speravano di trarre vantaggio dalla spedizione; era opinione diffusa che le risorse dell'Asia fossero grandi e straordinaria la sua ricchezza. Se fossero rimasti soccombenti di fronte alla richiesta avanzata da Menelao di avere in moglie Elena, non se ne sarebbero adontati, ma, al contrario, si sarebbero compiaciuti con lui; ora, invece, tutti odiavano Alessandro, ciascuno ritenendo di essere stato personalmente defraudato delle nozze. Così, avvenuta la spedizione, Agamennone mandò dei messi a richiedere Elena, adducendo a motivo che ella, in quanto greca, dovesse sposare uno dei Greci.

65. All'udire queste richieste, i Troiani e Priamo si infuriarono, e più di tutti Ettore, perché i Greci osavano tenere un discorso così spudorato, quando Alessandro l'aveva ottenuta in moglie legittimamente dal padre ed Elena era consenziente a vivere con lui. Risposero che essi comprendevano chiaramente che i Greci cercavano un pretesto di guerra; ma essi dal canto loro non avrebbero dato inizio alla guerra, pur essendo più forti, ma si sarebbero difesi contro chi li avesse attaccati. E i Troiani ebbero a sostenere una lunga guerra ed a soffrire molti mali - non quanti però ne racconta Omero, pur se la loro terra fu devastata e perirono molti uomini - proprio poiché sapevano che gli Achei erano nel torto e Alessandro non aveva fatto niente di male.

66. In caso contrario, questi mali chi avrebbe sopportato fra i Troiani, sia che fossero i fratelli di Alessandro, sia che fosse il padre, sia che fossero gli altri cittadini, sui quali incombeva la morte? Infatti su tutti incombeva, dal momento che la città correva il rischio di essere distrutta dalle fondamenta per il crimine di Alessandro, pur essendo invece possibile salvarsi, restituendo Elena. I Troiani anche in seguito, come si narra, dopo la morte di Alessandro, la ritennero con loro e la diedero in sposa a Deifobo, in quanto pensavano di avere in città un grandissimo bene e temevano di perderlo.

67. Quanto ad Elena, se prima era rimasta a Troia per amore di Alessandro, come mai avrebbe voluto ancora rimanervi, a meno di non dire che ella si fosse innamorata anche di Deifobo? Secondo ogni verosimiglianza ella avrebbe convinto i Troiani a restituirla, dal momento che essi erano già inclini a farlo. Se poi Elena aveva paura degli Achei, sarebbe stato necessario trovare prima un accordo; e questi volentieri si sarebbero liberati della guerra, dal momento che erano morti moltissimi e valenti uomini. Infatti non era vera la storia del ratto né i Troiani avevano dato cagione alla guerra, per cui erano speranzosi di vincere. Gli uomini infatti, quando sono ingiustamente attaccati, persistono a difendersi fino all'ultimo.

68. Ritieni dunque che questi fatti non sono andati diversamente da come io ti racconto. Giacché è ben più credibile che Tindaro di sua iniziativa volesse imparentarsi con i re dell'Asia, che Menelao mal sopportasse la sua sconfitta come pretendente, e che Agamennone avesse paura dei Priamidi, che non divenissero signori della Grecia, giacché egli conosceva la tradizione secondo cui Pelope, suo progenitore, originario dello stesso paese, era diventato signore del Peloponneso per essersi imparentato con Enomao; che gli altri principi si unissero a lui nella guerra, fremendo di sdegno ciascuno di loro per il mancato matrimonio; tutto ciò è ben più credibile della versione, la quale narra che Alessandro si innamorasse di una donna che non conosceva, e che il padre gli permettesse di imbarcarsi per compiere un'azione di tal genere, e per giunta dopo che Troia, come si narra, era stata conquistata dai Greci non molto tempo prima e suo padre Laomedonte era stato ucciso;

69. che in seguito i Troiani, malgrado la guerra e i mali così atroci che soffrivano, non volessero restituirla né quando era ancora vivo Alessandro né dopo la sua morte, pur non avendo alcuna speranza di salvezza; che Elena si innamorasse di uno straniero, col quale non è affatto verosimile che ella potesse entrare in intimità, e vergognosamente abbandonasse patria, congiunti, marito, per andare tra uomini che la odiavano; che nessuno impedisse che tutto questo accadesse, che nessuno li inseguisse né durante il tragitto fino al mare, fatto per giunta a piedi, né mentre si allontanava sulla nave e che anche la madre di Teseo, pur essendo avanzata in età e odiando manifestamente Elena, si imbarcasse con lei;

70. che successivamente, dopo la morte di Alessandro, che Elena, come si narra, amava, si unisse a Deifobo, quasi che Afrodite, a quel che penso, l'avesse promessa anche a lui, e che né lei volesse ritornare da suo marito né i Troiani contro la loro volontà acconsentissero a restituirla, se non dopo la conquista della città. Di tutto ciò niente è verisimile né possibile. Ma a quel che si è già detto, si aggiunge anche questa considerazione. Omero narra che tutti gli altri Achei, che erano meno interessati, presero parte alla spedizione, mentre soltanto Castore e Polluce, che pure erano quelli maggiormente offesi, non partirono.

71. Omero, volendo coprire questa loro mancanza, ha fatto esprimere a Elena la sua meraviglia; e poi egli stesso li difese dicendo che erano morti già prima. Orbene è evidente che Elena fu rapita quando erano ancora vivi. Dopo il ratto attesero che Agamennone perdesse dieci anni a radunare l'armata, non salvarono immediatamente la sorella, specialmente se essi fossero accorsi già durante la navigazione; se poi decisero, progettarono di muover guerra con un proprio esercito:

72. ma essi non mossero subito contro Teseo, che pur era un uomo greco e più valente fra tutti, e per di più condottiero di molti uomini, compagno di Eracle e di Piritoo, aiutato dalle forze dei Tessali e dei Beoti? Contro Alessandro, invece, non si sarebbero mossi, ma attesero che gli Atridi per dieci anni raccogliessero l'esercito. Forse era verisimile che partisse persino lo stesso Tindaro e che l'età non glielo impedisse affatto, 73. giacché non era più vecchio di Nestore né di Fenice, né questi due avevano più fondato motivo di sdegnarsi che non il padre stesso. Ma né Tindaro né i figli vennero né la spedizione fu progettata per loro iniziativa. La verità è che furono proprio loro a dare in moglie Elena di propria iniziativa, preferendo agli altri pretendenti Alessandro per la potenza del suo regno e per il suo valore: infatti non era inferiore a nessuno per ardimento. Dunque né quelli né alcuno dei Lacedemoni vennero per combattere, ed è falsa anche questa notizia che Menelao guidasse i Lacedemoni e regnasse su Sparta, mentre Tindaro era ancora vivo. 74. In vero sarebbe stato strano che Nestore, a motivo della sua vecchiaia, non avesse ceduto il trono ai figli né prima della sua partenza né dopo il suo ritorno da Troia, mentre Tindaro avrebbe abdicato a favore di Menelao. E' evidente che anche questi fatti contengano una grande contraddizione. Quando giunsero gli Achei, dapprima fu loro impedito di mettere piede a terra, e Protesilao morì, mentre tentava di sbarcare forzando la resistenza troiana, e con lui morirono molti altri; pertanto dirottarono le navi verso il Chersonneso, dopo avere raccolto i cadaveri durante una tregua, e lì seppellirono Protesilao. Successivamente, navigando lungo la costa, sbarcarono nel paese e distrussero alcune cittadelle.

75. Alessandro ed Ettore raccolsero tutta la popolazione del territorio nella città, e sulla costa invece abbandonarono al loro destino le piccole città, poiché non erano in grado di portare soccorsi dappertutto. Navigando poi di nuovo verso il porto degli Achei, di notte sbarcarono di nascosto e eressero un muro intorno alle navi tirate in secco, scavarono un fossato per paura di Ettore e dei Troiani, e fecero tutti i preparativi come se avessero dovuto subire un assedio piuttosto che portarlo.

76. Altri poi pur concedendo ad Omero tutto il resto, non ammettono tuttavia che Omero parli di un muro realmente esistito, fondandosi sul fatto che successivamente il poeta ha rappresentato Apollo e Poseidone nell'atto di scagliare le acque dei fiumi contro il muro e di distruggerlo; e questa fra tutte le sue menzogne è la più ammaliatrice, ossia che le fondamenta del muro fossero travolte dalla furia delle acque. Infatti ancora oggi i fiumi inondano la regione e avanzano per largo tratto di mare.

77. Nel tempo seguente i belligeranti a volte infliggevano perdite, a volte le subivano, e non molte furono le battaglie combattute in campo aperto; infatti i Greci non osavano avvicinarsi alla città a causa del numero e del valore dei assediati; ma avvenivano solo scaramucce e scorrerie da parte dei Greci, in una delle quali rimasero uccisi Troilo, ancora giovane, e Mestore e molti altri. Infatti Achille era abilissimo nel tendere agguati e nel fare sortite notturne.

78. In tali attacchi poco mancò che non uccidesse Enea sull'Ida e molti altri sparsi per il territorio circostante e riuscì ad impadronirsi di quelle fortificazioni che non erano ben presidiate: invero gli Achei non esercitavano il dominio sulla regione, ma erano solo padroni del proprio campo. Eccone la prova: Troilo infatti non sarebbe mai andato ad esercitarsi fuori dalle mura e per giunta lontano dalla città, né gli Achei avrebbero coltivato il Chersonneso, come ammettono tutti, se avessero avuto in loro dominio la Troade, né si sarebbe fatto portare il vino da Lemno.

79. La guerra non procedeva bene per gli Achei e nessuna delle loro speranze si realizzava, ma, al contrario, un numero di alleati sempre maggiore accorreva in aiuto dei Troiani: in queste circostanze la peste e la fame li colpirono, e scoppiò una contesa tra i duci, disgrazie che per lo più accadono a coloro a cui le cose vanno male, non a quelli che hanno successo.

80. Persino Omero è costretto ad ammettere queste cose - perché non poté in tutto nascondere la verità - quando dice che Agamennone radunò l'assemblea dei Greci, con l'intento di rincondurre in patria l'esercito, evidentemente perché la moltitudine dei soldati era stanca e demoralizzata e desiderava tornarsene, e che in massa i soldati corsero alle navi; e quando dice che Nestore e Odisseo a stento li trattennero, adducendo come pretesto un vaticinio e dicendo che solo per breve tempo chiedevano loro di rimanere ancora.

81. Tuttavia nei versi precedenti Agamennone sostiene che l'indovino, autore di questa profezia, non prediceva mai niente di vero. Dunque fin qui sembra che Omero non abbia mai concepito un pieno disprezzo dei suoi lettori, ma che in qualche modo si sia attenuto alla verità, tranne per l'episodio del ratto: di questo Omero non parla in prima persona rappresentando la realtà dei fatti, ma introduce Ettore a rampognare Alessandro di ciò, Elena a dolersene con Priamo e Alessandro medesimo a ricordare la vicenda nel suo colloquio con Elena, mentre Omero avrebbe dovuto raccontare questo fatto più chiaramente di ogni altro e con grandissima diligenza. Inoltre dice il falso anche per quanto riguarda il duello tra Menelao e Alessandro: 82 non potendo infatti dire che Menelao uccise Alessandro, lo tratta in maniera vanamente benevola e gli attribuisce una ridicola vittoria, narrando che la spada gli si era spezzata. Non avrebbe potuto Menelao usare la spada di Alessandro, egli che era tanto più forte da trascinarlo vivo con tutte le armi al campo degli Achei? Bisognava proprio che lo soffocasse con la cinghia dell'elmo?

83. Falso è anche il duello tra Ettore e Aiace e molto ingenua la sua conclusione: anche in questo episodio la vittoria è di Aiace, ma non ha alcun seguito ed inoltre gli eroi si scambiano doni come fossero amici. Dopo questi fatti torna a narrare la verità, ossia la disfatta e la fuga degli Achei, le prodezze di Ettore e il numero strabocchevole di morti, così come aveva promesso di raccontare, ma lo fa in qualche modo controvoglia e volgendo il tutto a glorificazione di Achille.

84. Inoltre afferma che la città di Troia era cara agli dèi e ha introdotto Zeus a dichiarare pubblicamente che egli amava Ilio al di sopra di tutte le città che sono sotto il sole, e Priamo e il suo popolo. Poi, cadutogli il vaso di mano, come dice il proverbio, Zeus cambiò a tal punto che fece perire molto miseramente la città a lui più cara fra tutte per l'errore di un solo uomo, se pure è vero che questo errore egli abbia commesso. Tuttavia Omero non può nascondere le gesta di Ettore che vince e insegue i nemici fino alle navi, mentre persino gli eroi greci erano tutti presi da spavento dinanzi a lui; e una volta lo paragona ad Ares e un'altra dice che per la sua forza è simile a una fiamma, e non c'era assolutamente nessuno che gli tenesse testa, poiché Apollo era al suo fianco e Zeus dall'alto gli mandava segni propizi col vento e col tuono.

85. Omero, pur non avendo intenzione di rappresentare questi fatti in modo così vivo, tuttavia, poiché erano veri, dopo aver iniziato a narrarli, non può più fermarsi, e quindi descrive quella terribile notte e lo scoraggiamento dell'esercito e la costernazione e i lamenti di Agamennone, inoltre l'assemblea notturna degli Achei per decidere come fuggire e le suppliche fatte ad Achille nella speranza che questi potesse in qualche modo soccorrerli.

86. Il dì seguente Omero elargisce una prodezza insensata ad Agamennone, a Diomede, ad Odisseo, ad Euripilo, e dice che Aiace combatte coraggiosamente, ma subito dopo, aggiunge, i Troiani prendono il sopravvento ed Ettore si spinge fino al muro degli Achei e alle navi. E nel raccontare questi episodi, egli narra, come è evidente, cose vere e realmente accadute, trascinato dai fatti stessi; ma quando vuole esaltare gli Achei, viene a trovarsi in grande difficoltà ed a tutti appare chiaro che mente dicendo che Aiace per due volte riportò su Ettore una vana vittoria, una volta nel duello, successivamente con un masso, e che Diomede vinse Enea, e neppure lui concluse niente, ma gli prese soltanto i cavalli, cosa che non era controllabile.

87. Non avendo altro modo come compiacere ai Greci, dice che Ares e Afrodite furono feriti da Diomede. In tutto questo appare chiaro che il poeta è favorevole ai Greci e desideroso di esaltarli per un verso e, per l'altro, che non avendo nulla di vero da narrare, per tale inconveniente incorre in fatti impossibili ed empi, come capita per lo più a tutti coloro che fanno guerra alla verità.

88. Ma per quanto concerne Ettore non ha eguale difficoltà a trovare splendida e meravigliosa materia da narrare, poiché, a mio giudizio, espone fatti realmente accaduti; ma ci mostra in fuga precipitosa tutti gli eroi greci più valenti, specificandone i nomi, quando dice che né Idomeneo né Agamennone né i due Aiace gli tennero testa, ma solo Nestore, spinto dalla necessità, e che questo per poco non fu catturato; Diomede accorse in suo aiuto e per un po' combatté coraggiosamente, poi subito battendo in ritirata, si diede alla fuga, come se fossero state veramente le folgori di Zeus a bloccarlo;

89. alla fine - narra il poeta - il fossato fu superato, la stazione delle navi fu assediata, le porte furono infrante da Ettore, gli Achei furono risospinti fino alle navi e tutta la guerra si svolgeva intorno alle tende, Aiace combatteva dall'alto delle navi e alla fine fu ricacciato da Ettore e costretto a ritirarsi, e alcune navi furono incendiate.

90. Qui, invero, non c'è Enea sottratto alla mischia da Afrodite né Ares ferito da un mortale né alcun altro incredibile episodio di tal genere, ma fatti veritieri e simili ad accadimenti reali. Dopo questa sconfitta non era più possibile che tornassero a combattere né riprendessero coraggio uomini che avevano così rovinosamente ceduto senza aver tratto utilità né dal fossato né dalle fortificazioni e senza essere riusciti a salvare le stesse navi.

91. Quale forza così grande poteva trovarsi ancora oppure quale uomo così invincibile e dotato di forza divina, che col suo intervento potesse salvare i Greci già annientati? Invero la schiera dei Mirmidoni quanto mai era grande rispetto all'intero esercito? O quant'era grande l'apporto di Achille, che certo non allora per la prima volta decideva di combattere, ma che spesso nei molti precedenti anni era andato in combattimento, senza riuscire mai a uccidere Ettore, senza aver mai compiuto alcunché di grande, senza neppure riuscire a prendere Troilo che era solo un giovinetto d'età?

92. Omero, giunto a questo punto, non si curò più della verità, ma pervenne al colmo della sfrontatezza e stravolse semplicemente tutti i fatti e ne diede una versione contraria; egli disprezzava gli uomini, perché vedeva che molto facilmente gli credevano su tutte le cose, anche sugli dei; infatti non vi erano altri poeti né storici, che narrassero la verità, ma egli per primo intraprendeva a raccontare i fatti, e componeva il suo poema dopo molti secoli, quando ormai erano scomparsi quelli che conosceva i fatti e i loro discendenti e rimaneva solo una pallida e oscura fama, come è naturale, trattandosi di eventi molto antichi; inoltre voleva recitare i suoi versi alla gente comune e agli ignoranti, e per di più magnificava le imprese dei Greci, sapendo che nemmeno chi conoscesse la verità, l’avrebbe smascherato.

93. Così Omero osò comporre fatti contrari alla verità. Come, per esempio, quando Achille accorse in aiuto dei Greci durante l’occupazione delle navi, costretto per lo più dalla necessità e per salvarsi la pelle, i Troiani si diedero alla fuga e subito si allontanarono dalle navi, e il fuoco fu spento, dal momento che Achille irruppe all'improvviso; altri si ritirarono ed Ettore si portò fuori dal fossato e dalla strettoia che circondava il campo, ma forse anche opponendo resistenza, come dice lo stesso Omero.

94. Quando poi si affrontarono nella ripresa del combattimento, Achille con i suoi guerreggiò valorosamente e uccise molti dei Troiani e dei loro alleati, e tra gli altri Sarpedone che si diceva fosse figlio di Zeus, re dei Lici. E durante la traversata del fiume, ci fu una grande strage dei troiani che già cedevano; tuttavia non fuggirono in rotta, ma molte volte si girarono per far fronte ai nemici.

95. Nel frattempo vegliò Ettore, che era espertissimo nel cogliere il momento favorevole della mischia, e finché Achille era al massimo delle forze e combatteva con energie fresche, Ettore non lo affrontò in combattimento, ma soltanto istigava gli altri a resistere. Ma in seguito s'accorse che era ormai stanco e aveva perso molto dell'impeto precedente: infatti non si era risparmiato nella lotta ed era stato sfiancato dalla corrente precipitosa del fiume che egli aveva varcato incautamente. Ettore vide anche che Achille era stato ferito da Asteropeo, figlio di Peone, ed Enea, dopo essersi scontrato con lui in un lungo combattimento, si ritirò quando volle, senza subir danno; inoltre Ettore vide che Achille si lanciò di corsa all’inseguimento di Agenore senza riuscire a prenderlo; eppure proprio in quel campo Achille manifestava la sua netta superiorità perché aveva fama di essere velocissimo.

96. Dunque da tutti questi indizi a Ettore che era esperto di arte bellica, divenne evidente che Achille fosse facilmente battibile. Così con ardimento gli si fece incontro nel mezzo della piana. E in un primo momento si ritirava facendo mostra di fuggire, per metterlo alla prova e nello stesso tempo per stancarlo: ora lo aspettava, ora scappava. Ma dopo che vide che Achille era lento ed rimaneva indietro, così rivoltosi di scatto, si lanciò contro l’avversario che non riusciva più a reggere le armi; assalitolo, lo uccise e, come pur Omero ha raccontato, si impadronì delle armi. Dice, inoltre, che Ettore inseguì i cavalli, ma non li raggiunse, mentre invero anche di quelli si impadronì.

97. I due Aiace poi a stento salvarono il corpo di Achille, portandolo presso le navi. Infatti i Troiani ormai ripreso coraggio, convinti di poter vincere, inseguivano i nemici più lentamente. Ettore, indossata la splendida armatura di Achille, fece un massacro di Greci e li incalzò fino al mare, come conferma Omero. Il sopraggiungere della notte evitò che fossero incendiate tutte le navi. Svoltisi i fatti in questo modo, Omero, non sapendo come occultare la verità, dichiara che Patroclo fosse colui che giunse con i Mirmidoni, rivestito delle armi di Achille, e fu lui a trovare la morte per mano di Ettore; Ettore in tal modo poté impadronirsi delle armi.

98. Invero Achille, quando l'accampamento era in così grande pericolo e ormai le navi ardevano, e quando ormai mancava poco che il pericolo raggiungesse la sua nave, quando sentiva dire che Ettore andava dicendo che nessuno era in grado in affrontarlo, poiché Giove l'aiutava e gli mostrava segni propizi, dunque come mai Achille, se veramente voleva salvare i Greci, rimase nella tenda, lui che era il migliore a combattere, e mandò un guerriero tanto inferiore? E anzi lo esortò a lanciarsi con ferocia nella mischia e a respingere i Troiani, ma nello stesso tempo a evitare lo scontro diretto con Ettore? Consiglio inutile, credo, giacché non gli fu possibile, una volta avanzato nella mischia, scegliere con chi combattere.

99. Così dopo aver mostrato di avere scarsa considerazione di Patroclo e poca fiducia nel suo valore, gli affidò le truppe, le proprie armi e i cavalli, come se si fosse proposto di rovinare i propri interessi e di mandare tutto in rovina. E poi pregava Zeus che Patroclo facesse ritorno con tutte le armi e i compagni, dopo averlo così stoltamente mandato contro un uomo più forte, alle cui sfide a combattere nessuno, nemmeno i più forti osarono rispondere.

100. Agamennone poi diceva chiaramente che anche Achille aveva paura e non voleva scontrarsi con lui. Perciò appunto Omero dice che Achille, avendo preso tali cattive decisioni, perse l'amico e molti altri compagni, poco mancò che fosse privato anche dei cavalli, e rimase senza armi. Comportamenti questi che mai Achille avrebbe potuto tenere, a meno che non fosse uno stolto; e in ogni modo Fenice glielo avrebbe impedito. Ma in effetti non aveva fretta, dice Omero, di allontanare il pericolo dai Greci, fino a che non avesse ottenuti i doni come risarcimento e, nello stesso tempo, anche perché non aveva ancora calmato del tutto la sua ira.

101. E cosa gli impediva di avanzare nella mischia solo per quanto volesse e poi di riprendere di nuovo la sua ira? ben si avvide Omero di tale assurdità, e perciò afferma in modo poco chiaro che Achille rimase lì per una profezia, secondo la quale, se fosse uscito, sarebbe morto sicuramente, e così apertamente lo accusa di viltà; eppure questa profezia gli dava la possibilità di ritornarsene a casa, dopo il suo alterco con Agamennone. Nondimeno da sua madre aveva anche saputo della morte di Patroclo, che dice di voler onorare come la sua propria testa e aggiunge di non volere dopo la morte dell’amico continuare a vivere. 102. Ma quando vide che quello non era capace di reggere la lancia, gli diede il resto delle armi, che erano evidentemente simili alla lancia, senza temere che non potesse reggere neppure quella; come dunque pur racconta che avvenne nel corso dei combattimenti. Ma in realtà se si volesse confutare ogni minimo particolare, sarebbe una gran fatica. In effetti la menzogna si manifesta da sé a chi vi pone attenzione; di conseguenza non sfugge a nessuno, nemmeno a quelli che hanno una scarsa intelligenza, che Patroclo è quasi un sostituto e Omero lo fece uscire di scena a causa di Achille volendo nascondere la sorte dell’eroe. 103. Poi sospettando che qualcuno per caso cercasse il sepolcro di Patroclo - come, credo, a Troia sono visibili i sepolcri anche degli altri prodi che trovarono lì la morte – preoccupato per quel motivo, il poeta avvertì che non fu eretto un sepolcro proprio per quell’eroe, ma che fu seppellito insieme con Achille. Eppure Nestore non volle essere sepolto insieme ad Antiloco, che pur era morto per lui, quando portò a casa le sue ossa di quell’eroe; invece le ossa di Achille furono mescolate con quelle di Patroclo ? Dunque desiderio principale di Omero era di celare la fine d'Achille, come se non fosse morto a Ilio.

104. Ma quando vide che il suo proposito era impossibile da realizzare, perché la tradizione prevaleva e era stato indicato il sepolcro, tacque dell’uccisione di Achille per mano di Ettore, dicendo al contrario che Ettore fu ucciso da Achille, il quale si era mostrato tanto superiore a tutti gli uomini e aggiunse che il cadavere di Ettore fu scempiato e trascinato fino alle mura. In seguito sapendo che esisteva il sepolcro di Ettore ed era onorato dai suoi concittadini, dovette aggiungere che il corpo fu restituito ai Troiani, per comando di Zeus, dietro pagamento del riscatto,

105. Frattanto Afrodite e Apollo si curavano che il cadavere non cadesse in putrefazione. Non sapendo cosa fare di Achille, poiché quello doveva essere ucciso da uno dei Troiani - infatti non poteva raccontare che anche Achille, come pure Aiace, si uccidesse da sé, negando la gloria a chi veramente lo uccise – narra che lo uccise Alessandro, che aveva descritto il peggiore e più codardo dei Troiani e che poco mancò che fosse fatto prigioniero da Menelao; Alessandro, che Omero aveva sempre coperto di infamia come guerriero imbelle e molto disonorato fra i Greci.

106. Per togliere la gloria a Ettore, sembra che l'abbia sottratta anche ad Achille, rendendo la sua morte anche molto più vile e più ignominiosa. Ma alla fine introduce Achille, che era in realtà già morto, e lo fa combattere; ma poiché non aveva più le armi, sottrattegli da Ettore - questa è la solo verità che gli sia sfuggita nel suo racconto -, Omero dice che Teti gli portò dal cielo un’armatura lavorata da Efesto; in modo ridicolo narra che il solo Achille volse in fuga i Troiani; il poeta si dimenticò di tutti gli altri Achei, come se nessuno fosse presente. Ma una volta avuto il coraggio di raccontare questa falsità, continuò a sconvolgere tutta la storia. Proprio in questo punto fa combattere gli dei fra loro, quasi ammettendo il suo scarso interesse per la verità.

107. Poi Omero pecca di grave inefficacia e inverosimiglianza quando racconta le imprese di Achille: ora combatte con un fiume, ora minaccia Apollo e lo insegue; da tutti questi elementi si può scorgere una certa difficoltà, poiché poi quando espone fatti veri non è così poco convincente né fastidioso; alla fine, quando i Troiani con difficoltà si ritirarono nella città, nel racconto omerico, davanti alle mura, con immenso coraggio Ettore aspetta il nemico senza dare ascolto alle preghiere del padre e della madre; in seguito si dà alla fuga e corre intorno alla città, pur potendo entrarvi; e Achille, che Omero descrive sempre come il più veloce fra gli uomini, non riesce a raggiungerlo.

108. E gli Achei stanno a guardare tutti, come se fossero presenti a uno spettacolo e nessuno corre in aiuto di Achille, nonostante avessero patito così gravi danni per mano di Ettore e lo odiassero a tal punto da infierire, anche dopo la sua morte, sul suo cadavere. E poi Deifobo uscito dalla cinta delle mura, anzi Atena lo inganna, dopo aver assunto le sembianze di Deifobo, e a Ettore ruba l'asta nel combattimento. Omero non trova il modo di far morire Ettore; fra le sue menzogne, viene preso, in un certo modo, da vertigini e narra, in realtà, il combattimento come in un sogno. Di certo i fatti descritti in quel duello somigliano moltissimo ai sogni strani.

109. Giunto a questo punto, passò il resto sotto silenzio, non avendo di che ornare il suo poema e ormai detestando le sue falsità, aggiunse, e per giunta in modo molto ridicolo, i giochi funebri, la venuta del re Priamo al campo di Achille, senza che nessuno degli Achei se ne accorgesse, e il riscatto di Ettore. Non osò raccontare né il soccorso di Memnone né delle Amazzoni, nonostante fossero episodi questi così grandi e straordinari, né la morte di Achille né la presa di Troia.

110. Né infatti, credo, Omero se la sentì di far morire di nuovo Achille, che era già morto da tempo, né di far vincere coloro che erano stati sconfitti e messi in fuga, né di raccontare la distruzione della città che in realtà vinse la guerra. Ma questi episodi li narrarono con sicurezza gli epigoni, da lui ingannati e quando ormai la falsità si era imposta. I fatti in realtà così si svolsero.

111. Essendo stato ucciso Achille da Ettore mentre portava aiuto alle navi, i Troiani, come anche prima, piantarono il campo vicino alle navi per sorvegliare gli Achei; infatti sospettavano che fuggissero nella notte. Ettore, rallegrandosi per le sue imprese, si ritirò in città, dai genitori e dalla moglie, lasciando Paride a comando dell'esercito.

112. E quello stesso e le truppe troiane si addormentarono, come era naturale, perché provati dalle fatiche e non sospettando alcun pericolo, a maggior ragione dopo uno sviluppo così favorevole degli avvenimenti. A questo punto allora, consigliandosi Agamennone con Nestore, Odisseo e Diomede, in silenzio fecero salpare la maggior parte delle navi, vedendo che anche il giorno prima per poco non furono distrutte - cosa che non avrebbe permesso loro di fuggire -, e una parte non piccola di esse era stata incendiata, tranne la sola nave di Protesilao. Fatto questo, salparono verso il Chersonneso, abbandonando molti prigionieri e non pochi degli altri beni.

113. Al sorgere del sole, scoperto l'accaduto, Ettore si adirò, si corrucciò e rimproverò Alessandro, perché si era lasciato sfuggire dalle mani i nemici. I Troiani allora incendiarono le tende e si diedero a depredare i beni lasciati. Gli Achei si consultavano al sicuro - giacché Ettore e i suoi non avevano una flotta pronta per passare lo stretto e attaccarli – decisero di tornarsene tutti in patria, visto che erano morti un gran numero di soldati e gli uomini migliori. Ma si presentava il pericolo che i Troiani, costruitisi delle navi, subito navigassero contro la Grecia.

114. Dunque per questo motivo sembrò necessario restare lì a fare ruberie, come all'inizio, per vedere se in qualche modo potessero riconciliarsi con Paride, quando questi si fosse stancato, e ritornare in patria, dopo aver concluso un patto d'amicizia. Come avevano deliberato, così fecero, restando lì. E in quel momento vennero in aiuto ai Troiani dall'Etiopia Memnone, le Amazzoni dal Ponto e altre truppe in aiuto, quando seppero dei successi di Priamo e di Ettore e della disfatta, quasi totale, dell’armata achea. Alcuni vennero per benevolenza, altri anche per timore della potenza troiana. Infatti non ai vinti né agli sventurati tutti vogliono portare aiuto, bensì ai vincitori e a chi domina su tutti.

115. Anche gli Achei fecero venire dalla loro patria qualunque aiuto potessero, poiché nessuno più degli stranieri li assecondava nella loro causa; ma si assicurarono Neottolemo, che era il figlio di Achille, all’epoca ancora giovanetto e Filottete, precedentemente allontanato per il suo morbo, e tali aiuti dalla patria, ma deboli e inconsistenti. Al loro arrivo gli Achei, rianimatisi un po', di nuovo fecero vela verso Troia, e alzarono intorno alle navi un altro muro, molto più piccolo del primo, né nel luogo di prima, vicino alla spiaggia, ma in un luogo elevato che lì occuparono.

116. Alcune navi si fermarono all'ancora sotto il muro, altre restarono nel mare aperto; giacché non avevano alcuna speranza di vincere, ma si auguravano di patteggiare, come dissi, non combattevano con vigore, ma in un modo, per così dire, incerto e con la mente volta piuttosto al ritorno. Dunque per lo più ricorrevano ad agguati e incursioni. E una volta che la battaglia diventa più violenta, nel tentativo di occupare con la forza un luogo fortificato, Aiace viene ucciso da Ettore e da Memnone Antiloco accorso a difendere il padre.

117. Anche lo stesso Memnone fu ferito da Antiloco e, mentre veniva ricondotto indietro per la ferita, morì per la via. Capitò allora agli Achei di godere della miglior fortuna, come mai prima. Infatti Memnone, uomo dal grande prestigio, fu ferito mortalmente; l'Amazzone accorsa contro le navi con troppo impeto nel tentativo di incendiarle fu uccisa con un’asta navale da Neottolemo, che combatteva dall'alto di una nave; Alessandro muore trafitto da una freccia scagliata da Filottete.

118. Vi era dunque scoraggiamento anche presso i Troiani al pensiero che giammai avrebbero messo fine alla guerra e che, se pur vincitori, non avrebbero ricavato alcun vantaggio. Anche Priamo era divenuto un altro dopo la morte di Alessandro, molto contristato e angosciato per la sorte di Ettore. Ma le cose per gli Achei andavano molto peggio, dopo la perdita di Antiloco e Aiace; così mandano ambasciatori per un colloquio, a dire che se ne sarebbero andati, se si fosse fatta la pace e si fosse sottoscritto il giuramento, che né loro avrebbero più fatto una spedizione contro l'Asia né i Troiani contro Argo.

119. A questi patti si opponeva Ettore, argomentando infatti che i Troiani erano molto più forti e con la forza avrebbero abbattuto il muro; lo aveva massimamente infuriato la morte di Alessandro. Ma dopo le suppliche del padre che gli ricordava la sua vecchiaia e la morte dei figli, e dinanzi al desiderio del suo popolo di liberarsi di quei mali, concesse la possibilità di venire a un accordo. Chiese però che gli Achei risarcissero le spese della guerra e pagassero qualche ammenda, dal momento che avevano mosso guerra senza aver subìto nessun torto, avevano devastato la regione per tanti anni, avevano ucciso uomini valorosi, e in particolare Alessandro, dal quale non avevano ricevuto nessun male, ma solo perché questi era stato preferito tra i pretendenti a quelle nozze e aveva preso moglie dalla Grecia, concessagli da chi ne aveva pieno diritto.

120. Odisseo, che fu mandato come ambasciatore per la pace, rifiutava quelle condizioni, dimostrando che i Troiani avevano provocato mali non minori di quanti ne avevano subìto, e attribuiva a loro la causa della guerra. Sosteneva infatti che non era necessario che Alessandro, con tante donne in Asia, venisse in Grecia a chiedere moglie e se ne andasse, ridicolizzando i più nobili di Grecia, per averli superato grazie alla sua ricchezza. Quel matrimonio infatti non si era realizzato in modo naturale, ma Alessandro aveva tramato insidie agli stati della Grecia, cosa che non era sfuggito loro. Così, per il resto, chiedeva di porre fine alla guerra, poiché entrambe le parti avevano sofferto tanti mali, e, per di più, tra quelli e gli Atridi c'erano affinità e parentele, dovute a Pelope.

121. Sulla richiesta di risarcimento sorrise: i Greci non avevano denaro, ma ancora allora i più spontaneamente si arruolavano a causa della povertà che avevano in patria. Diceva ciò per distoglierli da un'eventuale spedizione contro la Grecia. Se essi esigevano un'ammenda per il decoro, egli l'aveva trovata. Infatti i Greci avrebbero lasciato un bellissimo e grandissimo dono ad Atena con sopra scritto: "Gli Achei offrirono questo dono espiatorio ad Atena Iliaca". Questo avrebbe procurato grande onore ai Troiani; a svantaggio dei Greci testimonierebbe la loro sconfitta.

122. Pregava anche Elena a intervenire per realizzare la pace. E quella coadiuvò prontamente: infatti era dispiaciuta che i Troiani, a causa sua, sembrassero soffrire molti mali. Fissarono gli accordi, e si stipulò un patto tra Troiani e Greci: Omero volse anche questo fatto in bugia, come se non fosse accaduto; ma narrò che i Troiani violarono il patto, che insieme giurarono Ettore e Agamennone e gli altri potenti, che né i Greci avrebbero mai fatto una spedizione contro l'Asia, finché regnasse la stirpe di Priamo, né viceversa i discendenti di Priamo avrebbero mosso contro il Peloponneso o la Beozia o Creta o Itaca o Ftia o l'Eubea. 123. Infatti solo questi stati eccettuarono: sugli altri stati non volevano giurare i Troiani né di ciò si curavano gli Atridi. Giurati i patti, i Greci portarono a termine la costruzione del cavallo, grande opera; i Troiani lo tirarono verso la città e, poiché non entrava per le porte, buttarono giù una parte del muro; dal che per scherzo si disse che la città fu presa dal cavallo. E dopo essersi riconciliata con quel patto, l'armata greca partì. Poi Ettore diede Elena in moglie a Deifobo, che era, dopo quello, il migliore tra i fratelli.

124. In seguito muore suo padre il più felice fra tutti, eccetto per i mali da cui era stato afflitto dopo la morte dei figli. Ed Ettore stesso, dopo aver regnato per molti anni e aver resa soggetta la maggior parte dell'Asia, muore vecchio ed è sepolto davanti alla città. Lasciò il regno a suo figlio Scamandrio. Io so bene che nessuno accetterà che le cose siano andate veramente così, ma tutti diranno che sono bugie, eccetto quelli che ragionano, non solo tra i Greci, ma anche fra voi. Infatti la menzogna è qualcosa di estremamente pericoloso e così anche l’inganno che si trascina per molto tempo.

 

 
 
 

 

 

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