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Le varianti tarde del mito troiano

   

Hydria Attica a Figure Rosse - Ceramica - Altezza 42 cm - Diametro (bocca) 17,5 cm - Museo Archeologico Nazionale, Napoli. Sulla spalla del vaso sono raffigurati in sequenza continua alcuni famosi episodi della presa di Troia tra cui: Neottolemo in atto di uccidere Priamo che si è rifugiato su di un altare ed ha sulle ginocchia il corpo del nipotino Astianatte; Aiace Oileo che afferra per i capelli Cassandra avvinghiata alla statua di Atena ed Enea con il padre Anchise sulle spalle ed il piccolissimo Ascanio in fuga dalla città. L'hydria, utilizzata come cinerario in una tomba di Nola, è attribuita al pittore Kleophrades, attivo ad Atene nel primo quarto del V secolo a.C.

Foto e descrizione tratte da: Turchia, 7000 anni di storia - Guida della mostra di Napoli, Palazzo Reale 27 aprile - 31 maggio 2007 (a cura di Matilde Civitillo e Luigi Necco) - Presidenza Regione Campania - Assessorato Regionale al Turismo e ai Beni culturali, Azienda Autonoma di Soggiorno, Cura e Turismo di Napoli, 2007.

 

Francesco Chiappinelli

La guerra di Troia

Note di mitologia classica e medioevale

Il conflitto più famoso dell'antichità rivive in forma diversa ma comunque suggestiva nelle opere della tarda latinità e del medioevo europeo. A fornire della vicenda troiana un quadro spesso notevolmente diverso da quello tradizionalmente noto, e risalente per lo più ad Omero, Virgilio e Ovidio, sono alcuni autori della tarda latinità (Ditti Cretese, Darete Frigio) e grecità (Giovanni Lido, Giovanni Malala, Proclo, Fozio) e gli scoliasti ad Omero (Eustazio) e Virgilio (in particolare Servio). Alle loro testimonianze si aggiungono spesso i mitografi, e tra essi i più importanti sono Apollodoro ed Igino. Spesso il loro racconto è così diverso da come lo conosciamo che ci appare pressoché totalmente inventato: ma le loro notizie risalgono non di rado addirittura al ciclo omerico, e sono legate ad una interessante e dotta contaminazione e amplificazione delle fonti. Questo procedimento sarà ripreso nei primi secoli del Medioevo europeo, (Giovanni Iscano, Benoit de Sainte-Maure, Guido delle Colonne) particolarmente sfruttando come fonti Darete e Ditti; e si prolungherà fino a tutto l’Ottocento, quando questi autori erano ancora abbastanza letti e studiati. Quella che qui si propone è una messa a punto di una lunga serie di studi, talora apparentemente minuti ma comunque di grande suggestione culturale. Le note che seguono orienteranno il lettore tra novità insospettate.

 

Si potrebbe fondatamente pensare che l’esegesi dei testi classici e dei principali autori medievali sia sostanzialmente completa e che gli sforzi dei filologi vadano indirizzati piuttosto al recupero di autori marginali che però non interessano molto i lettori non strettamente addetti ai lavori. Questa valutazione deve tuttavia essere radicalmente rivista almeno in un caso: ben pochi sono gli studi sui rapporti tra letterature classiche  e autori medievali, e le pur numerose e meritevoli opere esegetiche limitano la loro indagine ad uno solo dei due ambiti.

   Questa progressiva specializzazione degli studi (e degli studiosi) ha impedito di proseguire sulla luminosa strada del grande Domenico Comparetti e del suo insuperabile Virgilio nel Medioevo: qui il percorso ininterrotto anche se accidentato della cultura classica nei secoli bui è delineato esemplarmente, dal poeta mantovano al suo più devoto discepolo, Dante Alighieri. Al grande filologo riconosciamo il merito di aver ricostruito con acribia e ricchezza di testimonianze il volto di Virgilio mago, che in particolare a Napoli ma in realtà in tutta l’Europa della res publica clericorum domina le letterature del continente.

   Domenico Comparetti accenna però appena a due autori che le storie della letteratura latina pongono sbrigativamente nei secoli della tarda decadenza, liquidandoli generalmente con poche parole. Si tratta dei sedicenti Ditti Cretese e Darete Frigio, che dicono di aver militato rispettivamente nell’esercito greco e troiano ai tempi del mitico conflitto e quindi vogliono accreditarsi come testimoni diretti di quegli eventi, ben diversamente da Omero che sarebbe venuto dopo quattro secoli. Questi scritti sono oggi facilmente reperibili on line, e gli studiosi possono farsene una idea più precisa e chiara: le due opere, che avrebbero i titoli rispettivamente di Ephemerides belli Troiani e De excidio Troiae, sono di evidente origine retorica, hanno certamente modelli greci che risalgono almeno al I secolo d.C. e sono affini alle orazioni epidittiche di derivazione gorgiana ricorrenti anche nell’età della seconda sofistica, come mostrano gli scritti troiani di Dione Crisostomo, Filostrato, Libanio. Comparetti, come dicevamo, è tra i fondatori della filologia documentaria del positivismo e la storia troiana non era oggetto del suo interesse quando parlava di Virgilio nel Medioevo: ma non appare ugualmente comprensibile la superficialità con la quale, soprattutto in Italia, si valutano questi due testi che fino all’inizio del Novecento furono regolarmente letti e studiati e furono oggetto dell’attenzione di studiosi come Muratori, Tiraboschi, Vico, Foscolo, Settembrini, Pascoli. Prima di loro, nel VII secolo, il grande Isidoro di Siviglia aveva addirittura detto di Darete che era stato l'euretès del genere storico, anteriore allo stesso Erodoto: una affermazione inesatta, certo, ma che dà conto del gran rilievo che nei secoli della decadenza ha questo ignoto personaggio il cui racconto della vicenda troiana, unitamente a quello di Ditti, sarà il solo noto a Dante se almeno vogliamo considerare ancora valida l’ipotesi che il divino poeta non conoscendo il greco non poteva aver letto Omero…

   Ancora pochi tra gli addetti ai lavori sanno del ruolo fondamentale che questi due autori ebbero agli albori delle letterature europee, dopo il Mille, per le opere di argomento troiano che furono numerosissime. In particolare Darete fu volgarizzato e tradotto più volte, messo addirittura in versi nell’ampia opera di Giuseppe Iscano, ma soprattutto fu con Ditti alla base del Roman de Troie, il monumentale poema in lingua d’oil del monaco normanno Benoit de Sainte-Maure. Anche quest’opera subì molti rimaneggiamenti ed ebbe una diffusione enorme: ma la vera esplosione in Europa della vicenda troiana in chiave cavalleresca si deve alla versione latina che del Roman de Troie en prose diede Guido delle Colonne, il noto poeta della scuola siciliana: la sua versione fu volgarizzata in tutte le lingue europee, compresa quella napoletana, ma Guido indica con stupefacente costanza solo Ditti e Darete come sue fonti, non citando mai Benoit!

   Le schematiche notizie sin qui riferite non hanno ovviamente nessuna pretesa di originalità, ma da esse bisogna partire per cogliere adeguatamente la novità pressoché assoluta dei percorsi di indagine che ne derivano. Da questi autori e dai loro epigoni viene determinata la conoscenza dei fatti troiani nei secoli dopo il Mille, ansiosi di nuova cultura e privi ancora non solo della tradizione originale greca, per la quale bisognerà aspettare il Rinascimento, ma di tantissime e fondamentali opere latine che vedranno la luce solo con il pieno Umanesimo. A determinare questa conoscenza degli eventi troiani sono, accanto ai libri II e III dell’Eneide e al XIII delle Metamorfosi ovidiane, gli scritti tardolatini di Ditti e Darete e scoliasti e mitografi come Servio ed Igino, che spesso riferiscono importanti variazioni dei miti che talvolta paiono risalire addirittura ai poemi del ciclo.

   Non molto diverso è il percorso della cultura greca. Dopo il 476, che segnò il crollo dell’impero romano d’Occidente, i legami tra il mondo latino e quello greco si affievolirono: ma questa considerazione va subito corretta, i bizantini rimasero ancora per secoli in Italia meridionale e nell’esarcato, i contatti con Venezia sarebbero sfociati nella quarta crociata contro Costantinopoli ed è esagerato affermare sic et simpliciter che i due mondi ebbero vita culturale del tutto indipendente. Va aggiunto che il livello di cultura complessivo del mondo bizantino prima del X secolo non doveva essere eccelso, se si considera il resoconto che degli eventi troiani fece nel VI secolo Giovanni Malala, solo nominalmente legato al patrimonio omerico e tuttavia celebrato come  opera di grande importanza dai contemporanei che ne fecero numerose versioni in altre lingue orientali. Anche qui la svolta ci sarebbe stata con Fozio, Costantino Cefala, Massimo Planude, appunto non prima del X secolo.

   Come dunque questi autori descrissero complessivamente la guerra di Troia? In maniera assolutamente diversa da Omero, con numerose e importanti variazioni del mito, con amplificazioni e contaminazioni spesso suggestive e certo foriere di novità letterarie particolarmente feconde. Due esempi sopra tutti: il pius Aeneas omerico-virgiliano che assume l’incredibile aspetto dell’avido traditore della patria insieme con Antenore ed Eleno, e l’eroe per antonomasia, Achille, che lascia il conflitto non per l'ira contro Agamennone salvo rientrarvi per vendicare Patroclo, ma le cui mosse sono dettate dall’amore per Polissena che lo porterà alla morte. Queste versioni del mito hanno documentate radici nella mitologia e letteratura classica, ma qui sono riproposte in una prospettiva totalmente nuova, che non esito a definire cavalleresca. Nel caso invece di Troilo e Diomede che si contendono l’amore di Briseide la fantasia di Benoit de Sainte-Maure non ha alcun debito con la mitologia tradizionale, ma ha potentemente influito, come è ben noto, almeno fino a Shakespeare sulle letterature europee.

   Come è naturale, proprio il minor peso della tradizione classica ha reso gli altri paesi europei più attenti alle proprie origini, mentre l’Italia è certamente molto più indietro in questi studi. Senza alcuna pretesa di completezza, ma proprio con l’intento di avviare una più consapevole indagine propongo ai lettori un sommario elenco dei personaggi troiani con l’indicazione delle principali differenze tra le versioni tradizionali e quelle tardolatine e medievali. Ci si renderà immediatamente conto della urgenza di colmare molti vuoti, e degli importanti sviluppi che può averne la esegesi e la comprensione di molte opere fondamentali della letteratura europea.

 

Acasto
Ditti, ricollegandosi forse all’antico ciclo omerico, parla, tra gli altri Ritorni da Troia, di quello di Neottolemo. Benoit de Sainte-Maure e Guido delle Colonne, nel riscrivere la vicenda troiana, parlano di un contrasto tra Acasto, ormai vecchio, e Peleo, nonno di Neottolemo, costretto a rifugiarsi in una grotta. Neottolemo per vendetta uccide i due figli di Acasto e restituisce il trono a Peleo, ma alla fine i due vegliardi si accorderanno per cederlo al loro nipote (per porre riparo a confusioni legate alla somiglianza dei nomi Pelia e Peleo, essi fanno di Pelia il vero padre di Teti, la madre di Achille…).

Achille

Le principali vicende mitiche di Achille sono ben note, ma non ne mancano varianti suggestive e significative. Darete racconta che, un anno dopo la morte di Ettore, profittando della tregua Achille si recò sulla sua tomba e vedendo Polissena, sorella dell’eroe, se ne innamorò perdutamente. Secondo una tradizione collaterale (Ditti cretese, e sulle sue orme gli autori medievali Benoit de Sainte Maure e Guido delle Colonne, che trasmetteranno a Dante la loro versione dei fatti di Troia: vedi Inferno, c. V), ucciso Ettore, si recarono da Achille Priamo, Andromaca e Polissena, la figlia più giovane del re di Troia. Achille appena la vide se ne innamorò, e la chiese in sposa promettendo a Priamo che avrebbe abbandonato la guerra. Dopo la morte di Troilo, un altro figlio di Priamo, per mano di Achille, Paride ed Ecuba per vendicarsi gli fecero credere che poteva vedere Polissena nel tempio di Apollo Timbreo. Achille ci andò disarmato e fu ucciso da Paride e Deifobo. A guerra finita, per rientrare in patria senza tempeste i Greci sacrificarono l’innocente Polissena sulla tomba dell’eroe. La vicenda si intreccia con quella del tradimento di Enea ed Antenore.

Agamennone
Il ritratto tardolatino e medievale di questo personaggio non si discosta molto da quello della tradizione classica. Agamennone è anche per questi autori il capo della spedizione, pur se per qualche tempo egli sarà sostituito da Palamede. Le novità più significative riguardano appunto le trame contro Palamede per il comando supremo e contro Aiace per la assegnazione del Palladio. Quando Troia venne finalmente conquistata grazie al tradimento di Enea ed Antenore, egli pretese per sé come schiava Cassandra, di cui era invaghito: ma non gli valsero a molto le sue profezie, perché, tornato a Micene, venne ucciso da Clitennestra e dal suo amante Egisto, il figlio di Tieste.

Aiace Telamonio

Quando Troia fu distrutta dagli Argonauti, Ercole diede a Telamone, che per primo era entrato nella città, la figlia di Laomedonte, Esione. Telamone non la sposò, ma considerandola preda di guerra ne fece la sua concubina destando così l’ira del fratello di lei, Priamo, che per vendicarsi diede ordine a Paride di rapire una principessa greca. Alcuni autori fanno di Esione la madre di Aiace, altri sostengono che egli fosse invece figlio della moglie legittima di Telamone, Peribea. Collegandosi alla storia del duello tra Aiace ed Ettore, concluso con un cortese scambio di doni e risalente ad Omero, gli autori medievali, con procedimento contaminatorio, raccontano che i Troiani stavano per incendiare la flotta greca ma Aiace, facendosi ricooscere da Ettore come cugino, ne ottenne una insperata tregua e salvò così le navi. Quando Troia cadde, i Greci dovevano decidere a chi assegnare il Palladio: se lo contendevano Aiace, Diomede ed Ulisse, che alla fine lo ottenne per l’appoggio di Agamennone e Menelao ai quali aveva astutamente fatto assegnare Cassandra ed Elena. Aiace si tolse la vita, e i Greci costrinsero ad una fuga precipitosa Ulisse e gli Atridi. Pirro, nipote di Aiace, ne curò gli onori funebri. Come è noto invece dalla tradizione classica, la contesa tra Aiace ed Ulisse era dovuta alle armi di Achille, che più coerentemente gli autori medievali assegnano invece senza contrasto a Pirro.

Anchise

Il ritratto del padre di Enea è quello reso eterno da Virgilio nell’Eneide. Ma ben diversamente ne parlano Ditti cretese, Darete Frigio e sulle loro orme gli autori medievali Benoit de Sainte Maure e Guido delle Colonne, che lo associano al tradimento di Troia compiuto da Enea ed Antenore. Anchise con il figlio avrebbe aperto ai Greci la porta Scea nella notte fatale, in cambio dell’incolumità e di enormi ricchezze.

Andromaca
La scena famosa dell’ultimo addio ad Ettore alla porta Scea è trasformata e molto amplificata dagli autori tardolatini e medievali, che parlano di un sogno premonitore di Andromaca che cerca invano in tutti i modi di persuadere e poi costringere Ettore a non uscire da Troia per combattere. L’eroe obbedisce a malincuore all’ordine di Priamo, ma quando vede i Greci prevalere rompe gli indugi e si lancia nella fatale battaglia. Seguendo Darete, Benoit de Sainte-Maure e Guido delle Colonne parlano di un agguato, non del duello reso celebre dal racconto di Omero. Molto patetici sono la disperazione di Andromaca e il riscatto della salma, notevolmente diverso dalla tradizione omerica: lì era il solo Priamo ad affrontare Achille con l’aiuto di Ermes, qui invece l’accompagna Andromaca con Astianatte e Polissena, della quale l’eroe si innamorerà perdutamente. A guerra conclusa, Andromaca venne assegnata a Pirro, che la portò con sé in Epiro insieme con Eleno, che ella avrebbe poi sposato secondo la versione omerico-virgiliana.

Antenore

La versione omerica, ripresa da Ovidio nella letteratura latina, descrive Antenore come un vecchio saggio, prodigo di utili consigli. Da molti autori classici e medievali però Antenore, in combutta con Enea, viene presentato senz’altro come un traditore, per aver consegnato fraudolentemente ad Ulisse e Diomede il Palladio, talismano della invincibilità troiana, in cambio della incolumità per sé e i suoi e di grandi  ricchezze. Anche nella vicenda di Polissena Antenore, diversamente da Enea, che cercò invano di nasconderla, si rese responsabile della consegna ad Agamennone e Pirro della innocente vergine che fu sacrificata sulla tomba di Achille.

Argonauti-Giasone e Medea
Secondo la tradizione classica, la vicenda degli Argonauti e la conquista del vello d’oro sarebbero avvenute una generazione prima del conflitto troiano, visto che vi presero parte Peleo, Telamone, Nestore che per la sua longevità avrebbe partecipato anche alla seconda, definitiva distruzione della città (ricorda i versi conclusivi dei Sepolcri foscoliani: ”Gemeranno gli antri secreti, e tutta narrerà la tomba / Ilio raso due volte e due risorto / per far più bello l’ultimo trofeo / ai fatati Pelidi…”). Anche gli autori tardolatini (non Ditti, però) e medievali narrarono diffusamente la vicenda argonautica, che era già nel ciclo omerico, dando largo spazio all’amore tra Giasone e Medea, presentati come due personaggi medievali. Singolare è anche la confusione tra Pelia, il tirannico zio di Giasone, e Peleo, il padre di Achille, che determina tutta una serie di equivoci che lasciano senza fiato il lettore moderno. Medea peraltro scompare dopo il ritorno a Iolco, e nulla questi autori dicono delle vicende successive, come l’uccisione dei figli per colpire il fedifrago Giasone, rese note dalla famosa tragedia euripidea.

Briseide
Il suo vero nome era Ippodamia, era figlia del re Brise e sposa di Menete. Quando Achille conquistò la sua città, fece di lei la sua concubina, non inserendola come avrebbe dovuto nel bottino comune: ma dovette cederla malvolentieri ad Agamennone come ci racconta Omero. Gli autori medievali, in questo caso senza nessun aggancio alla tradizione classica o tardolatina, fanno invece di Briseide la figlia di Calcante, passato dal campo troiano ai Greci per ordine di Apollo. In occasione di uno scambio di prigionieri (il vecchio Antenore in cambio del greco Toante, anche qui senza alcun legame con la mitologia tradizionale), Calcante ottiene che gli venga consegnata la figlia, riluttante anche perché innamorata del bellissimo Troilo, il figlio più giovane di Priamo. A scortarla nel campo greco sarà Diomede, che si innamora di lei e ne verrà ricambiato, causando la disperazione di Troilo. La vicenda, con la sua tragica conclusione, attraverserà la letteratura europea e Briseide, ulteriormente confusa con Criseide, la figlia di Crise che nell’Iliade ne chiede vanamente il riscatto ad Agamennone, diverrà la Cressida shakespeariana descritta in precedenza da Boccaccio, Chaucer e numerosi altri.

Calcante

Egli sarebbe stato inviato da Priamo a Delfi per chiedere all’oracolo come sarebbe andata la guerra; vi giunse contemporaneamente ad Achille, mandato per lo stesso motivo dai Greci. Il dio Apollo gli ordinò di passare con i Greci, che alla fine sarebbero risultati vincitori. Fu lui ad indicare più volte come placare gli dèi: con i sacrifici di Ifigenia e Polissena, all’inizio e alla fine della guerra, e suggerendo di presentare al credulo Priamo il fatale cavallo di legno come offerta di espiazione ad Atena per il furto del Palladio. Ma gli autori medievali, in questo caso senza la mediazione di Ditti e Darete, ne fanno anche il padre di Briseide - confusa sovente con Criseide - il cui amore sarà conteso tra Troilo e Diomede, con echi nel Filostrato di Boccaccio, in Chaucer e nel Troilo e Cressida di Shakespeare.

Cassandra
Tra le figlie di Priamo, ella, come il fratello gemello Eleno, aveva il dono della profezia ma nessuno le prestava fede. Gli autori tardolatini e medievali ripetono in maniera ossessiva che ella in ogni circostanza cercava di dissuadere Priamo e i Troiani dalle iniziative che attraverso Paride avrebbero portato alla rovina della città, senza peraltro riuscire a convincerli. Anche dopo la caduta di Troia, conforme alla ben nota tradizione classica, ella seguì sino alla fine il destino di Agamennone.

Circe

Come peraltro Calipso, presentata da Ditti e dagli autori medievali come sua sorella, la famosa maga dell’Odissea perde i suoi caratteri divini e diventa una regina presso la quale Ulisse resta un anno, concependo quel Telegono che lo ucciderà inconsapevolmente.

Creusa

I nostri autori non ne parlano direttamente, ma due notizie paiono comunque importanti: nella Piccola Iliade (fr. 9), a dire di. Pausania (X 26,1),si raccontava che” la madre degli dèi e Afrodite la salvarono dalla schiavitù dei Greci, perché Creusa era anche moglie di Enea; Lesche invece e l’autore delle Ciprie (fr. 8) dànno Euridice come moglie ad Enea”; una documentata tradizione medievale (vedi l’illuminante articolo di G.Inglese, Una pagina di Guido delle Colonne…in La Cultura , XXV 3, pagg. 403 sgg.)fa di Enea addirittura il suo assassino per fini negromantici.

Deifobo

E’ uno dei figli legittimi di Priamo, gemello di Eleno tanto simile a  lui nell’aspetto che era impossibile distinguerli, ma diversissimo d’indole. Le sue vicende sono note soprattutto secondo la versione virgiliana, ma ampio spazio gli viene dedicato anche dagli autori tardolatini   medievali: Con Paride attuò l’empio agguato ad Achille nel tempio di Apollo Timbreo, e proprio per questo quando  Paride morì Priamo gli concesse Elena preferendolo ad Eleno che perciò passò nel campo greco. Nella notte della distruzione di Troia, Elena, per riconquistare le grazie di Menelao e salvarsi la vita, non esitò ad introdurlo con Ulisse nel talamo, e Deifobo venne crudelmente torturato e ucciso. Gli autori tardolatini e medievali o accettano questa versione (Ditti) o, sulle orme di Darete, raccontano di Deifobo che morì combattendo valorosamente per mano di Palamede quando Paride era ancora vivo.

Diomede

Diversamente da quanto accade in Omero, Diomede non desta molta simpatia nei lettori dei testi tardolatini e medievali. Egli profitta della sua esperienza in amore per sottrarre Briseide a Troilo, il giovane e valoroso figlio di Priamo poi ucciso da Achille; ordisce con Ulisse l’inganno mortale a Palamede e il furto del Palladio; il suo atteggiamento nelle ambascerie è tracotante e violento; e quando Pentesilea viene uccisa, eglipropone di gettarla nello Scamandro senza sepoltura, perché ha osato, lei donna, comportarsi da maschio. Sarà Achille, o secondo altri Neottolemo, ad opporsi vanamente a questo scempio. Dopo la disputa tra Aiace ed Ulisse per il Palladio, conclusa tragicamente, la statuetta venne assegnata a lui e secondo una delle tante versioni egli l’avrebbe poi restituita ad Enea, quando si incontrarono in Italia. Diverse tradizioni anche sul suo ritorno in Grecia, che lo vide costretto, per il tradimento della moglie, a lasciare Argo e rifugiarsi appunto in Italia.

Ecuba

La moglie legittima di Priamo gli diede come figli Ettore, Paride, Eleno, Deifobo, Troilo e Creusa (la moglie di Enea), Cassandra (gemella di Eleno e come lui dotata di spirito profetico) e Polissena. Gli altri figli di Priamo erano nati da sue concubine. Molti autori classici (non però Omero) indicano tra i figli legittimi anche Polidoro. Ella accolse subito con calore e simpatia Elena, nonostante sogni premonitori e profezie avrebbero dovuto spingerla a diffidarne. Secondo gli autori tardolatini e medievali, ella per vendicarsi di Achille, che le aveva ucciso tra gli altri i figli Ettore e Troilo, ideò il mortale e sacrilego agguato all’eroe, innamorato perdutamente di Polissena, nel tempio di Apollo Timbreo. Quando cadde Troia, Ecuba cercò invano di difendere la vita dell’ultima figlia legittima, la bella Polissena, affidandola ad Enea benché ella lo conoscesse come traditore. Come all’inizio della guerra, però, i Greci non  potevano ripartire, ma ora non per la bonaccia ma  per le tempeste; e Calcante disse che per placare gli dèi era necessario sacrificare Polissena sulla tomba di Achille. Antenore riuscì a sottrarla ad Enea e la vergine fu uccisa, come era già avvenuto ad Ifigenia. Allora Ecuba impazzì e si trasformò in cagna o, secondo la versione razionalizzata accolta dai poeti medievali che si occuparono di Troia, fu lapidata dai Greci.

Elena

La sua fatale bellezza avrebbe causato la guerra di Troia, e in genere ella viene condannata dagli autori classici, ad eccezione di Saffo che approva la sua scelta d’amore. La tradizione medievale la presenta come una dama del tempo, combattuta tra senso del pudore e amore per Paride Alessandro. Giuseppe Iscano, sulle orme di Darete, fa del giudizio di Paride un sogno, che lo spinge, sicuro del favore di Venere, al ratto di Elena. Ella non vorrebbe seguirlo, ma alla fine ne è sedotta  e rapita, unendosi a lui in regolare matrimonio… Dopo la morte di Paride per mano di Aiace Telamonio, che, gravemente ferito, muore anch’egli (salvo a risorgere poco dopo…), Elena, sinceramente addolorata, finirà sposa di Deifobo suscitando la gelosia di Eleno, il fratello maggiore, e il suo conseguente tradimento. Per le trame di Ulisse, come già nella mitologia classica, ella infine tornerà incolume tra le braccia di Menelao.

Eleno

Virgilio nel III libro dell’Eneide lo descrive come il nuovo sposo di Andromaca, che era divenuta la concubina di Neottolemo, il figlio di Achille ucciso da Oreste. Egli ne avrebbe anche ereditato il regno, e queste vicende paiono una indiretta conferma della fama di traditore che lo accompagna. Già nel ciclo omerico si parla di un trattamento particolare che egli ebbe proprio da Neottolemo, che lo portò con sé insieme ad Andromaca e ai figli di Ettore.

Secondo questa tradizione, ripresa da Ditti cretese, Darete Frigio e sulle loro orme dagli autori medievali Benoit de Sainte Maure e Guido delle Colonne, Eleno lasciò volontariamente i Troiani perché da buon vate sapeva dell’imminente caduta della città e perché adirato con il padre Priamo che aveva dato in sposa Elena al fratello minore Deifobo e non a lui quando Paride era stato ucciso. A convincerlo a lasciare con dolore Troia sarebbe stato anche il sacrilego agguato di Paride e Deifobo ad Achille nel tempio di Apollo Timbreo. Altre fonti, a partire dal ciclo omerico, raccontano che egli sarebbe stato catturato da Ulisse e convinto a svelare a quali condizioni Troia sarebbe caduta: l’ingresso in guerra di Neottolemo, il giovane figlio di Achille; la sottrazione del Palladio; il ritorno di Filottete con l’arco donatogli da Eracle. Per queste ragioni i Greci lo trattarono con benevolenza alla fine del conflitto

Enea

Per la documentata vicenda del tradimento ordito da lui, Antenore, Anchise e, per altri versi, Eleno vedi la ricerca Impius Aeneas.

Esione: vedi Laomedonte

Ettore

Ettore non ha nella tradizione tardolatina e medievale un ruolo molto diverso da quello del racconto omerico. Un dato patetico non poteva mancare: il ricordo dell’incontro con Andromaca descritto da Omero si trasforma in un sogno presago della moglie, che cercherà inutilmente di non farlo andare in battaglia; e nella morte dell’eroe, uscito per incontrare Pentesilea e le Amazzoni,  in un vile agguato tesogli da Achille.

Ifigenia
La maggiore tra le figlie di Agamennone, famosa per le vicende che la videro vittima sacrificale in Aulide e poi sacerdotessa del barbaro culto di Artemide taurica, ha poco spazio negli autori tardolatini e medievali, tranne Ditti che segue nel complesso la versione tradizionale del mito, escludendone però gli aspetti religiosi. Poiché delle sue vicende non c’è cenno in Darete, non ne fanno parola neanche Benoit de Sainte-Maure e Guido delle Colonne. Merita invece attenzione il ritratto che ne fa il cronista bizantino Giovanni Malala, che descrive il viaggio di ritorno in Grecia di Ifigenia e Oreste con il talismano di Artemide taurica: esso si sarebbe svolto toccando anche la Palestina(!) e Ifigenia avrebbe sacrificato una fanciulla per propiziare gli dèi ad una città appena fondata.

Laomedonte

E’ il padre di Priamo, e con le sue empietà ripetute provocò la prima distruzione di Troia ad opera degli Argonauti. Quando costruì la città, si offersero di aiutarlo (o, secondo una diversa tradizione, vi furono obbligati da Zeus) Poseidone ed Apollo, cui però il sovrano non volle pagare il premio pattuito. Poseidone inviò a Troia un mostro marino al quale doveva essere sacrificata Esione, la figlia del re, che fu salvata da Eracle cui Laomedonte aveva promesso i suoi cavalli: anche in questo caso egli si rimangiò la parola data, ed Eracle assalì Troia con l’aiuto degli Argonauti, prima -o forse dopo- la spedizione in Colchide. Laomedonte fu ucciso e Esione fu data da Ercole a Telamone come schiava. Secondo alcuni, da questa unione sarebbe nato Aiace, ma i più ne fanno il figlio legittimo di Peribea, la moglie di Telamone. Ercole lasciò sul trono Priamo, il figlio di Laomedonte, che non aveva condiviso le empietà del padre, ma ciò non bastò per evitare a lui e a Troia la definitiva distruzione nel più famoso conflitto. Egli infatti, convinto di essere nel giusto, per vendicare il rapimento della sorella Esione spinse Paride a rapire Elena, perpetuando così le colpe paterne. Queste vicende ebbero largo spazio nei poemi del ciclo e, più tardi, negli scoliasti e mitografi e in quegli autori tardolatini e medievali che riscrissero le vicende troiane.

Palamede
Egli sarebbe giunto in ritardo a Troia, quando già Agamennone era stato eletto a capo della spedizione. Questo gli avrebbe fornito il pretesto per chiedere di subentrargli, ed effettivamente egli ottenne il comando supremo. Le fonti tardolatine e medievali raccontano che egli o sarebbe stato ucciso in guerra o che (come nella tradizione classica prevalente) ne avrebbero causato dolosamente la morte per poi accusarlo di tradimento Ulisse e Diomede, d’accordo con gli Atridi. In ogni caso, conforme alla tradizione del ciclo omerico, Ditti e sulle sue orme Benoit de Sainte-Maure e Guido delle Colonne parlano dell’agguato che Nauplio, padre di Palamede, e suo figlio Oecto tesero alla flotta greca facendola naufragare sugli scogli.

Palladio

Varie sono le tradizioni su come fu sottratto ai Troiani il loro talismano. Alcuni autori, e Virgilio tra essi, seguono la versione che ne fa oggetto di un furto fraudolento di Ulisse e Diomede (anche Dante, nel famoso canto XXVI dell’Inferno, sembra seguirla); il Palladio sarebbe rimasto nelle mani di Diomede, che lo rende ad Enea come pegno della invincibilità di Roma, la novella Troia. Altri (Ditti cretese, Darete Frigio e sulle loro orme gli autori medievali Benoit de Sainte Maure e Guido delle Colonne) raccontano invece con dovizia di particolari che Antenore rivelò a Diomede e Ulisse il segreto del Palladio, che poteva essere toccato solo dal sacerdote di Pallade Atena, lo corruppe con enormi ricchezze e consegnò segretamente ad Ulisse la statuetta.

Quando Troia cade sorge una contesa tra Ulisse e Aiace per il possesso del Palladio, che sostituisce  inaspettatamente quella che la tradizione classica attribuiva al possesso delle armi di Achille, che gli autori tardolatini e medievali assegnano più verisimilmente a Neottolemo, il figlio dell’eroe. Agamennone e Menelao, grati ad Ulisse perché ha ottenuto che Cassandra ed Elena non venissero messe a morte ma assegnate loro, decidono che il Palladio vada ad Ulisse. Aiace deluso si suicida, Ulisse impaurito dalla reazione dei Greci parte con i suoi compagni, e il Palladio viene consegnato a Diomede che era stato complice del sacrilego furto.

Un’altra tradizione racconta che fu Enea, in fuga dalla città, a portare con sé il Palladio per garantire l’inespugnabilità anche alla novella Troia.

Paride-Alessandro

Gli autori classici, come per Edipo, ne fanno una figura negativa, parlando spesso di lui come del fatale strumento della inevitabile distruzione di Troia. Secondo la tradizione tardolatina e medievale (per la quale puoi vedere Impius Aeneas) Paride invece non sarebbe un vile, ma un vero punto di forza della difesa troiana, soprattutto dopo la morte di Ettore. D’accordo con Ecuba e Deifobo ordì l’agguato mortale ad Achille nel tempio di Apollo Timbreo, facendogli credere che avrebbe lì incontrato Polissena della quale Achille era innamorato. Mentre Deifobo e gli altri Troiani lo tenevano immobilizzato, Paride lo ferì mortalmente con la spada. Egli poi sarebbe morto per mano di Aiace, cugino di Achille e desideroso di vendicarne la proditoria morte. Benoit de Sainte-Maure e Guido delle Colonne, prendendo spunto dalle Heroides di Ovidio, ne descrivono la lunga agonia, l’abbandono di Elena, il suo tentativo di chiedere aiuto alla sua antica fiamma, Enone, che però si rifiuta e poi si suiciderà.

Patroclo

Un rilievo molto minore che in Omero  ha Patroclo negli autori tardolatini e medievali. Essi, evitando accuratamente l’intervento delle divinità tipico di Omero e la storia delle armi di Achille indossate da Patroclo, lo dicono ucciso da Ettore nelle prime fasi della guerra e minimizzano il profondo odio che in Omero spinge Achille a straziare il corpo dell’eroe troiano, dando maggior peso alla vicenda che legò Achille a Polissena. Così le armi che Omero aveva fatto costruire da Efesto e che la tradizione classica diceva oggetto della contesa tra Aiace ed Ulisse vengono più credibilmente consegnate al figlio di Achille, Neottolemo, quando egli arriva a Troia con Menelao secondo il vaticinio di Eleno.

Pentesilea

Alla regina delle Amazzoni, intervenuta nel conflitto per vendicare Ettore di cui era segretamente innamorata, dànno ampio spazio gli autori tardolatini e medievali. Ella mette nuovamente in difficoltà i Greci, finché non viene uccisa da Achille, o secondo altri da Neottolemo, che si oppone a chi, come Diomede, vorrebbe gettarla ancor viva nello Scamandro perché ha osato, lei donna, combattere contro uomini. Interviene nel frattempo la segreta trattativa con Antenore ed Enea per il tradimento, ed Antenore pone tra le condizioni la riconsegna della salma di Pentesilea. Altri aggiungono che Achille, dopo averla mortalmente ferita, le tolse l’elmo e folgorato dalla sua bellezza se  ne innamorò al punto che si congiunse con lei prima che spirasse. Questo episodio, moralisticamente censurato,  ispirò il fatale duello tra Clorinda e Tancredi nella Gerusalemme liberata.

Penelope

Rimane in ombra negli autori tardolatini e medievali, che confermano su di lei la tradizione omerica.

Pirro-Neottolemo

Può stupire l’ovvio calcolo che il figlio di Achille non avesse più di dieci anni quando si avviò alla guerra di Troia: Achille infatti e Deidamia lo avevano concepito quando il decennale conflitto era nella fase iniziale e Ulisse aveva scoperto la vera identità dell’eroe travestito da donna alla corte di Licomede. L’età poco più che infantile di Pirro, come peraltro già di Achille, spiega il suo temperamento impulsivo e generoso, ma anche capace di crudeltà spietata, come nella crudele uccisione di Priamo e nel sacrificio della innocente Polissena, soprattutto per la parte relativa alla tradizione tardolatina e medievale). Difese tenacemente Aiace, suo zio, contro le beghe di Ulisse in occasione del conflitto per il Palladio e ne curò gli onori funebri al promontorio Reteo, vicino alla tomba di Achille. Ma lui-o suo padre Achille-sarebbe stato il solo ad opporsi alla proposta di Diomede di gettare nello Scamandro Pentesilea mortalmente ferita e a chiederne invece la sepoltura.

Polidoro

In Omero Polidoro è figlio di Priamo e Laotoe e viene spietatamente ucciso da Achille. Euripide nell’Ecuba ce lo descrive come figlio di Ecuba, già ucciso da Polinestore: Ecuba, fatta schiava di Ulisse, ne troverà il cadavere sulle spiagge di Tracia e otterrà vendetta da Agamennone. Intanto però si annuncia la sciagurata uccisione della vergine Polissena, e la povera madre vedrà così morire gli ultimi due suoi rampolli. Con le note varianti, Enea troverà sulla spiaggia tracia il cadavere di Polidoro trasformato in un  cespuglio, e senza volerlo ne troncherà un ramo, come avverrà a Dante con Pier delle Vigne.

La tradizione tardolatina e medievale riferisce invece che Polidoro, affidato ancora bambino da Priamo al genero Polinestore, re della Tracia,  venne da lui consegnato ad Aiace quando l’eroe devastava le sue terre. I Greci lo mostrarono incatenato ai Troiani, che avrebbero potuto salvarlo restituendo Elena. Ma su istigazione di Enea Paride e gli altri principi, pur se fratelli di Polidoro, non ne vollero sapere: il povero fanciullo fu lapidato e il suo cadavere restituito a Priamo.

Polifemo
Ulisse, di ritorno da Troia, persi tutti i compagni, approda a Creta e viene accolto benevolmente dal suo compagno d’armi, il re Idomeneo. Egli racconta al sovrano, con evidente allusione alla storia di Alcinoo, cosa gli capitò quando sbarcò in Sicilia, trovando prima l’ostilità e poi la benevolenza di Polifemo, che ha perso ogni relazione con il personaggio omerico tanto da lasciarlo tranquillamente partire.

Polissena

In Omero non si fa cenno a Polissena, mentre ella compare quale protagonista dell’Ecuba euripidea. Forse proprio da questo nucleo si sviluppò il mito che la riguarda in età tardolatina e medievale. In occasione di un solenne sacrificio ad Apollo, profittando della tregua Achille volle assistere al rito al quale come sacerdotesse erano presenti Cassandra e Polissena, la più bella e più giovane delle figlie di Priamo. Achille se ne innamorò perdutamente, e per averla in sposa promise ad Ettore che avrebbe abbandonato il conflitto: ma Ettore pretese che egli uccidesse Aiace e gli Atridi o gli consegnasse tutto l’esercito greco. Achille rifiutò, ma quando, morto Ettore, Priamo si recò da lui per chiederne la salma, fu accompagnato da Andromaca e Polissena, che gli si offrì come schiava. Achille non volle, ma la richiese poi in sposa promettendo in cambio di abbandonare la guerra. La situazione precipitò quando Achille uccise Troilo, un altro dei figli di Priamo: Ecuba e Paride all’insaputa di Polissena mandarono un messo ad Achille fingendo di voler trattare le nozze nel tempio di Apollo, e profittando che egli ci venne disarmato Paride e Deifobo lo uccisero. Quando Troia, tradita da Enea ed Antenore, fu saccheggiata dai Greci Ecuba consegnò Polissena ad Enea perché la proteggesse; ed Enea la nascose finché i Greci, la cui partenza era ostacolata dal mare in tempesta, non presero a cercarla perché Calcante vaticinò che bisognava sacrificare Polissena ad Achille cui era stata invano promessa in sposa. Antenore la trovò e la consegnò ai Greci. Le nobili parole della fanciulla commossero l’esercito greco, ma non valsero ad evitarle la morte.

Priamo

Quando la prima Troia fu distrutta da Eracle e Telamone, che uccisero Laomedonte, salì al trono Priamo che ricostruì la città facendola più bella di prima. Egli ebbe da Ecuba, tra gli altri figli, Ettore, Paride, Eleno, Deifobo, Troilo e Cassandra, Creusa, Polissena, tutti più o meno tragicamente coinvolti nella guerra di Troia e personaggi della letteratura classica più nota. Le loro vicende saranno ampiamente riprese e spesso romanzescamente arricchite in età tardolatina e medievale. La storia della morte di Priamo è praticamente quella raccontata da Virgilio nell’Eneide, ma questi autori sottolineano la parte svolta da Antenore ed Enea, del cui tradimento Priamo si sarebbe reso conto senza tuttavia riuscire  a contrastarlo.

Sinone

Il mistificatore che secondo Virgilio, i mitografi e il ciclo omerico rese possibile l’ingresso a Troia del cavallo fatale ha per gli autori tardolatini e medievali un ruolo assai più modesto, mentre essi sottolineano il tradimento di Antenore ed Enea e ne fanno i veri responsabili del crollo della città. 

Telemaco

Il racconto delle fonti tardolatine e medievali ripercorre quello del ciclo omerico: vedi Ulisse e Telegono. Il legittimo figlio di Ulisse e Penelope, secondo il racconto che troviamo in Ditti, Benoit de Sainte-Maure e Guido delle Colonne, venne tenuto sotto controllo dal padre, che riferiva a lui la profezia che un figlio lo avrebbe ucciso. In realtà l’eroe fu inaspettatamente e inconsapevolmente ucciso da Telegono. Il ciclo omerico continuava con la storia dei legami incestuosi tra Telegono e Penelope, e Telemaco e Circe. Queste vicende non vengono riprese dai “nostri” autori, ma si dice che Telemaco andò sposo a Nausicaa, la bella figlio di Alcinoo, re dei Feaci.

Telegono

Sarebbe davvero interessante capire come sia giunta agli autori tardolatini (escluso Darete, che non ne parla) e medievali con tanta precisione la materia del ciclo omerico, e in particolare  dei Nostoi o Ritorni. Il più importante di questi poemi, fortunatamente pervenutoci, è la bellissima Odissea omerica, che si chiude con l’arrivo dei Proci negli Inferi: ma la storia di Ulisse continuava con la Telegonia, ripresa ampiamente dai “nostri” autori. Telegono è il figlio di Ulisse e Circe, e quando viene a saperlo ottiene dalla riluttante madre di andare alla ricerca del padre. Ma Ulisse ha saputo da un sogno che suo figlio lo ucciderà: perciò fa tener d’occhio dai suoi fidi Telemaco e si circonda di una folta guardia del corpo. Telegono, giunto ad Itaca, chiede di Ulisse ma questi lo scambia per un sicario di Telemaco, ingaggia una dura lotta con lui e ne viene ucciso: non prima però che i due si siano amaramente riconosciuti. Seguivano le nozze “incestuose” di Telegono con Penelope. Vedi anche Telemaco e Ulisse.

Ulisse

Sostanzialmente il ritratto tardolatino e medievale dell’eroe di Itaca non si allontana granché da quello omerico. A Ulisse vengono attribuiti l’inganno a Clitennestra per sottrarle Ifigenia (come in Euripide), l’uccisione di Palamede e il furto del Palladio compiuti con l’aiuto di Diomede ed Antenore, il contrasto con Aiace Telamonio per lo stesso Palladio, e non per le armi di Achille come voleva la tradizione prevalente. Anche la sua morte segue la traccia del ciclo e viene legata al tardivo riconoscimento di Telegono. Una interessante novità è proposta nella Chronographia di Giovanni Malala, il cronista bizantino del V secolo, che dà un resoconto razionalistico ed evemeristico degli apologhi ad Idomeneo, calco di quelli favolosi ad Alcinoo nell’Odissea.

 
 

 

 

 

 

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