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Le Altre Iliadi Oltre al racconto insuperabile di Omero, altri testi di straordinario interesse hanno descritto la vicenda di Troia |
Francesco Chiappinelli |
L'impius Aeneas: linee generali |
Nelle opere di Darete Frigio e Ditti Cretese, “testimoni” della guerra, e dei loro imitatori medievali uno sconvolgente racconto del mitico conflitto troiano |
Testimonianze tardo-latine e medievali sul conflitto più famoso dell’antichità
Su Troia si è scritto tanto e si continuerà a scriverne: la poesia omerica e il racconto virgiliano sono i pilastri della storia e del mito di questo conflitto. Ma chi abbia anche una semplice infarinatura di studi classici sa bene che ne hanno variamente parlato poeti e prosatori di ogni genere letterario, e ogni elenco ne risulterebbe inevitabilmente incompleto.
Pochi saprebbero però, anche tra le persone di media cultura, rispondere magari approssimativamente ad una domanda in apparenza erudita: chi sono Ditti e Darete, e cosa c’entrano con la letteratura di argomento troiano?
Dietro questi pseudonimi (provo a rispondere sinteticamente e senza sfoggio di inutile erudizione) si celano due retori probabilmente greci del I secolo a.C., che si fingono partecipi e testimoni del conflitto come cronisti rispettivamente greco e troiano. Questa singolare intuizione non accresce lo scarso pregio letterario dei loro scritti, ma paradossalmente li presenta come più credibili di quelli di Omero e Virgilio (il grande poeta latino era probabilmente un loro contemporaneo!) agli occhi di un ignaro lettore.
Di un espediente simile si avvarrà, come tanti altri, il Manzoni per I promessi sposi, presentati come fedele trascrizione di un inesistente manoscritto secentesco. Ma il grande romanziere non venne creduto da nessuno, mentre paradossalmente la finzione dei due sconosciuti retori venne data per vera e soltanto Giovambattista Vico nel Settecento li avrebbe smascherati.
Fra il IV e il VI secolo i due testi originari furono tradotti in latino e così ci sono pervenuti. Dell’antica redazione greca dell’opera di Ditti rimangono solo alcuni frammenti papiracei, nulla invece di Darete. E quando, per circa un millennio, la lingua greca sarebbe divenuta pressoché ignota in Occidente e anche i testi omerici sarebbero stati celebrati ma sconosciuti, la storia della guerra di Troia fu in Europa legata a quanto ne dicono l’Eneide e questi due singolarissimi scritti, avidamente letti e studiati nonostante la loro indiscutibile mediocrità e soprattutto considerati testimonianze veritiere e affidabili di quel mitico evento.
Perciò, a partire dall’XI secolo, li si tradusse, commentò e ampliò numerosissime volte nelle lingue della nascente Europa. Mi limito a ricordare qui, tra le tante, la versione che ne fece in Inghilterra Giuseppe Iscano (Joseph of Exeter) in eccellenti esametri latini e quella in ottonari del monaco normanno Benoît de Sainte-Maure, nota come Roman de Troie, tra le opere più antiche in lingua d’oïl.
Una successiva redazione in prosa del Roman venne tradotta in latino medievale da Guido delle Colonne, poeta della scuola siciliana ed esponente di rilievo della corte di Federico II. Era il 1287, e il latino era ancora la lingua ufficiale della cultura europea, la res publica clericorum: ma la sua opera venne presto volgarizzata in tutte le nuove lingue germogliate dal latino, mentre continuava nel mondo anglosassone la grande attenzione per il Roman de Troie e l’Ylias di Joseph of Exeter, più volte tradotti. Fino a Dante, Petrarca e Boccaccio, ma anche per Chaucer fino a Shakespeare il racconto di Darete e Ditti sarebbe stato il resoconto storico della guerra di Troia. Solo con il Rinascimento sarebbe ricomparso nella cultura d’Europa Omero, ma si sarebbe continuato a giudicarlo solo un insuperabile poeta. La versione mitica del tradimento di Troia da parte di Antenore ed Enea è pochissimo nota, ma attraversa quasi due millenni di testimonianze, a partire dal ciclo omerico fino e oltre la Commedia dantesca.
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