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Dialetti e Tradizioni
 

 

 

Isa Chiappinelli Rianò

 

Saggezza popolare

Proverbi e detti

della Locride

  

a cura di Luigi Chiappinelli

 

Ai  miei figli

  

Tornando, dopo moltissimi anni, alla mia terra di origine, ho trovato che tante cose, com'è naturale, erano cambiate. Tra queste, il linguaggio e il modo stesso di vedere e concepire la realtà delle cose. L'emigrazione, l'alfabetizzazione per fortuna ormai molto diffusa, i mass media, tutto ciò aveva operato e inciso profondamente nella nostra cultura, un tempo — parlo di oltre mezzo secolo fa — ancora contadina e feudale.

Io ricordavo appunto il mondo e la vita di allora, così diversi dal presente. Noi trascorrevamo, a quei tempi, gran parte dell'anno in campagna, nell'ampia casa signorile costruita dal bisnonno al centro della tenuta e in vista del mare. Alle spalle l'arco azzurro delle colline, intorno il verde argenteo degli ulivi secolari, i floridi vigneti, e, più accosto alla casa, le piante da fiore.

Risento ancora l'odore aspro della cetronella, quello fondo e    avvolgente dell'olea fragans, che assieme alle rose purpuree e    alle pallide tea, ornavano alla domenica l'altare della nostra cappellina. Un vecchio prete scendeva dal paese, a schiena di mulo, per celebrare la messa festiva per noi e per il contado. La cappella era piccola, rotonda, attaccata alla casa come un nido di rondine. La gente che accorreva al suono della campanella non rientrava tutta, e prendeva posto anche sul ballatoio e    sulle scale.

A monte della casa c'era la dependance: la casetta colonica che ospitava il guardiano e sua moglie, miei grandi amici.

Mia madre, saldamente ancorata a quelli che soltanto in seguito sarebbero stati giudicati comunemente pregiudizi di classe, cercava di impedire che io frequentassi l'ambiente popolare e contadino che ci circondava. Lei — delicata, fragile bellezza ottocentesca — non scendeva quasi mai da casa nei campi, e, le rare volte che lo faceva, era protetta dall'immancabile ombrellino. "Sei nera come una zingara!" sgridava me che invece ero felice quando riuscivo a sfuggire dal rigido ambiente domestico per scorrazzare in campagna come una giovane puledra, mischiandomi ai contadini. Arrivavo a salire in gran segreto la scaletta della casa colonica, complici mastro Mico il guardiano e sua moglie, che lasciando per un momento l'eterno fuso e la rocca, mi faceva assaggiare i suoi fagioli che borbottavano, eterni anche quelli, sul focolare nel nero pignato.

A questi scarni ricordi personali — ma quanti altri potrebbe restituirne la memoria! — accenno solo per dare un'idea dell'ambiente dove il retaggio dei proverbi costituiva l'amalgama sociale, il filtro cognitivo in cui ogni avvenimento trovava una possibilità naturale di comprensione e di commento. Proprio una "sapienza" che sembrava ignorare, almeno su questo terreno, anche quegli invalicabili steccati di classe.

Adesso le giovani generazioni non parlano quasi più il dialetto. Ricordo a questo proposito che, trovandomi un giorno nelle campagne della Locride, in cerca fra i casolari ivi sparsi di uova fresche per i miei bambini, mi rivolsi in dialetto a un ragazzetto del luogo. Questi, dopo avermi guardata come fossi un marziano, mi rispose in perfetto italiano. Anche le condizioni sociali ed ambientali erano cambiate, sembrava in meglio. Ma qualcosa era irrimediabilmente tramontata: certi termini dialettali, sentenze, proverbi, che un tempo erano appunto la sapienza e la cultura del nostro popolo, un codice inappellabile cui sempre ci si riferiva. "U murtu* d'anticu no sbagghia mai": Il motto dell'antico non sbaglia mai.

Sentii che qualcosa era da salvare, anche se entro modestissimi limiti. Senza alcuna pretesa cominciai da allora ad annotare detti e proverbi che ricordavo per averli sentiti dai miei vecchi, dai miei contadini: dalle raccoglitrici di ulive chine a terra sotto gli alberi dall'alba al tramonto, dopo aver fatto chilometri a piedi per "cacciare" (camparsi) la giornata; dagli uomini addetti al frantoio, azionato tutto a forza di braccia, quando m'invitavano a sedere un po' con loro, accanto al fuoco vellutato della sansa, nelle fredde sere decembrine. Oppure ancora negli assolati e lieti giorni della vendemmia; nelle chiare mattine di aprile, allorchè sfidando le ire materne, mi arrampicavo sui gelsi con le operaie che provvedevano alla foglia per i bachi da seta. Gli alberi da rigogliosi e verdissimi diventavano in breve tempo, sotto le loro mani, miseri e scheletrici. E io intanto avevo imparato come si jetta una canzone d'amore e di sdegno:

 

 

Me' mamma mi mandau mu cogghiu fronda

                                               0lli' all'aria ola'

Mi detti pani picca e saccu randi

                                              0lli' all'aria ola'

E' mo' vaju e m'assettu sutt'a' n'umbra

                                             0lli' all'aria ola'

O saccullellu meu,  va' tu pe' frunda

                                           0lli' all'aria ola'

Mia madre mi ha mandato a cogliere la foglia – 0llì ecc.

Mi ha dato poco pane e un grande sacco da riempire;

Io mi andrò a sdraiare all'ombra di un albero;

E tu, sacchettino mio andrai da solo a far la foglia.

 

Mi rendo conto che questa modesta raccolta non è che una minima parte del tutto; né pensavo di destinarla alle stampe. Mi ha guidato soltanto una punta di nostalgia, e, soprattutto, un grande amore.

 

                                                     Isa Chiappinelli Rianò

 

* = murtu "motto, sentenza". Definizioni di termini dialettali e delucidazioni etimologiche sono, nella quasi totalità dei casi, desunte da G. Rohlfs, Dizionario Dialettale delle Tre Calabrie, voll. 3, Halle-Milano 1932- 39 (d’ora innanzi=D); Id., Lexicum Graecanicum Italiae Inferioris, Tübingen 1954 (=LG); C. Battisti - G. Alessio, Dizionario etimologico italiano, Firenze 1950-57(=DEI); P. Faré, Postille italiane al «Romanisches Etymologisches Wörterbuch» di W. Meyer-Lübke comprendenti le«Postille italiane e ladine di Carlo Salvioni», Milano 1972 (=F); M.Cortelazzo-C. Marcato, I Dialetti Italiani. Dizionario etimologico, Torino 1998 (=DIt).Quando non compare una di queste sigle, le annotazioni sono del curatore.

 

  

Segni particolari

 

X = chi, con forte aspirazione, come in tedesco ich, greco chilioi. Si noti che -ll- (cappellu, gallina ecc.) è nella pronunzia dialettale locale suono assai peculiare, caratterizzato da una lieve aspirazione, quasi -llh-. Si è preferita tuttavia la grafia  normalizzata -ll-.

 

*Indica l'equivalente italiano di voci dialettali rare.

 

< Significa: deriva da.

 

 

 

A

  

1.        A CASA ‘E GALANTOMANI, BUSSA CH’ I  PEDI.

 

A casa di signori, bussa coi piedi.

 

Amaro riferimento del povero all'avidità dei potenti, i "galantuomini" appunto, cui bisogna rivolgersi con le mani cariche di doni (e pertanto bussare alla porta con i piedi).

 

 

2.        A CASA ‘E ’MPISU NON ‘MPENDIRI  LUMERA.

 

A casa d'impiccato non appendere neanche la lucerna.

 

Non parlar di corda in casa d'impiccato.

 

 

3.        A CASA ‘E RICCU NON SI GUARDA FOCULARU.

 

A casa di ricco non si guarda il focolare.

 

Quando vai da chi ha la dispensa e la cantina ben fornite, non temere: si mangerà sempre bene, anche se la cucina ("focularu") è spenta.

 

 

4.        A CASA ‘I FORGIARU,  SPITU  ‘I  LIGNU.

 

In casa di fabbro, spiedo di legno.

 

Il colmo dei colmi: il fabbro usa lo spiedo di legno e non quello di ferro.

 

 

5.       ‘ A CCHIU BRUTTA È  ‘A  CUDA  ‘U  SI  SCORCIA.

 

La più brutta da scorticare è la coda.

 

La parte conclusiva di ogni impresa è la più difficile: in cauda venenum.

 

 

6.        ACQUAZZlNA  NON  PARINCHI  PUZZU.

 

La rugiada non riempie il pozzo.

 

Con le briciole, con le minuzie, col soldino dato e ricevuto, non ci si arricchisce.

 

 

7.        AD ACINA AD ACINA SI  PARINCHI  LA  MACINA.

 

Ad acino ad acino si riempie la macina.

 

Esattamente il contrario di quello precedente.

 

 

8.   A  CU  NON  AVI  FIGGHI

NON CERCARI  NÉ  FOCU  NÈ  CUNSIGGHI.

 

A chi non ha figli non chiedere né fuoco né consigli.

 

La maternità rende la donna matura e comprensiva. Se hai bisogno di un piccolo favore o di un consiglio, va' da una mamma.

 

 

9.   ‘A DONNA ‘E BBONA RRAZZA

‘I CINQUANTANNI   PORTA  ‘M BRAZZA.

 

La donna di buona razza a cinquant'anni porta in braccio.

 

Buon sangue non mente. A cinquant'anni, la donna "'e bbona rrazza" ha ancora un lattante.

 

 

10.  ‘ A  FACCIA  CHI  NON  CUMPARI

CENTU DUCATI  ‘I  CCHIÙ  VALI.

 

La faccia che non si mostra vale cento ducati di più.

 

La fanciulla riservata è apprezzata molto più di un'altra.

 

 

11.  ‘ A FIGGHIOLA   FIMMANA  ‘NT’A  FASCIA

 E ‘A DOTA ‘NT’ A  CASCIA.

 

La figlia femmina è ancora in fasce, e la sua dote deve essere già pronta nella cassa.

 

Le madri contadine di una volta avevano l'incubo della "dote": lenzuola, coperte, asciugamani ecc., tutti filati e tessuti a mano, fra stenti e privazioni; ci voleva una vita per fare un corredo. Perciò bisognava cominciare per tempo, prima forse che la "figghia fimmana" nascesse. Questa era considerata un mezzo guaio, una "cambiale".

 

 

12.   A FILA TIRATA  TESSI  PURU  ‘A  CRAPA.

 

Se le fila del telaio sono preparate, può tessere anche la capra.

 

Quando tutto è organizzato, previsto, avviato, chiunque può portare a termine un lavoro. Nel caso specifico, quando sul rustico telaio l'ordito è steso, la trama, la navetta e il resto sono in ordine, anche una... capra può tessere.

 

 

13.   ‘A GALLINA FACI  L'OVU  E  ‘U GALLU  CARCARÌA.

 

La gallina fa l'uovo e il gallo fa coccodé.

 

Simile al n° 31. "Carcariare" è il verso proprio della gallina che ha deposto l'uovo.

 

 

14.   ‘A GALLINA  ORBA* ‘I  NOTTI  PASCI.

 

La gallina cieca mangia di notte.

 

Il significato è piuttosto oscuro. Forse è un'allusione a chi, pur menomato, riesce, per vie sotterranee, ad arrangiarsi.

 

*Continua il lat(ino) orbus, come nel toscano popolare.

 

 

15.   ‘A  GATTA  PRESCILORA  FACI  I  GATTUZZI  ORBI.

 

La gatta frettolosa fa i gattini ciechi.

 

Presto e bene mai avviene.

 

 

16.                  AGGHIUTTIRI  GROMULA.*

 

Inghiottire rospi, letteralmente amarezza, dispiaceri.

 

Si dice quando si è amareggiati, costretti a incassare guai e angosce magari tacendo.

 

*(a)gromalaru è propr(iamente) il ‘melo selvatico’<greco agriómēlon LG.

 

 

17.   A GIUGNU  STAJU  COMU  SUGNU

A  GIUGNETTU  NON  CACCIU  E  NON  METTU.

 

A giugno resto come mi trovo, e a luglio non tolgo o metto niente.

 

In pratica, il "saio" del povero, del contadino non cambia col cambiare delle stagioni. Prudenza, o non piuttosto miseria? Intanto:

 

 

18.   AGUSTU E RIGUSTU È GIÀ CAPU D'IMBERNU.

 

 Agosto è inizio d'inverno.

 

...e allora non è più il caso neanche di pensarci.

 

 

19.   AMA CORI GENTILI E PERDI L’ ANNI

MA CU' VILLANI NON FARI DISIGNI.

 

Ama chi ha animo gentile e perdi la tua vita, ma non avere a che fare con gente villana.

 

Perdi pure i tuoi anni migliori ad amare una persona di buoni sentimenti, ma non fidarti di chi è rozzo e villano.

 

 

20.   ‘A  MADONNA  U  T’AXURA.

 

 La Madonna t’infiori.

 

Frase augurale rivolta per lo più a un benefattore, specie se ragazzo o ragazza. In Puglia il corrispondente è "Pozza fiurì".

 

 

21.   A  MAJU  NON  CANGIARI  SAJU.

 

A maggio non cambiare la tua "mise".

 

Non fidarti dei primi caldi.

 

 

22.   AMA L'AMICU  CU  LU  VIZIU  SOI.

 

Ama l'amico col suo difetto, così com'è.

 

Se vuoi veramente bene, accetta, dell'altro, anche i difetti.

   

 

23.   ‘A  MALA  NOVA  ‘A  PORTA  ‘U  VENTU.

 

 La "mala nuova" la porta il vento.

 

Le cattive notizie arrivano subito, quasi misteriosamente, sul filo del vento.

 

 

24.   AMARU  CU  È  NUDU,  MA CCHIÙ  AMARU  CU  È   SULU.

 

Misero chi è nudo, ma di più chi è solo.

 

La solitudine è la più triste delle povertà.

 

 

25.   AMARU CU ‘NDAVI BISOGNU.

 

Misero colui che ha bisogno.

 

Misero chi ha bisogno di chiedere, chi deve attendere qualcosa da altri.

 

 

26.   AMARU CU  NON  SI  RASPA CH’ I  MANI  SOI.

 

Misero chi non può grattarsi con le proprie mani.

 

Somiglia un pò al precedente, ma con qualche sfumatura: chi non fa da sé, non sarà mai soddisfatto.

 

 

27.   AMARU U  PICCIULU CHI  VAJ  ‘NT’ O  ‘RANDI.

 

Povero il piccolo che viene divorato dal grande.

 

Il pesciolino piccolo viene sempre divorato da quello più grande. Il "randi" è l'incubo dei piccoli, degli ultimi, degli indifesi.

 

 

28.   AMICI,  MA  FORA  ‘A  ‘NTERESSI.

 

Amici, ma interessi a parte.

 

 

29.   ANIMA  SI’   E  ANIMA  CRIDI.

 

Sei un’anima, e devi credere che anche gli altri ce l’abbiano.

 

Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te.

 

 

30.   A  PASCA  E  NATALI  SPARMANU*  I  VILLANI,

 D’ I  PARMI  E  D’I  XJURI  SPARMANU  I  SIGNURI.

 

A Pasqua e Natale fanno sfoggio nel vestire i villani, alle Palme e a Pentecoste i signori.

 

I signori non attendono le grandi festività per sfoggiare i vestiti nuovi.

 

*sparmare ‘pompeggiarsi, vestirsi magnificamente’D; si può confrontare con il laziale  sparmeggià ‘ricoprirsi di frutti’ detto dell’olivo,per cui vedi DIt.

 

 

31.   ‘A  PECURA (o anche: ‘A  CRAPA) SI  MUNGI

E ‘U  ZIMMARU*  SI  DOLI.

 

Viene munta la pecora e si lamenta il caprone.

 

Si dice di quando si lamenta altri di chi dovrebbe.

 

*. Lo "zimmaro" è il maschio della pecora o della capra, che, in questo caso, è sfruttata Da greco tardo chímaros ‘becco giovane’ D; LG.

 

 

32.  ‘ A  PORCELLA  MAGRA  LLA  GHIANDA  SI ‘NSONNA

 

La scrofa magra sogna le ghiande.

 

Si sogna, si pensa, si almanacca su ciò che si desidera: nel caso specifico, il maiale affamato "sogna" le ghiande.

 

 

33.   A  QUANDU  A  QUANDU  MI  MISI  MU  ‘STRAIU*

 VI’  CA  MI  VINNI  MOLLU  LU  CILIJU**.

 

Una volta tanto che ho voluto insaldare il filato per la tessitura, vedi un po’, ho fatto molle l'impasto.

 

Una volta tanto ho tentato una piccola impresa, e pure m'è andata male.

 

*strájiri ‘ammatassare,annaspare’< lat.extrahere D.

**ciliju ‘bozzima’< gr(eco) chylízō ‘inamidare’LG.

 

 

34.   ARANGI ARANGI  CU ‘NDAVI  GUAI  MU  SI  CIANGI.

 

 Arance, arance, che ognuno pianga i propri guai.

 

Si dice in senso dispregiativo, quando ci si chiude nel proprio egoismo e sui guai degli altri si vogliono chiudere gli occhi e il cuore.

 

 

35.   ARBURU  CHI  NON  FACI  FRUTTU  TAGGHIALU  D’ U  PEDI.

 

 L'albero che non porta frutto, taglialo dalle radici.

 

Non aver pietà per l'albero che non porta frutto.

 

 

36.   ARRASSU* ‘I  CCÀ  E  DI  TUTTI.

 

Lontano sia da noi e da tutti.

 

Frase d'obbligo e di scongiuro, quando si parla di un qualsiasi male terrorizzante.

 

* lontano (etimo ignoto).

 

 

37.   ARRITAGGHIA,  ARRITAGGHIARI

‘I  ‘NA  VESTA  FICI  ‘NU  FARDALI*.

 

Taglia e ritaglia, da un vestito è venuto fuori un grembiule.

 

Lo stesso significato ha il detto che segue:

 

* ‘grembiule’; da ‘falda’ DEI; DIt sotto voce fàuda.

 

 

38.   ARRITUNDA, ARRITUNDARI

‘I  ‘NA  PORTA  FICI  ‘NU  MANDALI.

 

Arrotando e piallando, da una porta ha fatto un nottolino.

 

Il falegname pignolo e maldestro, a furia di piallare e rifinire, da una

porta ricavò il nottolino ("mandali").

 

 

39.   ‘A  RROBBA  BBONA  FINU  ‘A  PEZZA

‘U  BONU  VINU FINU  ‘A  FEZZA.

 

La stoffa buona è tale anche quando è un cencio, e il vino, se buono, lo è fino alla feccia.

 

Le case — e le persone — se hanno buone qualità le conservano sino agli estremi.

 

 

40.  ‘ A  RROBBA  D’AVARU  VAJ  ‘MMANU  ‘O  SCIAMPAGNUNI.

 

La roba dell'avaro viene sperperata dal prodigo.

 

Di quello che l'avaro accumula, ne fa poi scialo il prodigo.

 

 

41.   ‘A  RROBBA  SI ’NDI  VAJ  C’ ‘U  PATRUNI.

 

La roba va via con la morte del padrone.

 

Finito il padrone, ogni cosa va in rovina.

 

 

42.   A RROVINA NON CI VOLI  SPARAGNU.

 

 Nella sciagura non si può fare economia.

 

Quando una sciagura si abbatte su di un povero diavolo, bisogna che

trovi comunque i soldi per fronteggiarla.

 

 

43.   A TAVULA  E  TAVULERI

SI  CANUSCI  LA  DAMA  E  ‘U  CAVALERI.

 

A tavola e al tavolino da gioco si riconosce la dama e il cavaliere.

 

Saprai se hai a che fare con una gentile dama e con un perfetto cavaliere, osservando come questi si comportano a mensa e al tavolo da gioco.

 

 

44.   A TIA  LLÀ  TI  VOTANU  ‘ I  CRAPI.

 

Il tuo gregge batte sempre quella strada.

 

Il pensiero, l'attenzione, l'azione sono polarizzate sempre verso ciò che ci interessa.

 

 

45.   ‘AUNDI  NON  T'APPARTENI  NÉ  MALI  E  NÉ  BENI.

 

Di cosa che non ti appartiene, non dire né male né bene.

 

Astieniti dal giudicare ciò che non ti riguarda.

 

 

46.  ‘ A  VERA  MARITATA  SENZA  SOCERA  NÉ’  COGNATA.

 

La vera maritata è senza suocera e senza cognata in casa.

 

Una donna, per essere felicemente sposata, non deve avere in famiglia ingerenze di suocera, o di cognata, o di chicchessia.

 

 

 

 

B

 

   47.   BARBA  XURITA  TENI  CARA  LA  ZITA.

 

Chi ha la barba fiorita di bianco, tiene cara la giovane sposa.

 

Lo sposo maturo ha molta cura della sua sposina.

 

 

48.   BARCA  STORTA  E  VIAGGIU  DRITTU.

 

Veliero malconcio e buon viaggio.

 

Non scoraggiarsi mai alle prime difficoltà. Il vento della fortuna cambia.

 

 

49.   BASTA  L'OSSU  U  STACI  ‘MPEDI,   C’  ‘A  CARNI  VAJ  E  VENI.

 

È importante che le ossa stiano insieme; la carne, il grasso va e viene.

 

Finchè si resta in piedi, e non ci si mette a letto, tutto va ancora bene: essere grassi o magri non importa molto.

 

 

50.   BASTA  U  CADI  ’NA  PETRA

E  SI  SDARRUPA  TUTTA  L'ARMACERA*.

 

Basta che ne cada una sola pietra ed il muro a secco viene tutto giù.

 

Se il tutto non è compatto, se qualcosa comincia a sgretolarsi, già è la rovina. L'armacera è l'immagine della famiglia, della società, di ciò insomma che s'è messo insieme con amore e fede, e comincia a franare inesorabilmente se solo c'è uno scricchiolio, una lacerazione.

 

*Da armacìa ‘muro a secco’ < greco hermakía, con influenza di macera, che deriva dal lat. maceria ‘muro di pietre’ DIt.

 

 

51.   BELLU  ’MBISTA  E  TRIVULU*  ‘N CASA.

 

Bello a vedere e tristo in casa propria.

 

Affabile con gli estranei, villano in famiglia.

 

* Trúvule con varianti ‘torbido’ da un lat. ricostruito turbulus D.

 

 

52.   BENEDICA, BENEDICAMU

CCHIÙ  POCHI  SIMU  MEGGHIU  STAMU.

 

Benedetti, benediciamo, in meno siamo e meglio stiamo.

 

Questo detto, come altri simili, è ispirato alla miseria cronica del nostro Meridione (solo negli ultimi decenni la situazione economica è alquanto mutata): una bocca in meno è un sollievo.

 

 

53.   BENEDITTA  CHILLA  PASTA

CHI  DI  VENNARI  S’IMPASTA.

 

Sia benedetta la pasta (ed il pane) che si fa di venerdì.

 

Una leggenda popolare narra con molta grazia che il panno bianco con cui la Veronica asciugò il volto del Cristo sofferente, fosse il ‘ fantasino’ (grembiule) che aveva addosso nell'impastare il pane. Il Salvatore, per questo gesto gentile e coraggioso, benedisse lei e tutte le paste che si sarebbero impastate di venerdì.

 

 

54.   BON CI CRISCI.

 

Ben vi s'accresca.

 

"Vi si accresca ogni bene". Saluto augurale che si fa a chi sta maneggiando dei beni per dimostrare che il visitatore non ha invidia nè malocchio, ma si compiace.

 

 

55.   BRODU ‘I  LANZOLA,  PINNULI  ‘I  CUCINA,

 E  SCIRUPPU  DI  CANTINA.

 

Ricetta sicura per rimettersi in salute: brodo dí lenzuola, manicaretti di cucina e vino di cantina.

 

  

 

 

C

 

   56.   CAMPA  SUMERI  CA  MAIU  VENI.

 

Campa somaro, che maggio giungerà.

 

Campa cavallo...

 

 

57.   CANI CHI ABBAIA ASSAI  MUZZICA  POCU.

 

Can che abbaia non morde.

 

 

58.   CARRIARI  L’ACQUA  C’ ‘U  PANARU.

 

Trasportare l’acqua nel paniere.

 

 Significa fatica inutile quanto sciocca impresa.

 

 

59.   CASA  FRABBICATA  FOSSA  SPALANCATA.

 

Costruita la casa, pronta la tomba.

 

La casa nuova porta male. Il malocchio opera funestamente, secondo radicate credenze.

 

 

60.   CASA  PICCIULA  E  FIMMANA  ‘NGEGNOSA.

 

Casa piccolina, donna geniale.

 

La donna "ngegnosa" sa sistemare tutto in poco spazio; ha molte risorse anche se mezzi ristretti.

 

 

61.   CA’ SCUSA D’ ‘U  FIGGHIOLU

‘A  MAMMA  SI  MANGIA  L'OVU.

 

Con la scusa del bambino, mangia l'uovo la madre.

 

Saper trarre profitto, senza parere, da ogni occasione. Sembrare, ma non essere, disinteressati.

 

 

62.   CCA TI VOGGHIU, CANI ‘I CURSU,  A ‘STA SAGLIUTA.

 

Cane da corsa, voglio vedere come affronti questa salita.

 

 "Qui si parrà la tua nobilitade".

 

 

63.   CENTU  L'ALLOCHI,  E  UNU  L'AFFOGHI.

 

Cento figli li metti a posto e uno solo lo rovini.

 

Chi ha tanti figli li sistema presto e meglio di chi ne ha uno solo. E’  simile a quello che dice "Undi’nc'è una, ‘nc'è a mala furtuna".

 

 

64.   CHILLU  C’ARRIVA  A  ‘NA  URA

 N’ARRIVA  A  CENT'ANNI.

 

Ciò che arriva in un momento non arriva in cent'anni.

 

 Si attende a lungo qualcosa che poi arriva improvvisa.

 

 

65.   CHILLU CHI SI SCIPPA CH’I DENTI SI ‘NDAVI.

 

Abbiamo quello che riusciamo a strappare con i nostri denti.

 

Quello che si riesce a rosicchiare, quello si ha. Se non ti arrangi, sei morto.

 

 

66.   CHILLU  È  OMU  ‘I   PANZA.

 

Quello pensa soltanto alla sua pancia.

 

Del mangiatore e bevitore, di chi è capace di vendersi per un piatto di lenticchie.

 

 

67.   CHILLU  C’ ‘U  PANI  MORÌU,  CHILLU C’ ‘U  FOCU CAMPÀU.

 

Sopravvisse colui che poteva scaldarsi e non colui che aveva da sfamarsi.

 

Si muore più di freddo che di fame.

 

 

68.                  CHILLU  È  ‘U  VERU  AMICU  CHI  TI  DUNA  MENZU  FICU.

 

Il vero amico è quello che, possedendo un solo fico, te ne dà la metà.

 

Neanche un fico intero. Chi divide con te il pochissimo di cui dispone, dà prova di vera amicizia e di affetto.

 

 

69.   CHILLU  S'ARROBBA  PURU  ‘A BARRITTELLA  SUA.

 

Quello è capace di rubare il suo stesso berretto.

 

Il ladro matricolato, pur di rubare, ruba anche a se stesso.

 

 

70.   CCHIÙ  FORTI  È  ‘A  TIMPESTA

  CCHIÙ’  PRESTU  VENI  ‘A  CARMA.

 

Più violenta è la tempesta, e più presto viene il sereno.

 

Dopo gli scroscianti temporali, si ha subito il sereno. Bisogna avere fede, dice questo proverbio, anche nelle più gravi avversità.

 

 

71.   CCHIÙ  SCURU  D’ ‘A  MENZANOTTI  NON  POT’ESSERI.

 

Come il napoletano: “Dicette o scarrafone: Po’ chiovere ‘gnostro (=inchiostro) comme vo’ isso,   cchiu niro’ e comme songo nun pozzo addiventà”.

 

 

72.  CCHIÙ  ‘U  CAVALLU  È  IESTIMATU  CCHIÙ  SI  LUCI  ‘U  PILU.

 

 Più imprecazioni ha il cavallo e più bello e prestante diventa.

 

 Ha buona sorte alle volte chi è più maltrattato.

 

 

73.   CIANGI  E  ARRIDI  COMU  ‘A  GATTA  ‘E  SAN  BASILI.

 

Piangi e ridi come la gatta di San Basilio.

 

Si dice a chi passa con facilità dal riso al pianto. Cosa c'entra la gatta di San Basilio lo sapevano forse i nostri vecchi.

 

 

74.   CIANGITIMI  A  MARITUMA  CA  E’ ‘ND’AIU  M’ABBALLU.

 

Piangete voi mio marito morto, io devo ballare.

 

Argutissimo modo di dire di quando qualcuno delega altri a occuparsi delle proprie cose, anche se della massima importanza, per potersi sollazzare.

 

 

75.   COMU È ‘U  TEMPU  SI   MENTI  ‘A  VILA.

 

Come è il tempo, si mette la vela.

 

 

76.   CORNUTU  E  VASTONIATU.

 

Cornuto e bastonato.

 

Subire il danno e la beffa.

 

 

77.      COSI  NOVI,  SIGNURI,  PURU  CA  SU'  VASTUNATI..

 

Signore, mandateci qualcosa di nuovo, anche legnate!

 

La vita monotona è stagnante e terribile.

 Si preferisce il nuovo, anche (per esagerazione) se non lieto.

 

 

78.      CU’ BELLA  VOLI  PARIRI   PENI  E  GUAI  ‘ND’AVI  A  PATIRI.

 

Colei che bella vuole apparire, pene e guai deve soffrire.

 

 Significato chiaro. Proverbio diffuso in molte regioni.

 

 

79.   CU’  DASSA  ‘A  VECCHIA  P’’A  NOVA

 SAPI  CHI  DASSA  E  NON  SAPI  CHI  TROVA.

 

Chi lascia la vecchia strada per la nuova, sa quello che lascia e non quello che trova.

 

Ci vuole cautela nel decidere i cambiamenti, nell'imboccare nuove strade.

 

 

80.      CUCCI  CUMANDA  A  CANI  E CANI  CUMANDA  A  CUCCI.

 

 Il cucciolo comanda al cane ed il cane al cucciolo.

 

Fare a scaricabarile.

 

 

81.   CUCCU  MEU  DI  SITA,

 QUANT'ANNI  ‘NCI  VONNU  MU  MI  FAZZU  ZITA?

 

Cuculo mio di seta, quando sarò sposa?

 

La zita è la sposa. Nelle notti estive di luna, la ragazza, trepida, chiede al cucùlo, lusingandolo, quanto tempo manca alle sue nozze.

 

 

82.   CUCCU  ME’  D’ORU, 

QUANT'ANNI  ‘NCI  VONNU   PE’ MMU  MI ‘NCI  MORU?

 

Cuculo mio d'oro, tra quanti anni morirò?

 

Altra domanda rivolta al cucùlo. Si contano i suoi "chiù" che corrispondono agli anni di vita che restano.

 

 

83.   CU’ FACI  ZAPPI  FACI  PURU  ZAPPUNI.

 

Chi fa le zappe, fa anche gli zapponi.

 

Chi è infedele nel poco, lo è anche nel molto.

 

 

84.   CU’ GATTU  NASCI,  SURICI  PIGGHIA.

 

Chi nasce gatto, prende topi.

   

 

85.   CU’ MANGIA  CU TANTI  VUCCHI , S’AFFUCA.

 

 Chi mangia con troppe bocche, si ingozza.

 

"Chi troppo vuole niente ha".

 

 

86.   CUMPARI,  LA  DOMINICA T'IMBITU

PORTA  LU  PANI  CA  LU  MEU E' MUCATU*

PORTA  LU  VINU  CA  LU  MEU  ESTI  ACITU

PORTA  LA  CARNI  CH’EU  MENTU  LU  SPITU.

CUMPARI,  LA  DOMINICA T'IMBITU.

 

Compare ti invito per domenica. Porta il pane perchè il mio è ammuffito, porta il vino chè il mio è aceto, porta la carne, io fornirò lo spiedo. Compare, sei invitato domenica.

 

 * mucare “muffarsi”, mucu “muffa”< lat. mucus “moccio” F.

 

 

87.   CU’  MPILA  E  SPILA  NON  PERDI  MAI  TEMPU.

 

Chi cuce e scuce non perde mai tempo, ma non conclude.

 

Si dice di chi si illude di far qualcosa, ma non viene mai a capo di nulla.

 

 

88.   CU’  ‘ND’AVI   DU DUCI,  ‘ND’AVI  AD AVIRI  PURU  D’AMARU.

 

 Chi ha la sua parte di dolce, ha anche la sua parte d'amaro.

 

Gli onori sono oneri. I beni e le gioie della vita non vanno disgiunte dagli affanni. Non c'è rosa senza spine.

 

 

89.    CU’  NON  BOLI  U  PAGA  ‘O  MASTRU

PAGA  MASTRU  E  MASTRICCHIU.

 

Chi non vuole pagare il maestro, finisce per pagare maestro e apprendista.

 

Fidati dell'esperto, non credere di fare economia con artigiani improvvisati, o con apprendisti.

 

 

90.   CU NON CRIDI,  U ‘NCAPPA.

 

A chi non mi crede, gli capiti (lo stesso malagurato evento).

 

 

91.   CU’  PAGA  AVANTI  MANGIA  PISCI  FETENTI.

 

 Chi paga in anticipo, mangia pesce che puzza.

 

Non fidarsi, non dare anticipi sui pagamenti, pena mangiare "pisci fetenti".

 

 

92.   CU  PATRI  E  CU  PATRUNI

 SEMPI  TORTU  E  MAI  RAGIUNI.

 

Col padre e con il padrone avrai sempre torto e mai ragione.

 

Amara riflessione del figlio e del servo. Ma il "padre padrone" ed il superiore spietato, pare, per fortuna, che sia una razza in via di estinzione.

 

 

93.   CU  PECURA  SI  FACI  ‘U  LUPU  S’ ‘A  MANGIA.

 

 Chi diventa pecora è preda del lupo.

 

Chi non sa difendersi, finisce vittima del più forte.

 

 

94.   CU  PORCU  MANGIA,  PRESTU  ‘INGRASSA.

 

Ingrassa presto chi mangia come un maiale (porcu ha qui questo significato).

 

Ingrassa presto chi non va tanto per il sottile, chi non si fa scrupoli, chi arraffa.

In senso traslato, allude anche a chi s'arricchisce illecitamente.

 

 

95.   CU  S'ANNAMURA  ‘I  CAPILLI  E  DENTI,

 S'ANNAMURA ‘ I  POCU  E  DI  NENTI.

 

Chi si innamora di capelli e di denti, si innamora di poco, anzi di niente.

 

"Ombra di un fiore è la bellezza", ma i denti e i capelli sono quelli che, trascorsa la prima giovinezza, perdono per i primi il loro fulgore.

 

 

96.   CU  SI  CURCA  CU  FIGGHIOLI  SI  LEVA  LORDU.

 

Chi va a letto con bambini, si alza sporco.

 

Chi si fida dei bambini o degli insensati  è uno stolto.

 

 

97.   CU  SI LAVA  CU D’ACQUA  ‘E  MAIJLLA*

RESTA  BELLA  STA  SIMANA  E CHILLA.

 

Chi si lava il viso con acqua di madia resta bella per due settimane.

 

L'acqua di crusca, che si otteneva mettendone un pugno in un sacchetto a bagno, era adoperata un tempo per le cure di bellezza. Più efficace ancora doveva apparire l'acqua con cui si era risciacquata la madia dopo impastato il pane.

Le nostre donne di un tempo non mancavano di rinfrescarsi ogni volta che panificavano, sicure di restare belle fino alla volta prossima.

 

* ‘madia’; da un ricostruito magilla, derivato dal greco-latino magis D.

 

 

98.   CU  SI  MARITA  È’  CONTENTU  NU  JORNU

CU  AMMAZZA ‘U  PORCU  È CONTENTU  PE’ N’ ANNU.

 

Chi si sposa è contento un giorno, chi uccide il maiale è felice per un anno.

 

Per la cronica fame delle nostre campagne, chi uccide il maiale, e ha provviste per un anno, sta meglio di chi si sposa che fa baldoria solo per un giorno e poi è ripreso dalle necessità quotidiane.

 

 

99.   CU  TI  VOLI  BENI  CCHIÙ’  DI  MAMMA

 O  TI  TRADI*  O  T' INGANNA.

 

Chi pretende di volerti bene più di tua madre, ti inganna o ti tradisce.

 

Non c'è amore più grande di quello materno: chi pretende di farti credere il contrario è un traditore.

 

* trádere ‘tradire’ D. Si noti un tratto conservativo del dialetto: l’accentazione è quella di latino tradere ( propriamente ‘consegnare al nemico’).

 

 

100.   CU  TI  VOLI  BENI  TI  FACI  CIÀNGIARI 

CU  TI  VOLI  MALI  TI  FACI  RÌDARI.

 

Chi ti vuole bene ti fa piangere, chi ti vuole male ti fa ridere.

 

Il richiamo, la correzione, il rimprovero provengono da chi ti ama; la lusinga, le blandizie, spesso da chi vuole il tuo male.

 

 

101.   CU  VAJ  A ‘A  FERA  SENZA  TARÌ

VAJ  CU ‘NU  DISIDERIU  E  TORNA  CU  TRI.

 

Colui che va alla fiera senza soldi va con un desiderio e torna con tre.

 

Inutile andare alla fiera senza soldi: si rischia di tornare a casa non solo senza aver comprato il necessario, ma con tanti desideri insoddisfatti.

 

 

102.   CU  VAJ  ALL'ACQUA  NON  TENI  A  FIGGHIOLA.

 

 Chi va ad attingere l'acqua, non può tenere in braccio la bambina.

 

 Non si possono fare due cose contemporaneamente.

 

 

103.   CU  VAJ  A  MARI  ‘STI  PISCI  PIGGHIA.

 

Chi va per mare prende questi pesci.

 

Chi si espone ad un pericolo, subisce le conseguenze.

 

 

104.   CU  VOLI  ANDA*,  CU  NON  BOLI  MANDA.

 

Chi vuole va, chi non vuole manda.

 

Chi vuole ottenere qualcosa, s'interessa personalmente, chi delega altri, non ottiene.

 

* Corrisponde all’uso anda “va” dell’italiano antico (sec. XIII).

 

 

 

 
D

 

   105.   DA’ CANDILORA  U  ‘MBERNU  È  FORA.

 

Alla Candelora ( febbraio) l'inverno è finito.

 

Per la festa della Candelora, nel nostro Meridione, può considerarsi finito l'inverno.

 

 

106.  “ DAMMI  ORGIU  CA  TI  PORGIU

 DAMMI  MIGGHIU  CA  TI  FIGGHIU”  DISSI  A  GALLINA.

 

"Dammi orzo e io ti porgo (l'uovo), dammi miglio e ti figlio (faccio l'uovo)", disse la       gallina.

 

Do ut des.

 

 

107.   DAMMI  TEMPU  CA  TI  CUVU*

’NCI  DISSI  ‘U  SURICI  D’ ‘A  NUCI.

 

Dammi tempo e ti svuoterò – disse il topo alla noce.

 

Gutta cavat lapidem.

 

* cuvare “scavare” è deverbale da cúfalu, cúfolo “vuoto”, che viene confrontato con greco volgare koúphalos ‘cavo’ ‘vuoto’D.

 

 

108.   DDEU,  E  NON  PEJU.

 

 Signore, non peggio di così.

 

È un grido di rassegnazione, ma anche d'invocazione: "Non peggio di

così!"

 

 

109.   DI’  CAMATRI**  DIU  ’NC'È  PATRI.

 

Dio è padre agli sfaticati.

 

La Provvidenza aiuta gli sfaticati.

 

** Poltrone, ozioso, sfaticato < gr. tardo kamaterós ‘penoso’ D (diversamente in LG).Per un approfondimento di questa voce, che in alcune varianti vale altresì ‘attivo’, vedi F. Fanciullo,  Grecismi vecchi e nuovi:alcune etimologie italiane dialettali ‘L’Italia Dialettale’, 43, 1980, pp. 75-100,  specie pp. 89 ss.

 

 

110.   DINARI  E SANTITÀ’  METÀ’  DI  LA  METÀ’.

 

Soldi e santità, calcolare metà della metà (di quanto si dice).

 

Non credere a chi blatera di molte ricchezze o di grandi santità.

 

 

111.   D’ I  SANTI  ‘A  NIVI  E’  CANTI

D’ I  MORTI  ‘A NIVI  E’  PORTI.

 

Ai Santi la neve è accanto, ai Morti la neve alle porte.

 

 Con le feste dei Santi e dei Morti, arriva l'inverno.

 

 

112.   D’I  VALENTI  NON  C'È’  NENTI.

 

Ai valenti, (Dio) non è niente.

 

Cioè, bisogna che si aiutino da sè.Cfr. il no 109. 

 

 

113.   D’I   VOTI  ‘ND’AVI  U  SI  SCINDI  ‘U  SCALUNI.

 

 A volte bisogna scendere uno scalino.

 

Si dice particolarmente di quando si deve rinunciare al proprio rango. Bianca Trao, nel "Mastro Don Gesualdo", è costretta dalle circostanze a sposare Gesualdo Motta; nei tempi andati erano molto sentite, nel nostro Meridione, le distanze tra le varie categorie sociali.

 

 

114.   DOPPU  CHI  CHIOVI  ‘NA  BELL' ACQUA.

 

Dopo la pioggia, l'acqua.

 

Arrivare quando si è già provveduto.

 

 

115.   D’ ‘U CARU  ACCATTA  POCU  MA  D’ ‘U  MERCATU  PENZA.

 

Di ciò che costa caro compra qualcosa, di ciò che è a basso prezzo pensaci prima.

 

Compra ciò che costa caro, anche se con parsimonia, e diffida di ciò che costa poco.

 

 

116.   DUNDI  VEGNU ?  VEGNU D’’U  MULINU.

 

"Da dove vengo? Vengo dal mulino".

 

Si usa a proposito di chi torna a casa infuriato e si sfoga sui malcapitati parenti.

Non si capisce però perchè chi torni dal mulino si senta in diritto di bastonare la moglie o chicchessia.

 

 

117.   DURU CU  DURU  NON  FRABBICA  MURU.

 

 Duro con duro, non cementa il muro.

 

Bisogna che una delle due parti ceda perchè si possa trovare l'accordo e l'unione.

 

 

  

E

 

 

 

118.              È  ARTA  ‘A  MANGIATURA.

 

È alta la mangiatoia.

 

È difficile raggiungere una posizione elevata e finanziariamente tranquilla, e anche restarci a lungo.

 

 

119.   ED  URA  CHI  MANGIAI  E  CHI  BIPPI  BONA,

MI  LA  VOGGHIU  JETTARI  ‘NA  CANZUNA.

 

E ora che ho mangiato e bevuto bene, me la voglio cantare (letter. gettare) una canzone.

 

 

120.   È  ‘NUTILI  CA  FAI  LU  MUSSU  A  FUNGIA

 CA  PRIMA  SI  FATICA  E  P0’  SI  MANGIA.

 

È inutile che allunghi il muso: prima si lavora e poi si mangia.

 

"Chi non lavora non mangia" dice San Paolo (e suona la canzone di Celentano). Inutile perciò immusonirsi.

 

  

F

 

 

 

121.   FA’  BENI  E  SCORDATI,  FA’  MALI  E  GUARDATI.

 

 Fai del bene e dimentica, fai del male e stai attento.

 

 Fai del bene e dimentica. Ma se hai fatto del male, devi essere guardingo.

 

 

122.   FACIMMA  ‘A  CAMMISA  D’’U  SURICI.

 

Abbiamo fatto la camicia del topo.

 

Si dice di un lavoro condotto male, molto ingarbugliato, inestricabile:

ad esempio di maglia, telaio, uncinetto, cucito, ecc.

 

 

123.   FA’  COMU  T’ È  FATTU  CA  PECCATU  NON  È.

 

 Fà come ti vien fatto, non è peccato.

 

La legge del taglione.

 

 

124.   FARI  DU’  PARTI  ‘N  CUMMEDDIA.

 

 Fare due parti nella stessa commedia.

 

 Si dice della persona infida, sleale, doppia.

 

 

125.   FARI ‘U  “DICUMU  E  DISSI”,  oppure

FARI  ‘U  “LEVA E PORTA”.

 

Si dice di chi va pettegolando e mettendo zizzania.

 

 

126.   FARI  ‘U  GATTU  ‘NT’’E  CUCUZZARI.

 

 Fare il gatto fra le piante di zucca.

 

Fare il sornione, come il gatto che si nasconde, prima di aggredire la preda, sotto le ampie foglie della zucca. Fare lo gnorri.

 

 

127.   FARI  ‘U  ZINGARU  ‘MBRIACU.

 

Fare lo zingaro ubriaco.

 

Fare lo gnorri.

 

 

128.   FATI  LARGU,  CA  PASSA  LA  ZITA, LA MUGGHIERI DI COCCIU D'ORGIU,  È  VESTUTA  DI  CALAMU*  E  SITA:  FATI  LARGU  CA  PASSA  LA ZITA.

 

Fate largo che passa la sposa, ch'è la moglie di grano di miglio, è vestita di bisso e di seta: fate largo che passa la sposa.

 

Si dice di persona che passi, inceda altera e boriosa vestita di tutto punto, e che attenda l'omaggio di tutti.

D'altronde si tratta solamente della moglie di grano di orzo, o di miglio...

 

*La bambagia che avvolge il bozzolo del baco da seta < gr. kálamos ‘canna’ D.

 

 

129.   FIGGHIOLA,  SEDI,  SEDI,  CA  LA TO’  FURTUNA  VENI.

 

Ragazza, non affannarti, la tua fortuna verrà.

 

"Ragazza siedi e lavora, non ti affannare per il tuo avvenire, la fortuna non ti mancherà".

 

 

130.   FIGGHIOLI  FIMMANI  E  VINU

 CACCIATILLI  C’’U  PROMENTINU*.

 

Figlie femmine e vino buttali fuori al più presto.

 

Il vino tenuto a lungo rischia di andare in aceto.

Le ragazze sfioriscono e diventano bisbetiche: l'uno e le altre, consiglia il proverbio, "cacciatilli" alla prima occasione.

 

* Primaticcio < lat. primitivus F.

 

 

131.  “ FOCU  ME’ ‘ RANDI”,  DISSARU  LI  GRILLI

QUANDU  MISARU  FOCU  ALLA  RASTUCCIA.

 

"Sciagura nostra grande" dissero i grilli quando videro che venivano bruciate le stoppie.

 

 

132.   FORA ‘E MIA,  A  CU'  PIGGHIA  PIGGHIA.

 

 Il malanno a chiunque, all'infuori che a me.

 

 "Dopo di me il diluvio".

 

 

133.   FORA  GABBU  E  FORA  MARAVIGGHIA.

 

 Non farsi beffe e non meravigliarsi.

 

Non bisogna farsi beffe, nè criticare chicchessia: il male potrebbe ricadere su di noi, come ci ricorda un proverbio che è analogo a questo:

 

 

134.   FORA  ‘I  CCÀ  E  DI  NUI.

 

Si dice di una calamità, di una sventura, di un male terribile.

 

 

135.   FRABBICA  E  LITI,  PROVATI  E  VIDITI.

 

Costruzioni e liti, provate e vedrete.

 

Difficoltà, spese, imprevisti, per chi vuole costruire una casa o impiantare una causa in tribunale. Provare per credere.

 

 

136.   FREVARU  AFFREVA  ‘A  TERRA.

 

 Febbraio mette la febbre alla terra.

 

Febbraio è quasi primavera, riscalda la terra e fa germogliare ogni seme, ogni albero, ogni pianticella.

 

 

137.   FREVARU,  CURTU  ED  AMARU.

 

 Febbraio, breve e misero.

 

Corrisponde all'italiano "Febbraio, febbraietto...” Ma Febbraio risponde:

 

 

138.   “FREVI  MU ‘ND’AVI  CU  FREVI  MI  MISI 

CH’E’  SUGNU  ‘U  XURI  DI  TUTTI  LI  MISI.

 

"Abbia febbre chi mi ha chiamato Febbraio chè io sono il fiore di tutti i mesi.”

 

(o anche: AMARU  È  CU ‘U  DICI,  CH’E’  SUGNU  ‘U  MEGGHIU  D' AMICI.

 

Tristo è colui che lo dice perchè io sono il migliore fra gli amici).

 

 

 

G

  

 

139.   GNARSÌ, GNARNÒ, SECUNDU ACCURRI.

 

Sissignori, nossignori, secondo l'occorrenza.

 

Si dice dei voltagabbana, di persone senza solidi principi, degli ipocriti.

 

 

140.   GUARDATI D’ ‘I’ SIGNATI ‘I  DDIU.

 

 Guardati dai segnati da Dio.

 

Si crede che i "segnati" cioè zoppi, gobbi, ciechi, ecc. siano anche persone malfide.

 

 

 

 

 

I

 

 

        141.   JAMU  COMU  CICIARI  ‘O  CRIVU.

 

Roteare come ceci nel crivello.

 

I ceci, quando vengono abburattati nel crivello, girano intorno senza posa nel movimento rotatorio.

Così sbattute si sentono a volte le persone, quando sono costrette a darsi molto da fare.

 

 

142.   JAMU  COMU  LAZZU*  ‘I  CAPPELLU.

 

Girare come il nastro del cappello.

 

Il nastro del cappello gira intorno alla calotta... all'infinito. Lo stesso significato del precedente, meno pittoresco.

 

*Laccio.

 

143.   IANARU,  SCORCIA  ‘A  VECCHIA  ‘O  FOCULARU.

 

 Gennaio, scortica la vecchia il focolaio.

 

Non si capisce se sia il focolare a essere scorticato dalla vecchia freddolosa a furia di rimestare il fuoco, o sia questo ad arrostire e quindi a "scorciare" (spellare) la vecchia.

 

 

144.   IANARU  SICCU,  MASSARU  RICCU.

 

Gennaio secco, massaio ricco.

 

Va bene per il massaio se a Gennaio non piove.

 

 

145.    IANARU,  PUTA  PARU**.

 

 A Gennaio, pota tutti gli alberi.

 

A Gennaio, nel caldo meridione, bisogna già potare tutte le piante.

 

**Pari pari.

 

 

146.   I  BELLI  E  LLI  BRUTTI  ‘A  TERRA  S’ AGGHIUTTI.

 

 Belli e brutti inghiotte la terra.

 

"Vanità delle vanità, tutte le cose sono vanità".

 

 

147.   ‘I  CHILLU  CHI  BIDI,  POCU  CRIDI,

‘I  CHILLU  CHI  SENTI  NON  CRIDIRI  NENTI.

 

Di quello che vedi, credi poco, e di quello che senti, niente.

 

Fidati poco degli occhi tuoi stessi, e niente addirittura delle ciarle e maldicenze che senti.

 

 

148.  ‘I  COSI  LONGHI  DIVENTANU  SERPI.

 

 Le cose che vanno per il lungo diventano serpi.

 

Bisogna affrontare e risolvere le cose; le lungaggini non portano a nulla di buono: diventano come serpenti, strisciano, si aggrovigliano.

 

 

149.   I  FIGGHIOLI  SI  CRISCINU  C’ ‘U  PANI  ‘NT’’E MANI  E I BOTTI  ‘NT’’O CULU.

 

I figli si crescono con il pane in mano e le sculacciate.

 

 

Non lesinare ai tuoi figli il pane, ma neanche la punizione. Corrisponde al pugliese:

"Mazze e panelle fanno i figli belli”.

 

 

150.   I GUAI D’’U  PIGNATU  ‘I  SAPI  SULU  ‘A  CUCCHIARA.

 

I guai della pignatta li conosce soltanto il mestolo.

 

Non è dato di conoscere le piaghe nascoste di una persona, di una famiglia, di una casa se non a chi vi è addentro.

 

 

151.  JIDITA  LONGHI  ‘E  MANU  GENTILI

FACCI  DI  DAMA  CHI  MI  FA  MORIRI.

 

Lunghe dita di mano gentile, faccia di dama che mi fa morire.

 

Elogio della propria bella, dalle dita affusolate e dal viso soave.

 

 

152.   I  JESTIMI  SU’  ‘I  CANIGGHIA*  CU ‘ I  MANDA  S’ ‘I   PIGGHIA.

 

 Le imprecazioni sono come la crusca, ricadono su chi le manda.

 

La crusca, buttata in aria, ricade addosso; così è delle imprecazioni e delle bestemmie.

 

*crusca, da un ricostruito canilia D.

 

 

153.   JIRI   ARCELLIJANDU.

 

 Andare uccellando.

 

L'uccellare è spasso da signori, perditempo, insidia, beffa. Si guardi bene dunque, la persona seria e posata, dal farlo.

 

 

154.   JIRI  CH’ ‘I   MANI  ‘NDOLI  ‘NDOLI.

 

Andare con le braccia ciondoloni.

 

Andare in giro con le mani in tasca, senz'armi per difendersi, oppure, se si va in visita, senza doni.

 

 

155.   JIRI  VIDENDU  QUALI  FURNU  FUMA.

 

Andare cercando quale forno fumiga.

 

Non farsi i fatti propri.

Oziare, cicalare, fiutare il vento.

 

 

156.  ‘I  ‘NU  PILU  SI  FACI  ‘NU  PALU.

 

Da un pelo si fa un palo.

 

Quando si esagera.

 

 

157.   I  PEIU  GUAI  SU’  CHILLI  SENZA  PANI.

 

I guai peggiori sono quelli senza pane.

 

"I guai cu’ pani" sono sempre meno duri di quelli accompagnati dalla miseria.

 

 

158.   ‘I   PENI D’ ‘A  SCHIETTA

SUNNU  I  GODIMENTI  D’ ‘A   MARITATA.

 

Le pene della ragazza sono le gioie della donna sposata.

 

Questo proverbio ha un doppio significato.

Le pene della ragazza per la donna sposata che ha pesi e responsabilità, sono cose lievi che costituirebbero una gioia.Viceversa, la zitella si rode pensando che la "maritata" abbia felicità e soddisfazioni che a lei mancano.

 

 

159.   I  PERDUTI  DDEU  LI  VOLI  ARRICCHISCIUTI.

 

Gli "ultimi" Dio li vuole far prosperare.

 

Quando ci sente perduti di più, allora "là c'è la Provvidenza".

 

 

160.   I  PRIMI  PARENTI  SUNNU  I  DENTI .

 

I primi parenti sono i propri denti.

 

Bada prima al tuo pane e poi a quello degli altri.

 

 

161.   I  SAPUTI, ‘I  VOLI  PERDUTI.

 

 I saccenti (Dio) li vuole perduti.

 

Guai ai saccentoni con la loro vana boria.

 

 

162.   ‘I  SETTI  S’ASSETTA.

 

A sette si fa sedere (il bambino).

 

Non mettere a sedere i bambini prima dei sette mesi.

Norma igienica perchè non si danneggi l'ancora debole schiena.

 

 

163.   I  SORDI  DI  LL’ATRI  SI  MISURANU C’ ‘A   MENZALORA.

 

 I soldi degli altri si misurano con la "mezzalora".

 

Si esagera sempre quando si parla delle altrui ricchezze. La "menzalora" è una delle antiche misure calabresi: tumanu, menzalora, quartu, stuppellu, stuppelluzzu.

 

 

164.   I  SUMERI  SI  SCERRIJANU

E  I  BARRILI  VANNU  P’ ‘O   MENZU.

 

I somari si azzuffano ed i barili ne soffrono le conseguenze.

 

Nei paesi dove scarseggia, l'acqua si portava una volta con gli asini, nei barili. Se i somari si azzuffano, è facile immaginare cosa succede ai barili.

 

  

L

 

 

 

165.   LA  DONNA  ‘MPASTA  E  SPASTA

 LU  FURNU  ACCONZA  E  GUASTA.

 

La donna impasta e rimpasta, ma è il forno che aggiusta o guasta.

 

La donna lavora e rimpasta la pasta (del pane, dei biscotti, dei dolci) ma, se non è ben regolato, il forno può rovinare, o viceversa "acconciare" tutto.

 

 

166.   LA  MIA  PATRUNA  TRI  FARDETTI  AVÌA: UNA  ERA  VECCHIA,  L'ATTRA  NON  SERVÌA  E  L'ATTRA  DI  LI  SPALLI  SI  CADÌA.

 

La mia padrona aveva tre vestiti (nell'antico dialetto fardetta,- che veniva a coprire anche la testa,- o saia ) ma uno era vecchio, l'altro non serviva più e il terzo le cadeva dalle spalle.

 

Il significato è chiaro.

 

 

167.   LATTI  E  MELI,  TIRA  CA  VENI.

 

Latte e miele, tiralo e viene.

 

Bisogna che il lattante (o il lattonzolo) si attacchi bene al seno materno perchè fluisca il latte.

 

 

168.   LAVA  LORDU  E TORCI  FITTU.

 

Lava sporco, ma strizza bene.

 

Anche l'acqua è preziosa in certe depresse zone del Sud. Ma – ci si consola – basta strizzare bene i panni lavati anche in poca acqua, e sembrano puliti.

 

 

169.   L'ERBA  CA  XEDI* TI  VENI  ‘NT’ ‘E  PEDI.

 

 L'erba che aborrisci ti viene tra i piedi.

 

L'erba più odiosa ti capita sempre fra i piedi. Si dice di persona, di cosa, di circostanza.

 

* xédiri ‘aborrire’, da una supposta forma  greca khedéuo ‘abominare’(?) D, LG.

 

 

170.   LIGAMU  ‘U  CIUCCIU  UNDI  VOLI  ‘U  PATRUNI.

 

 Leghiamo l'asino dove vuole il padrone.

 

Gli ordini non si possono discutere.

 

 

171.   LI  LIGNA  COMU  SU’  FANNU  LI  VRASI

 LI  DONNI  COMU  SU’  FANNU  LI  COSI.

 

Come è la legna, così la brace, come la donna, così il suo operato.

 

"Non si può cogliere uva dai triboli e fichi dalle spine". Il legno buono dà buona brace, la donna assennata e saggia fa tutto per bene.

 

 

172.   LI  MURTI  MANI  DDEU  LI  BENEDISSI

"MA  NO  A  LU  PIATTU  MEU".

 

Le molte mani Dio le ha benedette: "ma non al mio piatto".

 

Molte mani, molto reddito. Ma, aggiunge il montanaro (ovvero "u serrisi",derivato dal latino serra nel senso geomorfico di ‘catena di monti’), non al mio desco: molte bocche lo impoveriscono.

 

 

173.   LU  CANI  CH’È  ‘MPARATU  A  LA  FARINA

SCASSA  LI  PORTI  DI  LU  MULINARU.

 

Il cane abituato a mangiare la farina, sfonda la porta del mugnaio.

 

Colui che è schiavo di un vizio, non recede davanti a nessun ostacolo.

 

 

174.   LU CIUCCIU  MEU  TANTU  AVANTATU

È  RIDUTTU  A  CARRIARI  PETRA.

 

Il mio ciuccio, tanto vantato, è ora ridotto a trasportare pietre.

 

Si dice di speranze deluse, di promesse non mantenute; o di persona valente e altolocata che, per fatti contingenti, deve abbassarsi a umili servizi, a modeste mansioni.

 

 

175.   LUNA LUNELLA FAMMI ‘NA PITTA* E ‘NA CULLURELLA** SINNÒ NCHIANU  SCALI  SCALI  E  TI  RRUPPU  LI  GANGALARI***.

 

Luna, piccola luna, fammi una focaccia, una torta, altrimenti salgo, su su per tante scale, e ti rompo quelle grandi ganasce.

 

È una filastrocca che i bambini cantano alla luna: vi è sempre presente il motivo della fame: alla luna si chiede solo pane, in fondo.

 

* pitta, cfr. greco volgare pítta D.

**cullura ‘buccellato, pane rotondo a guisa di ciambella col buco’,dal greco volgare kolloúra per il classico kollyra D.

*** gangalari. Da ganga, gangale ‘mascella’ D, dal gotico wango ‘guancia’ DIt.

 

 

176.   LUPU  CU  LUPU  NON  SI  MANGIA.

 

 Lupo non mangia lupo.

.

I lupi non si mangiano tra di loro, ma divorano gli agnelli.

Amara riflessione del popolo minuto che si riferisce ai potenti, ai voraci, agli oppressori.

 

  

M

 

 

 

177.   MALADITTA  CHILLA  TRIZZA

 CHI  DI  VENNARI  S’INTRIZZA.

 

Maledetta quella treccia che si intreccia di venerdì.

 

Le nostre nonne, in omaggio alla passione del Salvatore, mortificavano la loro vanità non rifacendosi mai la treccia il venerdì.

 

 

178.   MALI  NON  FARI,  PAGURA  NON  AVIRI.

 

Comportati bene e vivi tranquillo.

 

 

179.   MANCU  ‘I  FORMICULI.

 

Neanche alle formiche.

 

 

Di una sciagura, di un disastro, di un dolore: non si augura neanche alle formicuzze.

Analogo (e panitaliano) è il seguente:

 

 

180.   MANCU  LI  CANI.

 

Neanche ai cani. 

 

 

181.   MANGIA  A  GUSTU  TOI  E  VESTI  A  GUSTU  D’ATTRI.

 

 Mangia a gusto tuo e vesti conforme  a quello degli altri.

 

Sei costretto a vestire secondo la moda, il rango, le usanze del vivere civile.

Ma a casa tua, al tuo desco, sei il padrone.

 

 

182.   MANGIA ,  JANNI,  CA  D’ ‘U’ TO’  MANGI.

 

Mangia Gianni, tanto mangi del tuo.

 

Non fare complimenti: forse a tua insaputa divori i tuoi stessi averi.

 

 

183.           MARITI  ND’ABBRAZZU,  FIGGHIOLI  NDI FAZZU ;  PATRI E MAMMA NOND’ABBRAZZU  E  NOND’ ‘I  FAZZU.

 

Mariti ne posso abbracciare, figli ne posso fare, ma padre e madre non ne trovo altri, nè posso farne.

 

Perduto un marito, se ne può trovare un altro. Morto un figlio, si può metterne al mondo altri. Ma i genitori sono unici.

 

 

184.   MARITU  MARITU, SCURSUNI  ‘I  CANNITU.

 

 Marito, marito, serpente di canneto.

 

Non fidarsi troppo del proprio marito: può essere velenoso come un serpente.

 

 

185.   MARZU  ANNEGAU  A  MAMMASA.

 

Marzo fece annegare sua madre.

 

Marzo è traditore, con le sue schiarite e i suoi improvvisi  rovesci. Si narra appunto che uno di questi, colta di sorpresa la donna che lavava al fiume, l'abbia travolta.

 

 

 

186.              MARZU  IETTA  I  PULICI  C’ ‘A  PALA.

 

Marzo butta le pulci con la pala.

 

I primi caldi,  a Marzo, fanno pullulare gli insetti, specie le pulci.

 

 

187.   MARZU, OGNI  STINCU*  È  MATARAZZU.

 

Marzo, ogni frasca è un materasso.

 

Marzo, inizio della primavera, consente di dormire all'aperto, sotto un cespuglio, su un po’ di erba.

 

* stincu. Letteralmente lentischio, da una forma ricostruita lestincus, metatesi di lentiscus D.

 

 

188.   MATRIMONI  E  VISPICATI  D’ ‘U  CELU  SU’  CALATI.

 

 Matrimoni e vescovadi son calati dal Cielo.

 

I matrimoni, come le consacrazioni a Vescovo, sono scritti lassù.

 Inutile arrovellarsi, dunque.

 

*‘vescovadi’; vispicu per metatesi da (e)piscopo (< lat. episcopus < greco epíscopos ‘capo di una comunità cristiana’ ‘vescovo’).

 

 

189.   ‘MBASCIATI,  ERBA, C’ ARATRU  PASSA.

Chinati erba, passa l'aratro.

 

Amara riflessione sulla forza bruta, sulla prepotenza, sul destino degli umili.

 

 

190.   ‘MBECI  U  GRIDA ‘O  VOI,  GRIDA  ARATRU.

 

Al posto di lamentarsi il bue, si lamenta l'aratro.

 

 Invece che l'oppresso, si lamenta l'oppressore.

 

 

191.   ‘MBIATA  CHILLA PORTA DUNDI N’ ESCI ‘NA FIGGHIA FIMMANA MORTA.

 

Beata quella porta dalla quale una figlia femmina esce nella bara.

 

Si completa il detto, aggiungendo: Si 'a fighia è zita, d’ ’a mamma ‘nci torna ‘a vita. = Se la figlia si fidanza, tanto meglio per la madre.

Vedi su questo tema  i numeri 129 e 130. 

 

 

192.   ‘MBOGGHIARI* SEMPI A ‘NU FUSU.

 

Avvolgere sempre lo stesso filato allo stesso fuso.

 

 Non venirne mai a capo.

 

* ‘mbogghiari, cfr. toscano antico invogliare ‘ravvolgere’, da un ricostruito lat. involiare D.

 

 

193.   MEGGHIU   MAMMATA  MU  TI  CIANGI

CA LU  SULI DI MARZU  MU  TI  TINGI.

 

È meglio che tua madre ti pianga già morto, anzichè esporti al sole marzolino.

 

Scaldarsi al sole di Marzo può essere pernicioso.

 

 

194.   MEGGHIU  ‘NA  PARICCHIA  ‘E  VOI

 CA  ‘NA  FIGGHIA  FIMMANA  U  SEDI.

 

Meglio vedere inoperosa (“sedere”) una pariglia di buoi, che una ragazza.

 

È più scandaloso e riprovevole vedere una ragazza inoperosa, che vedere riposare una pariglia di buoi.

 

 

195.   MEGGHIU  ‘NA  VOTA  ‘NGIALINIRI*  CA  CENTU  ARRUSSICARI.

 

Meglio impallidire una volta – per l’ira – anzichè cento arrossire – rodersi –.

 

Meglio affrontare e risolvere, una volta per tutte, una situazione angosciosa, che sopportarla.

 

* ‘ngialiniri ‘ingiallire’, deverbale da giálinu ‘giallognolo’ <antico francese jalne F.

 

 

196.   MEGGHIU  RRICCHI  ‘I  SANGU  CA  DI  RROBBA.

 

Meglio ricchi di sangue che di roba.

 

 

197.   MEGGHIU ‘U  PETTU  ‘E  PALLI,  CA ‘U  VENTU  ‘E  SPALLI.

 

Meglio il petto alle pallottole, che il vento alle spalle.

 

 

198.   MINA  ‘A  PETRA  E  AMMUCCIA*  ‘A  MANU.

 

 Butta la pietra e nasconde la mano.

 

Si dice di colui che colpisce alle spalle, dell'ipocrita, di chi non ti affronta a viso aperto.

 

*(A)mmucciari ‘nascondere’ e ‘nascondersi’, dal francese antico muchier ‘nascondere’DEI.

 

 

199.   MI  SPERDÌA,  MARITU MEU, CA  TI   ‘ND’ AJU.

 

M'ero dimenticata d'averti, marito mio.

 

M'ero dimenticata d'aver preso marito.

 

 

200.   MI  TEGNU ‘I  DU'   ARRAMI.

 

 Mi mantengo a due rami.

 

Essere furbi: mantenere due possibilità.

 

 

201.   MMENTA  ‘U  GRASSU  S'ASSUTTIGGHIA

 ‘U  MAGRU  SI  ‘NDI  VAJ.

 

Mentre il grasso si assottiglia, il magro se ne va all'altro mondo.

 

Si dice di persone e di averi: chi è ben fornito, in eventi tristi come malattie, rovesci di fortuna ecc., perde qualcosa. Chi è già male in arnese, finisce con il perdere tutto.

 

 

202.   ‘MMUCCIA, CUMPARI,  CA  TUTTU  PARI.

 

 Nascondi (pure), compare, si vede tutto.

 

Cercare di nascondere ciò che è evidente.

 

   

N

  

 

203.   ‘NA  FIMMINA  E  ‘NA  SUMERA  FANNO  ‘NA  FERA.

 

Una donna e un'asina fanno una fiera.

oppure

 

 

204.   ‘NA  FIMMINA  E  ‘NA  GALLINA  RIBELLARU   MISSINA.

 

Una donna ed una gallina misero sottosopra Messina.

 

Arguto schizzo della donna ciarliera: da sola, con un'asina, già costituisce una fiera; oppure, insieme alla sua gallina, mette a soqquadro una città.

 

 

205.   ‘NA MAMMA GUVERNA CENTU FIGGHI E CENTU FIGGHI NUN GUVERNANU  ‘NA  MAMMA.

 

Una mamma governa cento figli, ma cento figli non governano una mamma.

 

L'amore scende e non sale. Una mamma provvede ai suoi tanti figlioli e, viceversa, può non avere chi si curi di lei quando ne ha bisogno.

 

 

206.   NANU  NANU*,  ‘U  MALATU  ARRAGA**  ‘O  SANU.

 

 Nanu, nanu, il malato trascina il sano.

 

Spesso il debole deve aiutare il forte, il sofferente accudire il sano, il vecchio curare il giovane.

 

 

*Voci prive di significato specifico, dettate da esigenze di rima con il secondo colon del proverbio. Si noti in questa raccolta la grande frequenza con cui il proverbio è costruito sulla rima ,procedimento topico della cultura orale, funzionale ai fini della memorizzazione (vedi, ad es., i ni  60, 53, 54, 189 e tanti altri……).

**arragare ‘trarre, trascinare’ D; potrebbe forse aver relazione con il dialettale arraccare ‘strappare’.

 

 

207.              ‘N’ APA  ‘I  MELI.

 

Un’ape mellifera.

 

Si dice di persona operosa, onesta e di buon carattere (e il pungiglione?!).

 

 

208.   ‘NA  SULA  NUCI   ‘NT’ ‘O  SACCU  NON  SCRUSCI*.

 

Una sola noce, dentro il sacco, non fa rumore.

 

Una rondine non fa primavera, una sola voce non conta, un soldino non serve a nulla.

 

* scrúsciri “scrosciare…., rumoreggiare”, anche strusciare, struscio D < struscià(re) “strofinare” DIt.

 

 

209.   ‘NCI   VOLI  L’ERBA  D’ ‘U  TRENTA  MENU.

 

Ci vuole l’erba del trenta (anni) di meno.

 

L’equivalente dell’elisir di giovinezza…..

 

 

210.   ‘NDI  TROVAMMA  COMU  ‘U   PULICI  ‘NT’ ‘A  STUPPA.

 

Ci siamo trovati come la pulce nella stoppa.

 

La pulce, una volta nella "stoppa" (cioè nella bambagia di lino preparata per essere filata col fuso, dopo averla ravvolta nella "conocchia"), non sa più uscirne.

 

 

211.   NIPUTI,  APUTA.

 

Nipoti, potali.

 

I nipoti sono guai: tagliali al di fuori dei tuoi interessi.

 

 

212.   NON  DIRI  MAI : ‘I  CHIST’ACQUA  NO  MBIVU.

 

Non dire mai: "Di quest'acqua non ne berrò".

 

Non fare mai lo schizzinoso: le necessità e gli eventi possono portarti a... bere acqua peggiore di quella che vorresti rifiutare.

 

 

213.   NON È VILLANU CU VILLANU NASCI: VILLANU È CU  LA FA LA VILLANIA.

 

Non è villano colui che nasce villano, ma chi si comporta villanamente.

 

 

214.   NON  MENTIRI  JIDITU  AD  ACQUA  FRIDDA.

 

 Non mettere neanche un dito nell'acqua fredda.

 

Si dice degli sfaticati, degli indolenti, di chi non vuole affrontare il minimo sacrificio.

 

 

215.   NON  MENTIRI  ‘SSA  MACCHIA  A  ST’ UTRI  D’ OGGHIU.

 

Non mettere quella macchia all'otre dell'olio.

 

L'otre, recipiente fatto anticamente di pelle di pecora e adoperato per il trasporto dell'olio, è la cosa più unta che ci sia. Molto argutamente si raccomanda di non macchiarlo. In senso traslato: chi ha già rovinata la sua reputazione, non deve temere la parolina o il commento poco benevolo.

 

 

216.   NON  S’ ACCATTA  ‘A  GATTA  ‘NT’ ‘O  SACCU.

 

Non si compra la gatta chiusa nel sacco.

 

Bisogna essere cauti e prudenti negli affari, non concludere ad occhi chiusi.

 

 

217.   NON  S’ ASSICCA  ‘U  MARI  C’ ‘A  SCORZA  D’ ‘A  NUCILLA.

 

Non si prosciuga il mare con il guscio di una nocciola.

 

È, detto in parole povere, il celebre episodio narrato da Sant'Agostino, e applicato alle piccole cose di ogni giorno.

 

 

218.   NON  SI  ‘ND’ AVI   ‘A  MUGGHIERI  ‘MBRIACA

 E  LA  GUTTI  CHINA.

 

Non si può avere la moglie ubriaca e la botte piena.

 

 Bisogna scegliere tra la parsimonia ed i sollazzi.

 

 

219.   ‘NT’ ALL’ORTU,  ‘N’OMU  MORTU.

 

Nell'orto, l'uomo è morto.

 

Per curare e far fruttare l'orto, l'uomo deve accudirlo continuamente, essere "morto" ad altri interessi od occupazioni.

 

 

220.   NULLU  TI  DICI  :  LAVAT’ ‘A  FACCI

ACCUSSÌ  PARI  CCHIÙ  BELL’ ‘E  MIA.

 

Nessuno ti dice: "Lavati il viso, così sarai più bella di me".

 

Chi mai ti consiglierà di curarti per apparire più bella (di quanto non sia l’improbabile elargitrice dell’ improbabile consiglio)?

 

 

221.   ‘NU  MARITU  BONU  TI  PINGI  E  UNU  MALU  TI  TINGI*.

 

Un buon marito ti dipinge ( come in un quadro ti farebbe apparire bella e fiorente) e uno cattivo ti tinge.

 

Un buon marito ti fa fiorire, uno cattivo ti riduce "comu ‘na schiocca** `e fica".

 

* tingere, qui, in senso traslato, vale rovinare, ingannare.

** schiocca = filza di fichi secchi infornati (dal lat. copula ‘coppia’D).

 

 

 

O

 

 

 

222.   OCCHI  CHINI  E  MANI  VACANTI.

 

Occhi pieni, mani vuote.

 

Si dice di tutto ciò che è illusorio, di quello che sembra già a portata di mano e poi sfuma.

 

 

223.   OCCHIU  NON  BIDI  E  CORI  NON  DOLI.

 

Occhio non vede e cuore non duole.

 

Non ci si affligge di ciò che non si vede o non si sa.

 

 

224.   OGNI  LIGNU  ‘ND’ ‘AVI   ‘U  FUMU  SOI.

 

Ogni legno ha il suo fumo.

 

Ogni persona, ogni cosa, ogni avvenimento, anche se buono, non può essere perfetto.

 

 

225.   OGNI  MMORSU  È  RIMPORSU.

 

 Ogni morso (= "boccone") è rinforzo.

 

Ogni boccone serve a tener su: ogni aiuto, anche se modesto, fa andare avanti la barca.

 

 

226.   OGNI  PARU  CERCA  PARU  E  OGNI  LATRU  CUMPAGNUNI.

 

Gli uguali si cercano tra di loro.

 

 

227.   OGNI  SETT’ANNI  LA  FURTUNA  GIRA.

 

Ogni sette anni cambia la sorte.

 

Le "rivoluzioni settenarie" non sono una.credenza soltanto calabrese.

 

 

228.   OGNUNU  SI  CIANGI  A  PAVULU  SOI.

 

Ognuno si piange il suo Paolo (=male).

 

Ognuno piange i propri guai.

 

 

229.   OGNI  VINTIQUATTR’ URI  È  MUNDU  NOVU.

 

 Ogni ventiquattr'ore cambia il mondo.

 

Tutto può in un attimo cambiare.

 

 

230.   OMANI  ‘I   VINU,  CENTU  ‘NU  CARRINU.

 

Uomini ubriaconi, cento un carlino(antica moneta del Regno di Napoli).

 

L'uomo ubriacone vale poco o nulla: se ne possono dare cento per un "carlino".

 

 

 

P

 

 

 

231.   PALLA  CACCIA  PALLA.

 

Palla caccia palla.

 

Un chiodo scaccia l'altro.

 

 

232.   PALUMBU  MUTU  NON  POT’ESSARI  SERVUTU.

 

Piccione muto non può essere servito.

 

Il piccione non apre il becco neanche per tubare. La persona che non si apre, non può essere compresa, nè aiutata.

 

 

233.   PANI  E  LAVATU   SI  TORNA  AMMEGGHIURATU.

 Pane e lievito si restituiscono migliorati.

 

È uso del Meridione prestarsi fra le massaie il pane o il lievito: bisogna restituirlo fresco e pertanto migliore di quello avuto.

 

*lavatu, anche levatu, li-, di- D.

 

 

234.   PANI  E  PANNI,  NON  TI  PIGGHIARI  AFFANNI.

 

Pani e panni, non darti pena.

 

 

235.   PANI  E   VUCATA  OTTU  JORNA  È’  ‘A   DURATA.

 

Pane e bucato bisogna rifarli ogni otto giorni.

 

Ogni otto giorni al massimo nelle famiglie d'una volta si faceva la furnata di pane e così il bucato. Non si sfugge, dice il proverbio, a questo lavoro, nè è il caso di prendersi pena se qualche volta non riesce perfetto. Il proverbio è comune anche in Puglia.

 

 

236.   PANI  PE  D’OJ,  SIGNURI.

 

Pane per oggi, Signore.

 

È l'accettazione della povertà, il chiedere l'indispensabile e non il superfluo.

 

 

237.   PANZA  CHINA  FA  CANTARI,   E  NON  CAMMISA  NOVA.

 

 La pancia piena e non la camicia nuova, ti fa stare allegro.

 

Per vivere bene ed essere allegri è necessario mangiare, più che vestirsi a nuovo.

 

 

238.   PANZA  CHINA  FA  CANTARI  L'ORBU.

 

Pancia piena fa cantare l'orbo.

 

Anche il cieco, se gli dai da mangiare, canta.

 

 

 

239.   PARI  ‘A  CUCCUVÌA.

 

Sembra l'uccello del malaugurio.

 

Cuccuvìa è la civetta, l'uccello notturno del malaugurio. Il nome ne

rifà il verso sconsolato.

Si dice di persona sempre triste, nera di umore, iettatoria.

 

 

240.   PARI  ‘A  GATTA  CINNARELLA.

 

 Sembra la gatta cenerentola.

 

Si dice, in senso spregiativo, di chi è pigra, non si muove dal focolare, non "camina", cioè non è affatto dinamica.

 

 

241.   PARI  ‘A  JUMENTA D’ ‘U   VISPICU.

 

Sembra la giumenta del Vescovo.

 

Di chi è pieno di cattive abitudini, di chi è viziato e capriccioso.

 

 

242.   PARI  ‘A   ‘NDORRA.

 

Si dice di persona tonta e lenta.Come il seguente no 244.

 E alla lettera?

 

 

243.   PARI  CA  MANGIA  ZEFRATI.*

 

Sembra che mangi lucertole

.

La "zefrata" è la lucertola. Chi è magro, macilento, sembra che mangi solo... lucertole.

 

*Termine con molte varianti (qui con influsso scherzoso e affettivo di zia, come in altre designazioni dialettali di taluni  animali), dal neogreco sauráda LG.

 

 

244.   PARI  ‘U   DDUCCU  D’AGNANA*.

 

Sembra l’allocco di Agnana.

 

 

* Dduccu = allocco; Agnana è  paese in provincia di Reggio Calabria.

 

 

245.   PARLU  A  ME’ SOCERA   PE’  SENTIRI  ME’  NORA.

 

 Parlo a mia suocera per far sentire a mia nuora.

 

 Richiamare l'attenzione per via indiretta.

 

 

246.   PASSATA  ‘A  CINQUANTINA  ‘NU  GUAI   A   MATINA.

 

 Passata la cinquantina, un guaio ogni mattina.

 

Dopo i cinquant'anni è la decadenza: ogni giorno si lamenta un nuovo acciacco.

 

 

247.   PEDI  CHI  ASSAI  CAMMINA,  MALA  NOVA  PORTA.

 

 Piede che molto cammina, porta la cattiva notizia.

 

Il giramondo ha sempre brutte nuove da raccontare. Inoltre è difficile che si faccia un lungo cammino per portare notizie liete.

 

 

248.     PE  ‘N’ ANNU   NON  È  MALANNU.

 

Per un anno non è un malanno.

 

Poco male se si tratta solo di una mal'annata: passerà.

 

 

249.   PE  NON  DIRI  “AMICU  TI  RINGRAZIU”

 DICU  CA  NON  È  BONU  LU  SERVIZIU.

 

Per non dire: "Amico ti ringrazio", dirò che non mi hai servito bene.

 

L'ingrato, pur di non restare obbligato, trova da lamentarsi del favore ricevuto.

 

 

250. PETRA  CHI  NON  FACI  LIPPU*  S’ ‘A  LEVA  ‘A  XUMARA.

 

La pietra che non si attacca al limo, viene travolta dalla corrente del fiume.

 

Chi non mette radici in nessun posto, è uno sbandato, viene travolto dal fiume della vita, come la pietra che non fa "lippo" dalle correnti.

 

*lippu ‘materia verde e lubrica sulle acque stagnanti’ ‘musco, muschio’< gr. lípos ‘grasso’D.

 

 

251.   PE  VINDIRI  ED  ACCATTARI

‘MPARA  D’ ‘U   VICINU  COMU  ND’ AI   ‘A  FARI.

 

Per vendere e per comprare, impara dal tuo vicino come devi fare.

 

Per i tuoi commerci, regolati sugli altri, per esempio, sul tuo vicino di casa.

 

 

252.              PICCIULU   E   MALU  CAVATU.

 

 Piccolo e anche mal fatto.

 

Brutto e cattivo.

 

 

253.      PIDOCCHIU  CHI  ‘NCHIANA.

 

Pidocchio che sale.

 

Arrivista. Persona che viene dal nulla.

 

 

254.      POCU  PE D’UNU,  SANTU  BRUNU.

 

 Un po’ per ciascuno, Santo Bruno.

 

Dividere equamente il poco pane o la scarsa minestra. Sapersi contentare.

 

 

255.   PORCI  E  FIGGHIOLI  COMU ‘I  ‘MPARI

ACCUSSÌ  ‘I TROVI.

 

Porci e bambini te li trovi così come li abitui.

 

Discutibile accostamento. Anche i maialini, come i figli, bisogna educarli.

 

 

256.   POVARI  SÌ,  E  LORDI  PECCHÌ?

 

Poveri, pazienza, ma sporchi perchè?

 

La povertà non deve essere miseria, sudiciume, trascuratezza. La donna solerte, anche se povera, deve saper dare alla sua casa e ai suoi, un senso di ordine, di nettezza, di dignità.

 

 

257.   PRATICANDU  CU  TTIA,  BELLA,  ‘MPARAI.

 

 Ho imparato da te.

 

Tu mi hai dato il buono (o il cattivo) esempio.

 

 

258.   PRIMA ‘A  CAMMISA  E  POI  ‘U  JIPPUNI.

 

 Prima la camicia e poi il giubbone.

 

Prima il necessario, l'indispensabile, poi il superfluo.

 

 

259.   PRIMA ‘E  NATALI   NÉ  FRIDDU  NÉ  FAMI.

 

Prima di Natale né freddo, né fame.

 

Natale segna l'arrivo del grande inverno e la fine delle magre provviste.

 

 

260.   PURU  I  PULICI   ‘ND’ANNU  ‘A TUSSI

E  I  PIDOCCHI ‘ A  MALINCUNIA.

 

Anche le pulci hanno la tosse e pure i pidocchi soffrono di malinconia.

 

Si dice di chi vuole avere voce in capitolo senza averne diritto, di chi si dà delle arie.

 

  

Q

 

 

 

261.   QUANDU  ‘A   MADONNA  LA  OTTA*  FACÌA

 L’ADDURI   RISANAVA   LI   MALATI.

 

Quando la Madonna cucinava lo stufato, l'odore risanava gli ammalati.

 

*(j)otta propriamente ‘acqua in cui si è bollita la pasta, in cui si sono lavate le stoviglie; beverone che si dà ai maiali’ <lat. tardo jutta ‘brodo, minestra acquosa’ DIt.

 

 

262.   QUANDU  ARRIVA  SANTA  LUCIA

 ‘A  JORNATA È  ‘NU   PASSU  ‘I   VIA.

 

Quando arriva Santa Lucia, la giornata è un passo di strada.

 

 Per Santa Lucia ( dicembre) le giornate sono già cortissime.

 

 

263.   QUANDU  CHIOVI,  SI   MENTI  L’ACQUA   D’ ‘ I  GALLINI.

 

Quando piove, dà da bere alle galline.

 

Le galline bevono in ogni pozzanghera. Lo stolto, che magari durante la siccità le ha lasciate a becco asciutto, quando piove le provvede di acqua. Significa essere inopportuni.

 

 

264.   QUANDU  ’I  CORI  NON  BENI,  CANTARI  NON  SI  PO’.

 

 Quando non viene su dal cuore, non si può cantare.

 

 Non si fa niente bene quando non se ne ha voglia.

 

 

265.   QUANDU  NON  BENI  ‘I  CORI

‘U  CUNSIGGHIU  NON  SI  VOLI.

 

Quando non viene dal cuore è inutile dare o chiedere consiglio.

 

Non si dà, e non si accetta, un consiglio che non viene dal profondo del cuore.

 

 

266.   QUANDU  LA  BELLA  È  BELLA  PE’  NATURA,  CCHIÙ  SCIUNDUTELLA* VA  CCHIÙ  BELLA  PARI.

QUANDU  LA  BRUTTA  È  BRUTTA  PE’  NATURA,  È ‘NUTALI  CA  FA LU STRICA  E  LAVA.

 

Quando la (donna) è bella per natura più va sciatta, più sembra bella.

Quando è brutta per natura è inutile per lei lavarsi e detergersi.

 

No comment.

 

*sciatta, spettinata, da sciúnnere ‘sciogliere’< lat. exfundere ‘spargere’D.

 

 

 

267.           QUANDU  LA  STRANGIA*  E  QUANDU  LA  PIPITA,  LA GALLINELLA MIA  SEMPI  È  MALATA.

 

Quando un male, quando un altro, la mia povera gallina è sempre inferma.

 

Si dice quando i mali non danno tregua.

 

*Infiammazione della zona caudale dei polli; cfr. i termini calabrese(e italiano) stranguglióne, strangugliare ‘strangolare’D .La pipita è una specie di escrescenza sulla lingua.

 

 

 

268.   QUANDU  LU  POVAR’ OMU  SI  RIPEZZA

PARI  COMU  DI  NOVU  SI  VESTISSI.

 

Quando il poveraccio si rattoppa il vestito, è come se si vestisse a nuovo.

 

 

 

269.   QUANDU  MI  MISI  A  FARI  LI  BARRITTI

L’OMANI  NESCIRU  SENZA  TESTA.

 

Quando mi sono messo a fare berretti gli uomini sono nati senza testa.

 

 Il colmo della sfortuna e della iella. 

 

 

 

270.              QUANDU  ‘U  BONU  NON  C’È,  ‘U  TRISTU  VALI.

 

 Quando non c'è il "buono" ci si accontenta del peggio.

 

 Quando l'ottimo non c'è, si apprezza il buono e anche il meno buono.

 

 

271.   QUANDU ‘U  CIUCCIU  NON BOLI  U  ‘MBIVI

È’  ‘NUTILI  U  NCI  FRISCHJ.

 

Quando l'asino non vuole bere, non serve fargli il fischio.

 

Al "ciuccio" per invitarlo a bere, gli si fa un certo verso: ma se non ne ha voglia, è inutile insistere. In senso traslato: inutile parlare alla persona che non vuole ascoltarti.

 

 

272.   QUANDU  ‘U  DIAVULU  T’ accarizza

SIGNU  CA  VOLI   L’ANIMA.

 

Quando il diavolo ti accarezza è segno che vuole la tua anima.

 

Non ti fidare di chi ti lusinga e ti blandisce: è certamente interessato.

 

 

273.              QUANDU   VENI  ‘U  ‘ND’ ‘À  BENI ,  O  CADI  MALATU  O  PERI.

 

 Quando credi di aver raggiunto il benessere, o ti ammali, o muori.

 

 Non si raggiunge la felicità su questa terra.

 

 

274.   QUANDU  VIDI  CA  L’ATTRI  SI  FANNU  ‘A  BARBA,

 MENTITI  A  MOLLU  ‘A  TUA.

 

Quando vedi gli altri farsi la barba, comincia ad insaponare la tua.

 

Non farti cogliere alla sprovvista, non restare indietro: tieni il passo. Non lasciare che solo gli altri si facciano belli o bravi.

 

 

275. QUANDU  VIDI  PORTA  LARGA,   PASSA  ‘E   XANCU.

 

Quando vedi la porta spalancata, entra circospetto (letter. ‘di fianco’).

 

Non ti lasciare illudere da accoglienze esageratamente calorose: possono nascondere qualche laccio. Sii cauto.

 

 

276.   QUANTU   FACI  ‘NU  SULU  CIACIÀ

NON  FANNU  CENTU  CICÌ'.

 

Quando fa un solo uccello grande, non fanno cento uccellini.

 

La madre di famiglia, da sola, fa più di tanti figli messi insieme. L'esperto, il "mastro", fa più di cento apprendisti, o "mastricchi".

 

 

 

R

  

277.   RICCHEZZA   SPARTUTA  DIVENTA   POVERTÀ.

 

 Ricchezza divisa diventa povertà.

 

 

 

278.              RROBBA  ‘E  STOLA,  COMU  VENI  VOLA.

 

Roba da stola, come viene se ne va.

 

Non s'arricchisce il prete se è onesto. Quello che gli si dà serve per il suo sostentamento.

 

 

279.              RROBBA  SPARTENDU  VENI  A  MINUENDO.

 

 La roba, divisa, diminuisce.

 

La roba, quando passa ai vari eredi, può considerarsi finita. Lo dice anche il proverbio no 277.

 

 

 

 

S

 

 

280.   S’AFFUCA CH’ ‘I  MANI  SO’  STESSI.

 

 Si strangola con le sue stesse mani.

 

 Si rovina da sé.

 

 

281.   SANT’ANTONI, ME’ SANT’ANTOGNU, TANTU BRUTTA CA NON CI SUGNU  CCOCCHI COSA ND’ ‘AJU  AD  AVIRI  TU CAPISCI CHI VVOGGHIU DIRI.

 

Sant'Antonio, mio Sant'Antonio, io non sono poi così brutta, qualcosa da parte debbo avercela, tu comprendi cosa voglio dire.

 

Preghiera della zitella desiderosa di maritarsi.

 

 

282.   SARZIZZU,  VENIMI  ‘N  CANNA.

 

Salciccia, saltami in bocca.

 

Si dice di colui che attende sempre la manna dal cielo, del pigro, dell'indolente. Insomma chi vuole la salsiccia, bisogna che se la sudi.

 

 

283.   SCIALATA  ‘NT’ ‘O  BAGGHIOLU*.

 

Scialata dentro il truogolo.

 

Sguazzare in modesti o lerci piaceri, come fa appunto il maiale dentro il truogolo con il muso.

 

*Dal francese baille ‘tino’D.

 

 

284.   SCIPPAMMA  ’STA  ZUMPA*.

 

 Abbiamo sradicato, questo grosso cespuglio.

 

Si dice di un lavoro, di una questione, di un contratto concluso dopo lungo travaglio.

 

*Termine con molte varianti, dal greco volgare zómpa ‘gobba’ D.

 

 

285.   SCIROCCU  E  TRAMONTANA

 O  TRI  JORNA  O  ‘NA  SIMANA.

 

Scirocco e tramontana, durano tre giorni o una settimana.

 

Lo scirocco e la tramontana non durano meno di tre giorni e, a volte, raddoppiano.

 

 

286.   SE  È  DI  VINTI  E NON POTI, SE È DI TRENTA E NON SAPI, ‘I QUARANTA  E  NON  AVI,  NÉ’ CCHIÙ’  POTI,  NÉ’ CCHIÙ’  SAPI,  NÉ’ CCHIÙ’ ‘ND’ ‘AVI.

 

Chi a vent’anni non ha forza, a trenta non è saggio, a quaranta è povero, non aspetti di aver più salute o cultura e ricchezza. A venti, a trenta, a quarant'anni, si raggiunge, rispettivamente, il massimo della forza fisica, del sapere, dell'avere.

 

 

287.   SE  È  QUINTA  VERA

 ‘U  SULI  SI  CURCA  E  ‘A  LUNA  SI  LEVA.

 

Se è perfetta luna piena, il sole tramonta e la luna si leva.

 

 La luna piena sorge allo stesso momento in cui tramonta il sole.

 

 

288.   SERVUTU  COMU  ‘U  PREVITI  ALL’ ARTARU.

 

Servito come il prete all'altare.

 

Si dice di chi viene servito di tutto punto.

 

 

289.   SI  CADINU  ANELLI.

 

Le cadono gli anelli.

 

Di chi non vuol far nulla, della infingarda ("camatra") che non muove neanche le mani per paura di perdere gli anelli.

 

 

290.   SI  CHIOVI  DASSA  CHIOVARI

 E  D’UNDI  SÌ  NON  TI  MOVARI.

 

Se piove, lascia piovere, nè ti muovere da dove sei.

 

Non ti agitare, lascia che le cose seguano il loro corso. Sappi attendere.

 

 

291.   SI CHIOVI, TIRA VENTO, E MALU FRIDDU FA,  AMARU CHI A LA CASA D’ATTRU  STA.

 

Se piove, tira vento e fa un brutto freddo, misero chi sta a casa d'altri.

 

Meschino chi, nella stagione inclemente, non ha una casa propria per rifugiarvisi.

 

 

292.   SI  DITTIMA  ‘A  PECURA  ‘O  LUPU.

 

Abbiamo dato la pecora al lupo.

 

293.   SI  ‘D’ ‘U  CIUCCIU  SI  MENTI  ‘A  BARRITTA

I  FIMMANI  DINNU  CA  SÌ.

 

Se ad un asino metti il berretto, le donne lo accettano per marito.

 

Le donne sono capaci di prendersi per marito anche un ciuco, purché "insignuriuto", cioè con il cappello in testa.

 

 

294.   SÌ  FIGGHIA  D’ ‘A GALLINA  NIGRA?

 

Sei forse figlia della gallina nera?

 

Si dice a chi accampa diritti e privilegi inesistenti.

 

 

295.   SIGNURI,  PROVVIDITI  I PROVVIDUTI,  CA  NU’ ATTRI  SIMU  ‘MPARATI.

 

Signore, provvedete ai benestanti, perché noi altri siamo abituati (alla vita grama).

 

 

296.   SI  LL’OCCHI  MEI  FUSSARU  SCUPPETTA

 ‘O  ND’ ‘AVARRIA  SPARATU.

 

Se i miei occhi fossero schioppo, l'avrei già ucciso.

 

Portare tanto odio ad una persona, da desiderare di ucciderla con lo sguardo.

 

 

297.   SI  LU  CELU  È  PECURINU,  MALU  TEMPU  LU  MATINU.

 

Se il cielo è pecorino, maltempo al mattino.

 

Cielo a pecorelle...

 

 

298.   SI ‘ND’ ‘AI   MUGGHIERI  BELLA  SEMPI  CANTI,

 SI ‘ND’ ‘AI  DINARI  POCHI  SEMPI  CUNTI.

 

Se hai una bella moglie, sempre canti, se hai poco denaro, stai sempre a contarlo.

 

La bella moglie ti fa felice, il poco denaro ti rammeschinisce.

 

 

299.   SI  NON  CHIOVI  ZAXALLIJA*.

 

Se non piove, pioviggina.

 

Se non è zuppa è pan bagnato.

"Oppure: se non c'è tanto, c'è l'indispensabile.

 

*Termine con varianti, dal greco volgare psichalízei D.

 

 

300.   SI  NON  UNGI  NON  VARA.

 

Se non ungi – la barca – non puoi varare.

 

Occorrono regali, mance, scappellate, se si vuole ottenere uno scopo.

 

 

301.   SI  ‘NU  PICCIULU  VOLI  CIANGIRI,  CU  LU  RANDI S’ ‘A  ’ND’ ‘AVI  A VIDIRI.

 

Se il piccino vuole piangere, deve vedersela con il grande.

 

Il piccolo, l'indifeso, non ha neanche l'ultimo dei diritti, quello di piangere.

Il "randi", il grande, cioè il potente e prepotente, gliene chiede conto, e può anche vietarglielo per non essere disturbato.

 

 

302.   SI   RISPETTA  ‘U  CIUCCIU  PE D’ AMURI  D’ ‘U  PATRUNI.

 

 Si rispetta l'asino per amore del padrone.

 

L'asino, anche se un asino, va onorato per ingraziarsene il padrone.

 

 

303.   SI  UNU  NON  BOLI,  DUI  NON  SI  MINGRIJANU*.

 

Se uno non vuole, due non si bisticciano.

 

Bisogna essere in due a voler litigare.

 

* mingrïari ‘azzuffarsi, rissarsi’ D.

 

 

304.   SI  VÒ  CADIRI  MALATU,  MANGIA CITROLA, PERSICA E MELUNI DOPPU  ‘MBIVI  ACQUA  DI  MONASTERACI  E  NON  TI  LEVI  MATINA  DI LUNI.

 

Se vuoi cader malato, mangia cetrioli, pesche e mellone, quindi bevi l'acqua di Monasterace(paese del litorale ionico,in provincia di Reggio) e il lunedì non ti leverai dal letto.

 

Segui questi consigli e il lunedì, dopo la festa, sarai costretto a stare a letto.

 

 

305.   SI  VÒ  CAMPARI  SANIZZU

DOPPU  CHI  MANGI  T'ASSETTI  A  ’NU  PIZZU.

 

Se vuoi campare sano, dopo pranzo siedi e riposa.

 

Pransus, ...domesticus otior (Orazio, sat. 1.6.128).

 

 

306.   SI  VONNU  CCIPPI  DI  SETTI  CANTARA.

 

Ci vogliono ceppi di sette quintali.

 

Di un lavoro pesante, di un'opera ciclopica, di un polso fermissimo. Il "cantàro" è una misura di peso che credo corrisponda al tomolo ("tumano") come misura di volume, cioè circa 90 chili; quintale. Il termine risale all’arabo qintar D.

 

 

307.   SI  VVÒ  L'OMU  VIDIRI  MORIRI,  ILLU  MU PARLA E TU NON RISPONDIRI.

 

Se vuoi veder morire un uomo – di rabbia – lascia che parli e non rispondergli.

 

Se vuoi vedere il tuo uomo morire di rabbia, lascialo parlare (o sgridare) e non ribattere.

 

  

308.   SPARAI  A  CU’  VITTI  E  COGGHIA  A  CU  NON  VITTI.

 

 Ho tirato al bersaglio, ma ho colpito quel che non avevo visto.

 

Attenti a non sbagliare la mira, a non colpire un innocente al posto del reo.

 

 

309.   SPARARSI  P’ ‘E  LUPI.

 

Si sparerebbero l'un l'altro come si fa ai lupi.

 

Essere nemici acerrimi.

 

 

310.   STARI  C’ ‘U  VITRU  ‘E  GUDELLA.

 

Trovarsi con il vetro alle budella.

 

Essere in ansia, angustiarsi per qualche pericolo incombente.

 

 

311.   STUPPA  MI  DASTI  E  STUPPA  TI  FILAI,

TU  MI  TINGISTI*  ED  EU  T’ANNIGRICAI.**

 

Mi hai dato stoppa ed io te l'ho filata: sei stato la mia rovina ed io la tua.

 

Render pan per focaccia e, se possibile, ancora peggio.

 

*Vedi nota al no 222.**Cfr.napoletano annegrecà ‘annerire’ ‘rendere infelice’.

 

 

312.   SUPA  A  ‘NA  CAIA  ‘NA  FERITA  NOVA.

 

 Su di una piaga una nuova ferita.

Oppure

 

 

313.   SUPA  ACQUA  COTTA  ACQUA  GUGGHIENTI.

 

 Su acqua calda, acqua bollente.

 

Si dice di quando, alle disgrazie già esistenti, se ne aggiungono di nuove e di peggiori.

 

 

314.   SUPA  ‘E  NULLU  POZZU

MA  SUPA  ‘E  MUGGHIERIMA*  POZZU.

 

Non ho potere su nessuno, ma su mia moglie sì.

 

Il femminismo era di là da venire.

 

*La sillaba finale enclitica corrisponde all’aggettivo possessivo.

 

 

315.   SUPA  ‘O  CAVALLU  MAGRU

 TUTTI  ‘I  MUSCHI  APPOIANU.

 

Sul cavallo magro si posano tutte le mosche.

 

Sul povero, sul malandato, sul disgraziato, si abbattono di più le sciagure. Napoletano: o cane mozzeca o stracciato, calabrese: u' cani muzzica u malu vestutu (no 327).

 

 
  T

 

 

 

316.   TABARANELLU*,  QUAND’ ERA COTRARU** ‘I QUINDICI ANNI CAMINAVA  SULU.

 

Tabaranello, da ragazzo, camminava già da solo a quindici anni.

 

 Era tempo...

 

*Diminutivo di taba(r)ranu ‘uomo sciocco’D.**Vale ‘ragazzo,giovanotto, bambino’< lat. quartarius (forma deriv. da  quartus ‘quarto’), come mostra più palesemente la variante quatraro più vicina alla forma etimologica, vedi D.

 

 

317.   TAGGHIARELLI  E  LATTI ,  LEVATI  E  SCOTULATTI.

 

Tagliatelle e latte, alzati da tavola e sei di nuovo digiuno.(Scotulatti: lett. Scuòtiti).

 

Un piatto di tagliatelle, o un bicchiere di latte, non saziano la robusta fame del lavoratore, cui invece, bisogna presentare fagioli, vino, baccalà (così si usava una volta).

 

 

318.   TANTU  NON  DURA  LA  MALA  VICINA

 QUANTU  LA  NIVI  MARZULINA.

 

La mala vicina non dura più della neve di Marzo.

 

Gli eventi della vita sono tanti; la "mala vicina" dura meno della neve di Marzo.

 

 

319.   TANTU  VAJ  ‘A  CORTARA*  ALL’ ACQUA

 FINU  A  CCHI  SSI  RUPPI.

 

Tanto va all'acqua la cortara finchè si rompe.

 

È il corrispondente dell'italiano "tanto va la gatta al lardo..."

 

*La cortara è un recipiente di terracotta che le donne calabresi usavano per trasportare l'acqua; anche quart-, quort- ‘….così denominata perché equivalente alla quarta parte di un barile’D.

 

 

320.   TARDU  DICISTI  "PÌU",  PULLÌU  BULLUTU.

 

Tardi hai pigolato, pollo bollito.

 

È inutile che il pollo si lamenti quando è già in pentola, come che l'uomo si dolga quando s'è lasciato sopraffare.

 

 

321.   TIRA  CCHIÙ  ‘NU  CAPILLU  ‘I  FIMMANA  CA  ‘NA  SCIARTA**.

 

Un capello di donna è più forte di una sartia.

 

Potenza della seduzione femminile.

 

**Anche sciartu ‘grossa corda, fune’<greco eksártion ‘fune’ D.

 

 

322.   TRISTU  PIGNATU  NON  CADI  D'ANCINU

E  SI  CADI  NON  SI  RRUPPI.

 

Triste pignatta non cade dall'uncino e se cade non si spezza.

 

Al cattivo arnese non capita mai di cadere e, se cade, (e qui ci si riferisce all'uomo), cade in piedi, così la vecchia pignatta mai si rompe.

 

 

323.   TUTTI ‘ I  ‘NA  VENTRI,  E  NON  TUTTI  ‘I  ‘NA  MENTI.

 

Tutti di un ventre, non tutti di una mente.

 

Dalla stessa madre nascono figli diversissimi tra loro.

 

 

 

U

 

 

 

324.   ‘U  BENI  CHI  NO’  M’ AGIUVA

 È  COMU  ‘U  MALI  CHI  NON  MI  NOCI.

 

Il bene che non mi giova è come il male che non mi nuoce.

 

Il bene ed il male che non mi toccano mi sono inutili e non dannosi.

 

 

325.   ‘U  BONU  JORNU  D’ ‘A  MATINA  PARI.

 

La buona giornata si annuncia fin dal mattino.

 

La buona giornata si vede dagli inizi.

 

 

326.   ‘U  CANI  COTTU  SI  SPAGNA  PURU  DI  LL’ ACQUA  FRIDDA.

 

Il cane che si è scottato, ha paura pure dell'acqua fredda.

 

Il cane che si è scottato una volta ha paura anche dell'acqua fredda. L'uomo, se profondamente toccato da qualche triste evento, resta sempre cauto e guardingo ("scaltrito").

 

 

327.   ‘U  CANI  MUZZICA  ‘U   MALU  VESTUTU.

 

Il cane morde il pezzente.

 

Sui poveri, sui disgraziati, si accanisce il mondo.

 

 

  

328.   ‘U  CIUCCIU  CARRIJA  ‘O  VINU E  SI  ‘MBIVI  L'ACQUA.

 

 Il ciuco trasporta il vino e beve l'acqua.

 

Si dice dell’ uomo dabbene sfruttato, mal ripagato.

 

 

329.   ‘U  GABBU  ‘NCAPPA  E ‘A   IESTIMA  COGGHI.

 

 La beffa ricade su di noi e l'imprecazione (iestima = bestemmia) c'incoglie.

.

Guardarsi dal mandare imprecazioni, dal prendere a gabbo: il male coglierebbe noi stessi.

 

 

330.   ‘U  GABBU  PIGGHIA  E  LLA  IESTIMA  NO.

 

 La beffa ha effetto più di una imprecazione.

 

Consiglio, dunque, dettato più dalla superstizione che dalla morale. La beffa è più pericolosa delle espressioni di ingiuria e di odio.

 

 

331.   ‘U  IANCU  E  LU  RUSSU  VENI  D’ ‘U  MUSSU.

 

 Il bianco ed il rosso viene dalla bocca.

 

L'aspetto florido e fresco viene da un buon nutrimento.

 

 

332.   ‘U  JMBURUSU  JÌA  E  VENÌA

 MA ‘U  JMBU*  SOI  NON  S’ ‘U   VIDÌA.

 

Il gobbo andava e tornava, ma non vedeva mai la sua gobba.

 

È difficile vedere i propri difetti: il gobbo, indaffarato, non vede dietro alle sue spalle.

 

*jimbu ‘gobba’, da una forma non attestata gimbus per gibbus F.

 

 

333.              ‘U  IOVI   LLARDAROLU  CU  NON  AVI CARNI S’IMPIGNA ‘U FIGGHIOLU.

 

Il giovedì grasso (lett. lardaiolo "che ha del lardo"), chi non ha la carne da mangiare, si impegna anche il figlio.

 

Il povero, almeno nelle grandi festività, ha anche il diritto di mangiare la carne, anche se per comprarla deve dare in pegno la cosa più cara, cioè "u figghiolu".

 

 

334.      ‘U   MALU  PASSU  È  LLÀ  UNDI  SI  CADI.

 

Il passaggio difficile è lì dove si cade.

 

Proverbio di senso complesso; puoi inciampare dove meno te lo aspetti, mentre hai superato agevolmente i "mali passi".

Avviene ciò che è fatale.

 

 

335.   ‘U  MANGIARI  È  DI  RAGIUNI,

 CU  NON  MANGIA  ‘MPALISI  MANGIA  A  MMUCCIUNI*.

 

Mangiare è cosa normalissima e necessaria: chi non mangia palesemente, vuol dire che lo fa di nascosto.

 

È inutile darsi false arie ascetiche: si sa che per vivere occorre mangiare.

 

*Vedi la nota al no.198.

 

 

336.   ‘U  MARITU  È  SANGU  ‘I  CARTA.

 

Il marito è sangue di carta.

 

Marito e moglie non sono consanguinei: il "sangue" che li unisce è "di carta", è solo un contratto, dal punto di vista sociale.

 

 

337.   ‘U  MATRIMONI  VOLI  SULU.

 

Nel matrimonio, solo lui e lei.

 

Il  ménage deve essere a due, senza ingerenze.

 

 

338.   ‘U  MEDICU  PIATUSU  FACI  ‘A  PIAGA  CANCRENUSA.

 

Il medico pietoso fa incancrenire la piaga.

 

Bisogna avere il coraggio di intervenire agli inizi, quando è necessario.

 

 

339.   ‘U  MEGGHIU  E  LLU  PEJU  D’ ‘A  STESSA  RRAZZA  SUNNU.

 

 Il migliore ed il peggiore sono della stessa razza.

 

Si parla di cose o di persone che abbiano la stessa origine: inutile farsi illusioni, non tradiranno le proprie radici.

 

 

340.   ‘U  MENZOGNARU  ND’ ‘AVI  AD  AVIRI  BONA  MEMORIA.

 

 Il mentitore deve avere buona memoria.

 

Chi vuol mentire non deve essere smemorato per non tradirsi.

 

 

341.   ‘U  MURTU  D’ ANTICU  NON  SBAGGHIA  MAI.

 

 Il proverbio del vecchio saggio non sbaglia mai.

 

 Il motto ("murtu"), la sapienza antica non sbaglia.

 

 

342.   UNDI   MANGIANU  DU’,  MANGIANU  TRI.

 

Dove mangiano due persone, possono mangiare anche tre.

 

 "Aggiungi acqua al brodo e siano tutti  benvenuti".

 

 

343.   UNDI  ‘NC’È  UNA,  ‘NC’È  ‘A  MALA  FURTUNA.

 

 Dove c'è una c'è la mala fortuna.

 

La famiglia numerosa è benedetta da Dio.

Chi ha una sola figlia sta peggio di chi ne ha tante.

 

 

344.   UNDI  NON  SI’  CHIAMATA,  NON  JIRI  CA  SI’  CACCIATA.

 

Dove non sei chiamata non andare che sarai cacciata.

 

Non t'intrufolare nelle cose altrui.

 

 

345.   UNDI NON SI TRASI SULI TRASI MEDICU E CUMPESSURI.

 

Dove non entra il sole, entra il medico ed il confessore.

 

Si dice di casa umida e buia.

 

 

346.   UNDI SI TOCCA SONA.

 

Qualunque corda tocchi, risponde.

 

Si dice di persona capace, abile in tutto, versatile.

 

 

347.   UNDI  VAJ  VAJ  ‘A  XIUMARA.

 

Vada pure il fiume dove deve andare.

 

Detto fatalista e disperato: non è possibile opporsi alle cose più grandi di noi. Può significare però anche menefreghismo.

 

 

348.   ‘U  PALUMBELLU  P’ ‘ 0   MUSSU  È  BELLU.

 

Il colombello è bello per il becco.

 

Il piccione becca continuamente. Chi mangia spesso e bene, si mantiene florido, dice il proverbio.

 

 

349.   ‘U  PARLARI  È  ARTI  LEGGIA.

 

Parlare è arte facile.

 

Fatti, non parole.

 

 

350.      ‘U  PEIU   È  ARRETU.

 

Il peggio è dietro (= spesso,  per significato antifrastico, ‘nel futuro’, come a dire ‘ora viene il bello!’).

 

Ironicamente. In realtà c’è quasi sempre il peggio di là da venire.

 

 

351.      ‘U  PEIU  SURDU  È  CHILLU  CH I NON  BOLI  U  SENTI.

 

 Il peggior sordo è colui che non vuole sentire.

 

Non c'è sordo peggiore di chi fa orecchio da mercante.

 

 

352.      ‘U  PITITTU  È  CALATURI*.

 

L'appetito è (il migliore) companatico.

 

*Da calare ‘mandar giù’.

 

 

 

353.  ‘U  PORCU  È  A   MUNTAGNA   E   LL ’ ACQUA  GUGGHI.

 

 Il  porco è in montagna e l'acqua già bolle.

 

Come vendere la pelle dell'orso ancor prima di averlo ucciso. Qui il maiale è ancora nella mandria, sui monti, e l'acqua bollente per pelarlo è pronta.

 

 

354.      ‘U  SANGU  È’  DUCI.

 

Il sangue è dolce.

 

Gli affetti familiari, il "sangue", sono la cosa più cara.

 

 

355.      ‘U  SAZIU  NON  CRIDI  ‘O  DIJUNU.

 

Colui che è satollo, non crede a chi è digiuno.

 

 Chi nuota nel benessere, non comprende l'indigenza.

 

 

356.      ‘U  SIGNURI  CHIUDI  ‘NA  PORTA  E  APRI  ‘NU  PURTUNI.

 

Il Signore chiude una porta e apre un portone.

 

La Provvidenza divina ci aiuta anche quando meno lo crederemmo.

 

 

357.      ‘U  SIGNURI  DUNA  ‘A  PIAGA  E  DUNA  ‘U  ‘NGUENTU.

 

Il Signore dà la piaga e dà l’unguento.

 

 

358.   ‘U  SPARAGNU  D’ ‘A  VECCHIA  ‘I  ‘NA   SIMANA

SI ‘NDI   VAIJ  DI  PIPI  A  ’NA  MATINA.

 

Il risparmio di una settimana della vecchina serve solo a comprare pochi peperoni una mattina.

 

Il piccolo, faticoso risparmio della vecchietta sfuma in una sola volta con un modesto acquisto.

 

 

359.      ‘U  VINU  È’  ‘U   LATTI  D’ ‘I   VECCHI.

 

Il vino è il latte dei vecchi.

 

Il vino per i vecchi è necessario come il latte ai neonati.

 

 

 

V

  

360.     VA’   A   MALU PATUTU   E  NON  JIRI  A  MEDICU.

 

Va’ da colui che ha già sofferto il tuo male e non andare dal medico.

 

Quando sei malato, consigliati con chi ha già avuto il tuo stesso male, che ne sa più del medico che non lo ha sofferto.

 

 

361.     VA’ CU  CHILLU  MEGGHIU  ‘I  TIA,  E  FANCI  ‘I  SCARPI.

 

Và con quello migliore di te e fagli le scarpe (= trattalo con ogni cortesia).

 

 

362.      VENIMMA,  PANZA  E  PRISENZA.

 

 Eccoci, pancia e presenza.

 

È l'invito a non presentarsi in casa altrui a mani e pancia vuota, e non profittare molto di una cortese ospitalità.

 

 

363.      VESTI   PISTUNI  (PICCIUNI),  CA  PARI  BARUNI.

 

Vesti il pestello, (o il piccione) e sembrerà un barone.

 

 Anche il pestello, (o il piccione) se ben vestito, fa la sua figura.

 

 

363.   VESTUTA  COMU  ‘A  RIGGINA

E A SCARSA  COMU  ‘A  GALLINA.

 

Vestita come una regina e scalza come una gallina.

 

"E tu, magro contadinello, restasti scalzo come un uccello...".Nel Meridione, in tempi non troppo lontani, le scarpe per i contadini erano un lusso.

 

 

365.     VIDI  MOLLU  E  ZAPPA  FUNDU.

 

Se vedi il terreno molle, puoi zappare in profondità.

 

Si dice di chi si approfitta della altrui debolezza, di chi specula su una situazione a lui favorevole, senza scrupoli.

 

 

366.     VINNI  PE  GRAZIA  E  TROVAI  GIUSTIZIA.

 

Venni per impetrare grazia ed ottenni giustizia.

 

 

366.   VOLI  I  PEDI  D’ ANGILLA

 

oppure

 

VOLI  ‘U  LATTI  D’ ARCELLI.

 

Volere i piedi d'anguilla, oppure il latte d'uccello.

 

Le anguille non hanno i piedi, né gli uccelli producono latte: si dice di persona che cerchi l'impossibile.

 

368.      VOLI  M’ASSICCA ‘U  PUZZU  C’ ‘A  SCORZA  D’ ‘A  NUCILLA.

 

Pretende di prosciugare il pozzo con la scorza di una nocciola.

 

 

369.      VOTALA  COMU  VOI,  SEMPI  È  CUCUZZA.

 

 Rigirala come vuoi, è sempre zucca.

 

La zucca è sempre zucca in tutte le salse.

Le cose son quelle che sono comunque le si presentino.

 

  

Z

 

 

370.      ZOCCULA,  VROCCULA  E  PREDICATURI,  DOPPU PASCA NON SERVINU  CCHIUNI.

 

Zoccoli, broccoli e predicatori, non vanno più bene dopo la Pasqua.

 

Dopo la Pasqua è primavera avanzata nel Meridione: si va a piedi nudi, non è più tempo di broccoli e sono finite le prediche quaresimali.

 

  

                 INDICE DEI PROVERBI

  

 

A

 

1.  a casa ‘e galantomani, bussa chi' pedi.

2.  a casa ‘e ‘mpisu non ‘mpendiri lumera.

3.  a casa ‘e riccu non si guarda focularu.

4.  a casa ‘i forgiaru, spitu ‘i lignu.

5.  a cchiu brutta è a cuda u si scorcia

6.  acquazzina non parinchi puzzu.

7.  ad acina ad acina si parinchi la macina.

8.   a cu non avi figgi non cercari né focu né cunsigghi

9.   a donna ‘e bbona razza ‘i cinquantanni porta ‘mbrazza

10.   a faccia chi non compari centu ducati ‘i cchiù vali

11.   a figghiola  fimmana ‘nt’a fascia e a dota ‘nt’a cascia

12.   a fila tirata tessi puru a crapa.

13.   a gallina faci l'ovu e u gallu carcarìa.

14.   a gallina orba ‘i notti  pasci.

15.   a gatta prescilora faci i gattuzzi orbi.

16.   agghiuttiri gromula.*

17.   a giugnu staju comu sugnu a giugnettu non cacciu e non mettu

18.   agustu e rigustu è già capu d'imbernu.

19.   ama cori gentili e perdi l’ anni ma cu’ villani non fari disigni

20.   a madonna u t’axura.

21.   a maju non cangiari saju.

22.   ama l'amicu cu lu viziu soi.

23.   a mala nova a porta u ventu.

24.   amaru cu è nudu, ma cchiù amaru cu è sulu.

25.   amaru cu ‘ndavi bisognu.

26.   amaru cu non si raspa chi mani soi.

27.   amaru u  picciulu chi vaj ‘nt’ o ‘randi.

28.   amici, ma fora ‘a ‘nteressi.

29.   anima sì e anima cridi.

30.   a pasca e natali sparmanu* i villani, di’ parmi e di’ kjuri sparmanu i signuri

31.   a pecura (o anche: a crapa) si mungi e u  zimmaru si doli

32.   a porcella magra lla ghianda si ‘nsonna

33.   a quandu a quandu mi misi mu ‘straiu* vì ca mi vinni mollu lu ciliju

34.   arangi arangi cu ‘ndavi guai mu si ciangi.

35.   arburu chi non faci fruttu tagghialu du pedi.

36.   arrassu*** ‘i ccà e di tutti.

37.   arritagghia, arritagghiari ‘i ‘na vesta fici ‘nu fardali

38.   arritunda, arritundari ‘i ‘na porta fici ‘nu mandali

39.   a rrobba bbona finu a pezza u bonu vinu finu a fezza

40.   a rrobba d’avaru vaj ‘mmanu ‘o sciampagnuni.

41.   a rrobba s’ndi vaj cu’ patruni.

42.   a rrovina non ci voli sparagnu.

43.   a tavula e tavuleri si canusci la dama e u cavaleri

44.   a tia llà ti votanu i crapi.

45.   ‘a undi non t'apparteni né mali e né beni.

46.   a vera maritata senza socera né cognata.

 

B

 

47.   barba xurita teni cara la zita.

48.   barca storta e viaggiu drittu.

49.   basta l'ossu u staci ‘mpedi ca’ carni vaj e veni.

50.   basta u cadi ’na petra e si sdarrupa tutta l’armacera

51.   bellu ‘mbista e trivulu* ‘n casa.

52.   benedica, benedicamu cchiù pochi simu megghiu stamu

53.   beneditta chilla pasta chi di vennari s’impasta

54.   boncicrisci.

55.   brodu ‘i lanzola, pinnuli ‘i cucina, e sciruppu di cantina

 

C

 

56.   campa sumeri ca maiu veni

57.   cani chi abbaia assai muzzica pocu.

58.   carriari l’acqua  cu’ panaru.

59.   casa frabbicata fossa spalancata.

60.   casa picciula e fimmana ‘ngegnosa.

61.   ca’ scusa du’ figghiolu a mamma si mangia l’ovu

62.   cca ti vogghiu, cani cursu a ‘sta sagliuta.

63.   centu l’allochi, e unu l’affoghi.

64.   chillu c’arriva a ‘na ura n’arriva a cent’anni

65.   chillu chi si scippa ch’i denti si ‘ndavi.

66.   chillu è omu i panza.

67.   chillu cu’ pani morìu chillu cu’ focu campàu.

68.   chillu è u veru amicu chi ti duna menzu ficu.

69.   chillu s'arrobba puru a barrittella sua.

70.   cchiù forti è a timpesta cchiù prestu veni a carma

71.   cchiù scuru d’ a menzanotti non pot’esseri.

72.  cchiù u cavallu è iestimatu cchiù si luci u pilu.

73.   ciangi ed arridi comu a gatta e’ san basili.

74.   ciangitimi a marituma ca e’ ‘ndaiu m’abballu.

75.   comu è u tempu si menti a vila.

76.   cornutu e vastoniatu.

77.   cosi novi, signuri, puru ca su’ vastunati

78.  cu’ bella voli pariri peni e guai ‘ndavi a patiri.

79.   cu’ dassa a vecchia pa' nova sapi chi dassa e non sapi chi trova

80.   cucci cumanda a cani e cani cumanda a cucci.

81.   cuccu meu di sita, quant’anni ‘nci vonnu mu mi fazzu zita?

82.   cuccu me’ d’oru, quant’anni ‘nci vonnu pemmu mi ‘nci moru ? 

83.   cu’ faci zappi faci puru zappuni.

84.   cu’ gattu nasci, surici pigghia.

85.   cu’ mangia cu tanti vucchi s’affuca.

86.   cumpari, la dominica t'imbitu porta lu pani ca lu meu è mucatu* porta lu vinu ca lu meu esti acitu porta la carni ch’eu mentu lu spitu. cumpari, la dominica t’imbitu.

87.   cu’ mpila e spila non perdi mai tempu.

88.   cu’ ‘ndavi du duci, ‘ndavi ad aviri puru d’amaru.

89.    cu’ non boli u paga o mastru paga mastru e mastricchiu

90.   cu’ non cridi, u ‘ncappa.

91.   cu’ paga avanti mangia pisci fetenti.

92.   cu patri e cu patroni sempi tortu e mai ragiuni

93.   cu’ pecura si faci u lupu s’a mangia.

94.   cu’ porcu mangia, prestu ‘ngrassa.

95.   cu’ s'annamura ‘i capilli e denti, s’annamura i pocu e di nenti

96.   cu’ si curca cu’ figghioli si leva lordu.

97.   cu’ si lava cud’acqua ‘e maijlla* resta bella sta simana e chilla

98.   cu’ si marita è contentu nu jornu cu’ ammazza u porcu è contentu pe’ n’annu

99.   cu’ ti voli beni cchiù di mamma o ti tradi o t’inganna

100.   cu’ ti voli beni ti faci ciàngiari cu’ ti voli mali ti faci rìdari

101.   cu’ vaj a’ fera senza tarì vaj cu’ ‘nu disideriu e torna cu’ tri

102.   cu’ vaj all'acqua non teni a figghiola.

103.   cu’ vaj a mari sti pisci pigghia.

104.   cu’ voli anda*, cu’non boli manda.

 

D

 

105.   da candilora u ‘mbernu è fora.

106.   dammi orgiu ca ti porgiu  dammi migghiu ca ti figghiu dissi a gallina

107.   dammi tempu ca’ ti cuvu* ‘nci dissi u surici d’a‘ nuci

108.   ddeu e non peju.

109.   di’ camatri** diu ‘nc'è patri.

110.   dinari e santità metà di la metà.

111.   di santi a nivi e’ canti di morti a nivi e’ porti

112.   di’ valenti non c’è nenti.

113.   di’ voti ’ndavi u si scindi  u scaluni.

114.   doppu chi chiovi ‘na bell'acqua.

115.   du’ caru accatta pocu ma du’ mercatu penza.

116.   dundi vegnu vegnu du’ mulinu.

117.   duru cu’ duru non frabbica muru.

 

E

 

118.   è arta a mangiatura.

119.   ed ura chi mangiai e chi bippi bona, mi la vogghiu jettari ‘na canzuna

120.   è nutili ca fai lu mussu a fungia  ca’ prima si fatica e po’ si mangia

 

F

 

121.   fà beni e scordati, fà mali e guardati.

122.   facimma a cammisa du’ surici.

123.   fà comu t’è fattu ca peccatu non è.

124.   fari du’ parti ’n cummeddia.

125.   fari u “dicumu e dissi”

126.   fari u gattu ‘nte cucuzzari.

127.   fari u zingaru ‘mbriacu.

128.   fati largu ca passa la zita, la mugghieri di cocciu d’orgiu, è vestuta di calamu* e sita: fati largu ca passa la zita.

129.   figghiola sedi, sedi ca la to’ furtuna veni.

130.   figghioli fimmani e vinu cacciatilli cu’ promentinu

131.   focu me’ randi, dissaru li grilli quandu misaru focu alla rastuccia

132.   fora ‘e mia a cu' pigghia pigghia.

133.   fora gabbu e fora maravigghia.

134.   fora ‘i ccà e di nui.

135.   frabbica e liti, provati e viditi.

136.   frevaru affreva a terra.

137.   frevaru, curtu ed amaru.

138.   frevi mu ndavi cu’ frevi mi misi ch’e’ sugnu u xuri di tutti li misi

 

G

 

139.   gnarsì, gnarnò, secundu accurri.

140.   guardati di’ signati ‘i ddiu.

 

I

 

141.   jamu comu ciciari ‘o crivu.

142.   jamu comu lazzu* ‘i cappellu.

143.   ianaru, scorcia a vecchia o focularu.

144.   ianaru siccu, massaru riccu.

145.   i ianaru, puta paru*

146.   i belli e lli brutti a terra s’agghiutti.

147.   i chillu chi bidi, pocu cridi, i chillu chi senti non cridiri nenti

148.   i cosi longhi diventanu serpi.

149.   i figghioli si criscinu cu’ pani ‘nte’ mani e i botti ‘nto' culu.

150.   i guai du’ pignatu i sapi sulu a cucchiara.

151.   ijdita longhi e manu gentili facci di dama chi mi fa moriri

152.   i jestimi su’ ‘i canigghia* cu’ i manda s’i pigghia.

153.   jri arcellijandu.

154.   jri chi’ mani ‘ndoli ‘ndoli.

155.   jri videndu quali furnu fuma.

156.   i nu pilu si faci nu palu.

157.   i peiu guai su chilli senza pani.

158.   i peni da’ schietta sunnu i godimenti da’ maritata

159.   i perduti ddeu li voli arricchisciuti.

160.   i primi parenti sunnu i denti .

161.   i saputi, ‘i voli perduti.

162.   i setti s'assetta.

163.   i sordi di ll’atri si misuranu ca’ menzalora.

164.   i sumeri si scerrijanu e i barrili vannu po’ menzu

 

L

 

165.   la donna ‘mpasta e spasta lu furnu acconza e guasta

166.   la mia patruna tri fardetti avìa: una era vecchia, l'attra non servìa e l'attra di li spalli si cadìa.

167.   latti e meli, tira ca veni.

168.   lava lordu e torci fittu.

169.   l’erba c’a’ xedi* ti veni ‘nte pedi.

170.   ligamu u ciucciu undi voli u patruni.

171.   li ligna comu su’ fannu li vrasi li donni comu su’ fannu li cosi

172.   li murti mani ddeu li benedissi “ma no a lu piattu meu”

173.   lu cani ch’è ‘mparatu a la farina scassa li porti di lu mulinaru

174.   lu ciucciu meu tantu avantatu è riduttu a carriari petra

175.   luna lunella fammi ‘na pitta* e ‘na cullurella** sinnò nchianu scali scali e ti rruppu li gangalari***.

176.   lupu cu' lupu non si mangia.

 

M

 

177.   maladitta chilla trizza chi di vennari s’intrizza

178.   mali non fari, pagura non aviri.

179.   mancu ‘i formiculi.

180.   mancu li cani.

181.   mangia a gustu toi e vesti a gustu d’attri.

182.   mangia janni ca du’ to’ mangi.

183.   mariti nd’abbrazzu, figghioli ndi fazzzu patri e mamma non nd’abbrazzu e non di fazzu.

184.   maritu maritu, scursuni ‘i cannitu.

185.   marzu annegau a mammasa.

186.   marzu ietta i pulici c’a pala.

187.   marzu, ogni stincu* è matarazzu.

188.   matrimoni e vispicati*du celu su’ calati.

189.   ‘mbasciati erba c’aratru passa.

190.   ‘mbeci u grida o voi, grida aratru.

191.   ‘mbiata chilla porta dundi n’ esci ‘na figghia fimmana morta.

192.   ‘mbogghiari* sempi a ‘nu fusu.

193.   megghiu mammata mu ti ciangi ca lu suli di marzu mu ti tingi

194.   megghiu ‘na paricchia ‘e voi ca na figghia fimmana u sedi

195.   megghiu ‘na vota ‘ngialiniri* ca centu arrussicari.

196.   megghiu rricchi ‘i sangu ca di rrobba.

197.   megghiu u pettu ‘e palli, ca u ventu ‘e spalli.

198.   mina a petra e ammuccia* a manu.

199.   mi sperdìa, maritu meu, ca ti ‘ndaju.

200.   mi tegnu ‘i du' arrami.

201.   mmenta u grassu s’assuttigghia u magru si ‘ndi vaij

202.   ‘mmuccia cumpari ca tuttu pari.

 

N

 

203.   ‘na fimmina e ‘na sumera fanno ‘na fera.

204.   ‘na fimmina e ‘na gallina ribellaru missina.

205.   ‘na mamma guverna centu figghi e centu figghi nun guvernanu ‘na mamma.

206.   nanu nanu*, u malatu arraga**o sanu.

207.   n’apa ‘i meli.

208.   ‘na sula nuci ‘nto saccu non scrusci*.

209.   ‘nci voli l’erba d’u trenta menu.

210.   ‘ndi trovamma comu u pulici ‘nta stuppa.

211.   niputi, aputa.

212.   non diri mai ‘i chist’acqua non’mbivu.

213.   non è villanu cu' villanu nasci: villanu è cu' la fa' la villania.

214.   non mentiri jiditu ad acqua fridda.

215.   non mentiri ‘ssa macchia a st’ utri d'ogghiu.

216.   non s’accatta a gatta ‘nto saccu.

217.   non s’assicca u mari c’a scorza da’ nucilla.

218.   non si ‘ndavi a mugghieri ‘mbriaca e la gutti china

219.   ‘nta ll’ortu, ‘n’omu mortu.

220.   nullu ti dici lavat’a facci accussì pari cchiù bell’ e’ mia

221.   ‘nu maritu bonu ti pingi e unu malu ti tingi*.

 

O

 

222.   occhi chini e mani vacanti.

223.   occhiu non bidi e cori non doli.

224.   ogni lignu ‘ndavi  u fumu soi.

225.   ogni mmorsu è rimporsu.

226.   ogni paru cerca paru e ogni latru cumpagnuni.

227.   ogni sett'anni la furtuna gira.

228.   ognunu si ciangi a pavulu soi.

229.   ogni vinti quattruri è mundu novu.

230.   omani ‘i vinu, centu ‘nu carrinu.

 

P

 

231.   palla caccia palla.

232.   palumbu mutu non pot’essari servutu.

233.   pani e lavatu*si torna ammegghiuratu.

234.   pani e panni non ti pigghiar’affanni.

235.   pani e vucata ottu jorna è a durata.

236.   pani pe’ d’oj, signuri.

237.   panza china fa cantari e non cammisa nova.

238.   panza china fa cantari l'orbu.

239.   pari a cuccuvìa.

240.   pari a gatta cinnarella.

241.   pari a jumenta du’ vispicu

242.   pari a’ ndorra.

243.   pari ca mangia zefrati.*

244.   pari u  dduccu d’agnana**.

245.   parlu a me’ socera pe’ sentiri me’ nora.

246.   passata a cinquantina ‘nu guai  a matina.

247.   pedi chi assai cammina mala nova porta.

248.   pe’ n’annu non è malannu.

249.   pe’ non diri amicu ti ringraziu dicu ca non è bonu lu serviziu

250.   petra chi non faci lippu* s’a leva a jumara.

251.   pe’ vindiri ed accattari ‘mpara du’ vicinu comu ‘ndai a fari

252.   picciulu e malu cavatu.

253.   pidocchiu chi ‘nchiana.

254.   pocu pe’ d’unu, santu brunu.

255.   porci e figghioli comu i ‘mpari accussì ‘i trovi

256.   povari sì, e lordi pecchì?

257.   praticandu cu’ ttia, bella,’mparai.

258.   prima a cammisa e poi u jppuni.

259.   prima e natali né friddu né fami.

260.   puru i pulici ‘ndannu a tussi e i pidocchi a malincunia

 

Q

 

261.   quandu a madonna la otta* facìa l’adduri risanava li malati

262.   quandu arriva santa lucia a jornata è nu passu ‘i via

263.   quandu chiovi, si menti l’acqua di’ gallini.

264.   quando ‘i cori non beni, cantari non si pò’.

265.   quandu non beni ‘i cori u cunsigghiu non si voli

266.   quandu la bella è bella pe’ natura cchiù sciundutella* va cchiù bella pari. Quandu la brutta è brutta pe’ natura è nutali ca fa lu strica e lava

267.   quandu la strangia* e quandu la pipita la gallinella mia sempi è malata.

268.   quandu lu povar’omu si ripezza pari comu di novu si vestissi

269.   quandu mi misi a fari li barritti l’omani nesciru senza testa

270.   quandu u bonu non c’è u tristu vali.

271.   quandu u ciucciu non boli u mbivi è nutili u ‘nci frischj

272.   quandu u diavulu t’accarizza signu ca voli l’anima

273.   quandu veni ‘u ndà beni o cadi malatu o peri.

274.   quandu vidi ca l’attri si fannu a barba, mentiti a mollu a tua

275.   quandu vidi porta larga passa e’ xancu.

276.   quantu faci nu sulu ciacià non fannu centu cicì

 

R

 

277.   ricchezza spartuta diventa povertà.

278.   rroba e’ stola comu veni vola.

279.   rrobba spartendu veni a minuendo.

 

S

 

280.   s’affuca chi’ mani so’ stessi.

281.   sant’antoni, me’ sant’antognu, tantu brutta ca non ci sugnu ccocchi cosa ndaju ad aviri tu capisci chi vvogghiu diri.

282.   sarzizzu venimi ‘ncanna.

283.   scialata ‘nto bagghiolu*.

284.   scippammo ‘sta zumpa*.

285.   sciroccu e tramontana o tri jorna o ‘na simana

286.   se è di vinti e non poti, se è di trenta e non sapi, ‘i quaranta e non avi, nè cchiù poti, nè cchiù sapi, nè cchiù ‘ndavi.

287.   se è quinta vera u suli si curca e a luna si leva

288.   servutu comu u previti all’artaru.

289.   si cadinu a’ ‘nelli.

290.   si chiovi dassa chiovari e dundi sì non ti movari

291.   si chiovi, tira vento, e malu friddu fa, amaru chi a la casa d’attru sta.

292.   si dittima a pecura ‘o lupu.

293.   si du ciucciu si menti a barritta i fimmani dinnu ca sì

294.   sì figghia da’ gallina nigra?

295.   signuri, provviditi i provviduti, ca nu’ attri simu ‘mparati.

296.   si ll’occhi mei fussaru scupetta ‘o ‘ndavarria sparatu

297.   si lu celu è pecurinu malu tempu lu matinu.

298.   si ‘ndai mugghieri bella sempi canti, si ‘ndai dinari pochi sempi cunti

299.   si non chiovi zaxalija*.

300.   si non ungi non vara.

301.   si nu picciulu voli ciangiri cu lu randi s’a ’ndavi a vidiri.

302.   si rispetta u ciucciu pe’ d’amuri du patruni.

303.   si unu non boli dui non si mingrijanu*.

304.   si vò cadiri malatu mangia citrola, persica e meluni doppu ‘mbivi acqu di   monasteraci e non ti levi matina di luni.

305.   si vò campari sanizzu doppu chi mangi t’assetti a ‘nu pizzu

306.   si vonnu ccippi di setti cantàra.

307.   si vvò l'omu vidiri moriri illu mu parra e tu non rispondiri.

308.   sparai a cu’ vitti e cogghia a cu’ non vitti.

309.   spararsi pe’ lupi.

310.   stari cu’ vitru ‘e gudella.

311.   stuppa mi dasti e stuppa ti filai, tu mi tingisti ed eu t’annigricai

312.   supa a ‘na caia ‘na ferita nova.

313.   supa acqua cotta acqua gugghienti.

314.   supa e’ nullu pozzu ma supa e’ mugghierima pozzu

315.   supa o cavallu magru tutti i muschi appoianu

 

T

 

316.   tabaranellu*, quand’era cotraru** ‘i quindici anni caminava sulu.

317.   tagghiarelli e latti levati e scotulatti.

318.   tantu non dura la mala vicina quantu la nivi marzulina

319.   tantu vaj a cortara* all’acqua finu a cchi ssi rruppi

320.   tardu dicisti "pìu" pullìu bullutu.

321.   tira cchiù nu capillu i fimmana ca ‘na sciarta*.

322.   tristu pignatu non cadi d'ancinu e si cadi non si rruppi

323.   tutti i ‘na ventri e non tutti i ‘na menti.

 

U

 

324.   u beni chi no’ m’agiuva è comu u mali chi non mi noci

325.   u bonu jornu da’ matina pari.

326.   u cani cottu si spagna puru di ll’acqua fridda.

327.   u cani muzzica u malu vestutu.

328.   u ciucciu carrija o vinu e si ‘mbivi l'acqua.

329.   u  gabbu ‘ncappa e a iestima cogghi.

330.   u  gabbu pigghia e lla iestima no.

331.   u iancu e llu russu veni du mussu.

332.   u jmburusu jìa e venìa ma u jmbu soi non su’ vidìa

333.   u iovi ’i llardarolu cu non avi carni s’impigna u figghiolu.

334.   u malu passu è llà undi si cadi.

335.   u mangiari è di ragiuni, cu’ non mangia ‘mpalisi mangia ammucciuni

336.   u maritu è sangu ‘i carta.

337.   u matrimoni voli sulu.

338.   u medicu piatusu faci a piaga cancrenusa.

339.   u megghiu e llu peju da’ stessa rrazza sunnu.

340.   u. menzognaru ndavi ad aviri bona memoria.

341.   u murtu d’anticu non sbagghia mai.

342.   undi mangianu du’ mangianu tri.

343.   undi ‘nc’è una ‘nc'è a mala furtuna.

344.   undi non si’ chiamata non jri ca sì cacciata.

345.   undi non si trasi suli trasi medicu e cumfessuri.

346.   undi si tocca sona.

347.   undi vaj vaj a xiumara.

348.   u palumbellu po’ mussu è bellu.

349.   u parlari è arti leggia.

350.   u peiu è arretu.

351.   u peiu surdu è chillu chi non boli u senti.

352.   u pitittu è calaturi*.

353.   u porcu è a’ muntagna e ll’acqua gugghi.

354.   u sangu è duci.

355.   u saziu non cridi ‘o dijunu.

356.   u signuri chiudi ‘na porta e apri ‘nu purtuni.

357.   u signuri duna a piaga e duna u ‘nguentu.

358.   u sparagnu d’a vecchia i ‘na simana si ‘ndi vaj di pipi a ‘na matina

359.   u vinu è u latti di’ vecchi.

 

V

 

360.   va' a malupatutu e non jiri a medicu.

361.  va’ cu chillu megghiu ‘i tia, e fanci i scarpi.

362.  venimma, panza e prisenza.

363.  vesti pistuni (picciuni) ca pari baruni.

363.  vestuta comu a reggina e ‘a scarsa comu a gallina

365.  vidi mollu e zappa fundu.

366.  vinni pe’ grazia e trovai giustizia.

366.  voli i pedi d’angilla

368.  voli m’assicca u puzzu ca scorza d’a nucilla.

369.  votala comu voi, sempi è cucuzza.

 

Z

 

370. zoccula, vroccula e predicaturi doppu pasca non servinu cchiuni.

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