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Le Altre Iliadi

Oltre al racconto insuperabile di Omero, altri testi di straordinario interesse hanno descritto la vicenda di Troia 

 

Francesco Chiappinelli

Virgilio e l'impius Aeneas

 

Non troviamo naturalmente nell’Eneide nessun esplicito riferimento alla versione dell’impius Aeneas, e non è certo il caso di spiegarne gli ovvi motivi. Ma ne parlano frequentemente e diffusamente i commenti antichi al poema,  che qui mi limito ad elencare lasciando al lettore ogni libertà di riflessione e augurandomi di fare ulteriori precisazioni in sede di commento.

 

Nell’ importante scolio  ad Aen. I 241 già considerato per Livio e Orazio, Servio dice:

 

ANTENOR POTVIT : non sine causa Antenoris posuit exemplum… sed propter hoc, ne forte illud occurreret, iure hunc (scil. Aenean) uexari tamquam proditorem patriae. elegit ergo similem personam; hi enim duo Troiam prodidisse dicuntur secundum Liuium, quod et Vergilius per transitum tangit (Aen. I 488), ubi ait "se quoque principibus permixtum agnouit Achiuis''.

 

In sostanza Virgilio ha praticato una forma di autocensura: non volendo che dal poema sorgesse motivo di biasimo per Enea (ed evidentemente per Augusto), invece di parlare direttamente di lui ha qui fatto riferimento ad una figura simile, quella di Antenore, come Enea accusato ripetutamente del tradimento.

 

E la reticenza di Virgilio è palese anche nel passo richiamato dallo scolio, Aen. I 488: leroe, approdato naufrago sulle coste libiche, vede dipinte sulle pareti del tempio di Giunone le scene principali della guerra di Troia. In una di esse, se quoque principibus permixtum adgnovit Achivis, anche sè riconobbe mischiato ai principi greci “. Il verso è forse volutamente ambiguo: può significare che Enea è raffigurato mentre valorosamente combatte contro i principi achei, ma anche che è con loro impegnato in trattative dal dubbio contenuto. Ecco comunque il commento di Servio: Poeta…aut latenter proditionem tangit, ut supra diximus…aut uirtutem eius uult ostendere.

 

Servio torna sull’argomento anche nel commentare Aen. I 649, dove si parla dei doni che l’eroe fa a Didone.

 

Munera praeterea, Iliacis erepta ruinis,

ferre iubet, pallam signis auroque rigentem,

et circumtextum croceo velamen acantho,

ornatus Argivae Helenae, quos illa Mycenis,               

Pergama cum peteret inconcessosque hymenaeos,

extulerat, matris Ledae mirabile donum:

praeterea sceptrum, Ilione quod gesserat olim,

maxima natarum Priami, colloque monile

bacatum, et duplicem gemmis auroque coronam.

     

Ecco la chiosa di Servio:

 

EREPTA ostendit ualde pretiosa, quae meruerunt ex ruinis ciuitatis eripi. Laborat autem poeta hoc sermone probare, ab Aenea non esse proditam patriam, si ornatus Helenae, quam cum Antenore Troiam prodidisse manifestum est, ex incendio eripuit bellorum casu, non pro praemio proditionis accepit.

 

 “Il termine erepta vale preziosissimi, meritevoli di esser sottratti alle rovine di Troia. Ma il poeta con queste parole si sforza di dimostrare che da Enea non fu tradita la patria, se quei preziosi ornamenti di Elena, che con Antenore, come tutti sanno, tradì Troia, Enea riuscì a sottrarli all’incendio per un evento bellico, non li ricevette in premio del suo tradimento”.

 

Anche un altro commentatore del poema, Tiberio Claudio Donato, ha lasciato nelle sue Interpretationes Vergilianae una testimonianza inequivoca del tradimento di Enea. A proposito di Aen. II 200-1, i versi che introducono il celeberrimo personaggio di Laocoonte :

 

Hic aliud maius miseris multoque tremendum

obicitur magis atque improuida pectora turbat

 

egli chiosa:

 

(Poeta) omni occasione purgat (Aeneae) crimen perditae civitatis: Il poeta in ogni occasione purifica Enea dell’accusa di aver mandato in rovina la città.

 

Cosa vuol dire? Siamo nel pieno del racconto di Enea a Didone, precisamente quando su Laocoonte e i figli, che si oppongono all’ingresso del fatale cavallo in Troia, si avventano i mostri marini inviati da Nettuno. Nel ciclo, di fronte all’orribile scena Enea lasciava immediatamente Troia per tornarsene con i suoi sull’Ida; nell’Eneide invece l’eroe rimane inerte, anche lui che ormai è l’unico grande superstite di parte troiana; e questa condotta sarebbe determinata, secondo i suoi accusatori, dalla colpevole consapevolezza dell’inganno che con lui e Antenore hanno stretto i Greci.

 

Naturalmente, le chiose dei commentatori non esprimono né la loro reale convinzione né tantomeno quella di Virgilio, che è poi anche la nostra, sulla pietas dell’eroe: l’intento esclusivo di queste pagine resta quello documentario.

 

 
 

 

 

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