Vittorio Civitillo | |||||
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il Dialetto di Gioia Sannitica |
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L'IMPRONTA LATINA IN UN DIALETTO ALTO CAMPANO | |||||
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In latino i nomi erano raggruppati in cinque declinazioni che attraverso la desinenza, variabile a seconda dei casi, non distinguevano soltanto il maschile dal femminile e il singolare dal plurale, ma anche l’ufficio sintattico rivestito dalla parola nella proposizione: soggetto, complemento oggetto, di specificazione, ecc. Nel passaggio dal latino classico al volgare ben presto i casi furono abbandonati e le parole si ridussero ad una forma unica, che veniva flessa solo in riferimento al genere e al numero, mentre per la determinazione delle funzioni logiche si faceva riscorso alle preposizioni.
Con la scomparsa dei casi le declinazioni hanno subito notevoli trasformazioni. Quelle che si sono meglio conservate sono la prima (tipo rosa ‘rosa’) in -a, e la seconda (tipo lupus ‘lupo’) in -u (it. -o), perché caratterizzano meglio il genere dei nomi: femminili per la prima, maschili per la seconda. Esse sono state inoltre rafforzate - soprattutto nei dialetti - da numerose parole della terza declinazione, in -e, che vi sono passate per una più precisa caratterizzazione del genere. Della quarta si sono conservati alcuni resti (‘ago’, ‘fico’, ‘mano’; dial. acu, ficu, mani). I nomi di quinta, dato il loro genere quasi esclusivamente femminile, passarono alla prima declinazione in -a (‘faccia’, ‘rabbia’, ‘scabbia’); oppure alla terza, in -e (‘fede’).
Quanto detto per il passaggio dal latino all’italiano è valido anche per i dialetti, sia pure con variazioni significative a seconda delle aree geografiche. Nel dialetto alto campano di Gioia Sannitica, in particolare, si è avuta la pressoché totale confluenza dei nomi delle cinque declinazioni latine nella prima, in -a, e seconda, in -u, - con un buon numero di femminili in -i dalla terza - e la permanenza del genere neutro per una ben determinata categoria di nomi, riconoscibili perché richiedono l’articolo lu 'il' invece del maschile u.
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