Vittorio Civitillo | |||||
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il Dialetto di Gioia Sannitica |
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L'IMPRONTA LATINA IN UN DIALETTO ALTO CAMPANO | |||||
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Latino e Dialetto |
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Dalla “sordida mappa” di Orazio alle ‘maps’ di Google e alle meridionali ‘mappina’, ‘mappata’ e ‘mappatella' Vittorio Civitillo |
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N.B. L'articolo, già pubblicato a puntate sul sito NetEditor (http://neteditor.it/content/201909/dalla-%E2%80%9Csordida-mappa%E2%80%9D-di-orazio), viene qui riproposto per intero. | |
Le maps ‘mappe’ di Google indicano ormai la strada agli automobilisti di tutto il pianeta. Ma anche la strada percorsa dal termine ‘mappa’ per approdare sul web, è lunga. ‘Mappa’, infatti, è parola antica, che ci arriva pari pari dal latino, che pare l’avesse mutuata dalla lingua punica[1]. La troviamo in Orazio, Marziale, Plinio, Quintiliano, Seneca, Catone, Lucilio, Varrone, Petronio, Stazio, Giovenale, Svetonio. Nella lingua di Roma ‘mappa’ indicava la ‘tovaglia’, il ‘tovagliolo’. In italiano invece ‘mappa’ (con i sinonimi carta, carta geografica, cartina) appartiene al linguaggio tecnico-specialistico, per la precisione a quello della cartografia. I vocabolari ne registrano i significati – peraltro dichiarati obsoleti – di tovaglia e tovagliolo in riferimento alla copertura di altari o come elemento del paramento degli officianti. Da mappa col significato di strofinaccio, cencio, ma anche per indicare persona di poco conto, miserabile, deriva il meridionale ‘mappina’. Come diminutivo di mappa, ‘mappina’ possiede tutti i crismi per entrare nel vocabolario italiano, ma, come scriveva il linguista Aldo Gabrielli nel 1978: «Resta invece ancora fuori dello stile letterario, almeno a quanto mi risulta, il meridionale mappina, comunissimo anche fuor dello stretto dialetto, nel significato di "straccio", "strofinaccio"»[2].
1. Mappa in latino.
Ma andiamo con ordine, partendo dalla lingua latina, e precisamente dal poeta Quinto Orazio Flacco. Nell’Epistola 1.5, in cui Orazio invita a cena a casa sua l’amico Torquato, troviamo forse la più nota citazione del termine mappa:
«haec
ego procurare et idoneus imperor et non
Come traduzione ci piace riportare quella in versi di Pietro Metastasio, che riprendiamo da una edizione milanese delle opere dell’abate, del 1822:
D’ORAZIO A TORQUATO - Il mio mestiere, a cui son pronto ed atto, / È il procurar che non ti dia nel naso / Sozza coltre o salvietta; e in ogni vaso / Che tu possa specchiarti, e in ogni piatto. / Gran cura aver che non vi sia fra noi / Chi sparga fuor de’ fidi amici i detti, / E siano i convitati in guisa eletti, / Che si trovi ciascun co’ pari suoi». (Pietro Metastasio)[4]
Per il significato in italiano della parola latina mappa riportiamo le «osservazioni opportune» di Celestino Masuccio, «professore giubilato di poetica nell’Università di Genova»:
«Ne sordida mappa. Il nome mappa si è adoprato da molti per quella che noi diciamo tovaglia, e così in questo luogo lo intende Dacier; altri lo hanno fatto servire a significare la salvietta, o pannolino, col quale i convitati si asciugavano le mani prima del pranzo; giacché le salviette per nettarsi la bocca, ciascuno se le portava da casa, secondo che Sanadon ha dedotto da un epigramma di Catullo e da un altro di Marziale, quantunque non tutti forse si accordino a ricavare da quelli due epigrammi l’istessa idea, che ne ha tratto il Sanadon. E certo anche per di lui confessione, che se mappa era accompagnato da mantile, per mappa s’intendeva tovaglia, e per mantile, salvietta. Separate l’una dall’altra queste due parole prendevansi l’una per l’altra. Qui Sanadon vuol che mappa sia posto generalmente per tutta la biancheria della tavola, né pare che abbia torto; tanto più che bisogna ricordarsi, che i Romani non sempre adopravan tovaglie ma lasciavano scoperta la tavola, quando era di un legno prezioso o di marmo, e ciò ad ostentazione di maggior lusso (V. sat. IV, lib. II). Corruget nares. Quintiliano osserva, che Orazio fu il primo, che adoprasse questa espressione. In Italiano si dice assai bene aggrinzar le narici, e questa frase esprime l’effetto che produce in ogni animale, e perciò ancora nell’uomo, qualunque esalazione molto gagliarda ed acuta, nel qual caso l’aggrinzar le narici è un moto involontario, e necessario, a meno che non s’abbia perduta la sensibilità; fassi però anche volontariamente in contrassegno di dispregio e di nausea, allorché o si vede una cosa laida e deforme, o se ne parla, e mostrar si vuole di averla a schifo»[5].
Acuto il commento ai versi 22-23 di Orazio di Pomponio Porfirione, per il quale la mappa non è solo ‘sordida’, ma anche ‘puzzolente’ (olentem): «ne sordida mappa Conruget nares nec non et cant. Conruget. Contrahat, per quod non tantum sordidam sed et olentem mappam significat»[6].
Ancora Orazio (Sermones, 2.8) «Varius mappa conpescere risum vix poterat», così tradotto «in lingua volgare toscana» da Giovanni Fabrini da Fighine, in una edizione veneta del M.DC.LXIX delle Opere del poeta latino: «[Varius] Vario sentendo, che Nomentano parlava così per dar la baia a Nasidieno [vix] appena [poterat] poteua [compescere] ritenere [risum] le risa [mappa] col tovagliolo, che si teneua alla bocca per non ridere»[7].
Spiritoso il passo di Petronio (Satire) in cui si descrive l’abbigliamento di Trimalcione (universale archetipo di cafone arricchito), che riportiamo con il volgarizzamento ottocentesco di Giambattista Gely Colaianni:
«pallio enim coccineo adrasum excluserat caput circaque oneratas veste cervices laticlaviam immiserat mappam fimbriis hinc atque illinc pendentibus»[8].
«[Trimalcione medesimo venne portato al suono di musici concenti, e collocato d’infra piccolissimi origlieri, eccitò i meno prudenti al riso]. Conciossiaché gli venisse fuora da un purpureo pallio la zucca pelata, e gli stesse sulla collottola di quel pallio gravata un tovagliolino variegato di oro e di porpora, a mo’ di laticlavio, pendendone di qua e di là sul petto le fimbrie»[9].
Col significato di ‘tovaglia’ la mappa in cui Plinio attesta che veniva raccolta la selagine, un’erba medicamentosa utilizzata, tra l’altro, nella cura delle affezioni degli occhi. Riportiamo il testo latino con la traduzione di Lodovico Domenichi, da una edizione ottocentesca delle opere di Plinio:
Plinius (Naturalis Historia): «Similis herbae huic sabinae est selago appellata. Legitur sine ferro dextra manu per tunicam, qua sinistra exuitur velut a furante, candida veste vestito, pureque lotis puris pedibus, sacro facto, priusquam legatur, pane vinoque; fertur in mappa nova. Hanc contra omnem perniciem habendam prodidere Druides Gallorum, et contra omnis oculorum vitia fumum eius prodesse».
«Simile all’erba savina è quella, che si chiama selagine. Cogliesi senza ferro, con la man ritta coperta della vesta, si che sembri che l’uomo la furi, e la man manca scoperta: si dee essere vestito di bianco, e con piedi scalzi e ben lavati, avendo fatto sacrificio di pane e di vino, prima che si colga. Portasi in una tovaglia nuova. Dicono i Druidi, sacerdoti della Francia, che questa erba si dee tenere appresso contra ogni sommo infortunio, e che col suo fumo giova a tutti i mali degli occhi»[10].
2. Mappula in latino medioevale.
Il diminutivo di mappa in latino è mappula ed è attestato in opere medioevali di ambito prevalentemente ecclesiastico. Riportiamo alcune citazioni, dal “Glossarium mediæ et infimæ latinitatis”[11].
Mappula, Parvula mappa, qua nasum tergimus, sudarium[12]. Mappula, quæ in sinistra parte gestatur, qua pituitam oculorum detergimus, dicitur et manipulus.[13] Mappula, linteum de zona pendens ad tergendas manus[14]. Mappulas fuisse propria Clericorum Romanorum ornamenta, adeo ut aliis non nisi ex privilegio uti fas esset, scribit Gregorius M. in processionibus scilicet publicis cum ipso summo Pontifice[15]. Mappula, Umbraculum, quod defertur supra Episcopi caput, dum procedit ad altare, sacra facturus, seu stationes facit, diversis imaginibus adornatum, quatuorque baculis innixum, quod a quatuor ministris tenetur, qui inde Mappularii appellantur[16].
In questa sede, tuttavia – per documentare il passaggio dal latino mappa al volgare ‘mappina’ – diamo la preferenza a opere più recenti, in cui sono riportati testi latini volgarizzati.
3. Mappula in opere in volgare.
M. Filppo Venuti: «Touagliuolo da nettare le mani a tauola] Haec Mappula, lae.»[17].
Pietro Le Brun: «Fu il Manipolo nostro detto in origine Mappula in latino, e vuol dire piccola salvietta, o sciugatoio, Le Chiese di Alemagna chiamaronlo Fanon(e), che significa salvietta distesa, o panno-lino.In Inghilterra, ed in Francia dicevasi solamente panno da viso, sudarium. […] Mappula, qua solent siccari stillicidia oculorum, excitat nos ad vigilandum»[18].
D. Luigi Nardi: «Adalberone Vescovo di Augusta nell’anno 908 tra gli altri doni al monastero di san Gallo diede una Mappula con ornamenti (forse frangie o nappe) d’oro per l’Altare, o sia una tovaglia». […] «Dalle lettere del santo [san Gregorio, ndr] si vede, che i Cardinali di Roma non volevano che i canonici di Ravenna usassero le Mappule, che come vedremo non erano i Manipoli come tanti hanno malamente interpretato, ma quei manipulis et linteminibus di candidissimo colore da ornare i cavalli sui quali sedevano, di cui fa menzione l’antecedente privilegio attribuito a Costantino. Ed i Cardinali ciò non volevano, perché lo tenevano come privilegio loro esclusivo, per cui vedevano che usandolo altri senza licenza, ex furtiva usurpazione sibi praegiudicium generari, come vedesi nell’epistola di san Gregorio»[19].
Gaetano Moroni Romano: «MAPPULA, Mappulam. Baldacchino che anticamente si portava sul capo del Papa nelle solennità maggiori, sostenuto da quattro aste che portavano i Mappulari. […] mappula extensa super caput Pontificis» […] “le mappule o fazzoletti di lino che legavansi al braccio sinistro per nettare il naso e la fronte, l’usavano per privilegio i soli chierici romani, nelle processioni alle quali interveniva il Papa, e siccome le mappule venivano illecitamente usate dai chierici di Ravenna, s. Gregorio I le concesse ai primi diaconi di quella chiesa, nelle processioni solenni che si facevano o presente il Pontefice se si fosse trovato in Ravenna, o per di lui ossequio quando interveniva alle medesime l’apocrisario apostolico”.»[20].
Wharton Booth Marriott: «But a few words muft here be faid of two veftments, connected more efpecially with the Roman Church, viz. the Mappula and the Papal Pallium.»[21]
4. Mappula e mappina.
In Domenico Gaetano Cavalcanti troviamo nello stesso testo mappula e ‘mappina’:
«di poi li furono date due vesti, testimonio Onorio in Gemma, cio è la Tonaca ch’egli chiama sottile, e ‘l sudario, o sia mappina, alla quale successe il Manipolo. Nell’ordine romano apparisce gran differenza fra la Dalmatica diaconale, e la Tonacella del Suddiacono» […] «han parlato bensì d’altra cosa ad uso diverso del Manipolo, che pure si adattava al braccio sinistro, o sopra il camice, o sotto la pianeta, nominata o mappina, o sudario, o mantile, detto Fanone volgarmente secondo rapporta Rabano Mauro […] Quartum Sacerdotis indumentum mappula, sive mantile est, quod vulgo phanonem vocant. L’uso di questo era di pulire le sozzure degl’occhi, ma piuttosto d’asciugare ogn’umettamento anche di sudore, specialmente ad asterger le lagrime di compunzione; giacché succeduto poscia ad essere ornamento o veste sacra, di queste lagrime si fa motto nell’orazione che si recita quando applicasi»[22].
5. Mappula e mappina con significato dispregiativo.
Nei suoi “Discorsi morali” fra Emanuello di Giesù Maria riporta mappina con valore dispregiativo:
«… perché certamente il parlar molto la macchia [la virtù del silenzio, ndr], la deforma, la rende come una veste mal tagliata, che pare più tosto mappina, o cosciale, che gala. E perciò disse San Clemente Alessandrino: Ne sis prolixus in sermone: Dictio enim est tamquam vestis. Non essere molto diffuso nel parlare, non molto largo nel discorso, perche (sic) la parlatura è come una veste, se sta disposta a misura, a proporzione, e giusta la statura ella è grande a dismisura, meglio starebbe l’huomo ignudo, che di tal veste coverto. Così chi troppo parla, dice Amborogio: Facilis in verbis, tegere se nescit. Chi è facile nelle parole, non si sà vestire, non si sà adornare; perche (sic) solo il silenzio è la gala, e l’ornamento dell’anima»[23].
Nel “Dizionario italiano, latino e francese” di Annibale Antonini (1770) troviamo un esplicito riferimento ad un uso poco nobile di salviette e mappule:
«Salvieta, sarvieta, servieta, piccola tovaglia, che a mensa teniamo dinanzi per guardare gli abiti dalle macchie, e per nettarsi le mani e la bocca; tovagliolino, salvietta, mappula, serviette. Salvieta, pezzo di carta, o cencio, che si usa per nettarsi il culo, cartaccia, salvietta del culo … torche-cul»[24].
“Archivio storico italiano”: «Oggi il vocabolo mappa, degenerato dal pristino significato, esiste solo nel derivato mappina equivalente a quello che i toscani chiamano cencio da cucina.»[25].
“Raccolta Rassegna Storica dei Comuni”: «In lingua napoletana, anch’essa lingua neolatina, chiamiamo “mappina” il panno sudicio e, per traslazione affibbiamo alla donne di malaffare, e quindi di macchiata moralità, il termine offensivo di “mappina”»[26].
6. Mappina in antichi vocabolari napoletani.
“Vocabolario delle parole del dialetto napoletano, che più si discostano dal dialetto toscano”: «Mappina. Cannavaccio, che serve per tergere i vasi di cucina. Viene dalla parola latina mappa, che denotò lo stesso, ed in quella, come in altre parole vedesi quanto abbia il Dialetto nostro conservati più latinismi, che non ha il comune Italiano. […] Si trasferisce a dinotar donna vile, e di depravati costumi; e prendesi la metafora dal disprezzo, che sogliam fare de cannavacci»[27].
“Vocabolario domestico napoletano e toscano”: «MAPPINA. Sust. Femm. Pezzo di panno grosso, col quale si asciugano le mani, si spolvera, si netta stoviglie, e si fa altre operazioni. Canavaccio, Canovaccio. Dicesi pur figurat. a Donna brutta, deforme, e cenciosa, e di sozzi e malvagi costumi. Donna laida»[28].
“Vocabolario napoletano-italiano compilato sui dizionari antichi e moderni”: «Mappina – Canovaccio – Canavaccio – Cencio – Cencio da spolverare = Si propeto nna mappina, Sei una donna laida, vile, di depravati costumi. Mappociare, Mappuciare, Mappeciare, Mappecià – Gualcire – Sgualcire – Stazzonare – Piegare disacconciamente – Malmenare. Mappociato, Mappuciato, Mappeciato – Malmenato – Stazzonato – Gualcito – Sgualcito»[29].
“Vocabolario napoletano-italiano”: «Fare na mappina, di panno o di vestito, Accincignarlo - Tenere uno pe mappina de cucina, non fame conto veruno, adoperarlo negli uffici più umili. Tenere uno per strofinàcciolo. Mappueïare. Ved. Ammappuciare.»[30]
7. Mappina in altri vocabolari ottocenteschi.
Friedrich Diez: «Nappe fr. tischhtuch; von mappa, Rom. Gr. I. 188, wall. mapp. Das lat. wort hat sich in dieser anwendung nur im franz. behauptet: die span. sprache hat dafür manteles, die ital. das unlat. tovaglia; doch findet sich piem. mapa, neap. mappina wischlappen, bei Ferrari auch nappa, das sonst, gleich dem lomb, mappa, nur die bed. Quaste oder büschel hat.»[31]
Friedrich Diez: «Nappe Fr. Tablecloth (E. napkin, napron = apron), from mappa (cf. naguela). Only in the Fr.; Sp. has manteles, the It. tovaglia, but Piedm. mapa, Neap. mappina a towel»[32].
Vittorio Ugolini: «MAPPINA. Anche questa è voce che appartiene alla bassa Italia e che va cambiata con Canavaccio o Canovaccio»[33].
L. De Pasquale: “Studio Calabro comparativo”, «Mappina straccio, cencio, prostituta: non solo nel gergo della camorra, ma comune anche in Calabria»[34].
Gennaro Finamore: «Mappina, canovaccio, pannolino di traliccio per pulire oggetti in cucina»[35].
Antonio Trajna: «Stujaturi. V. mappina» - «Stujavucca. Tovagliuòlo»[36].
8. Mappella, mappulella, mappulum e mappinella.
Altri diminutivi del latino mappa sono mappella (id est, parva mappa)[37], mappulum e mappulella, (che è diminutivo del diminutivo mappula, evidentemente non più sentito come tale)[38]:
Regii neapolitani archivi monumenta: «…mappula cum tres cruces in medium de antiscum plummate: et quinque mappulelle pictule et turabulum de ramme unum cum duas cruces una exinde ferrea et alia una exinde herea cum una coronella de ramme»[39].
John Rider: «Mappa, f. mappale,n. A little table cloth. 3 Mappella, f. Оf,or belonging to a table.»[40]
Bento Pereira: «Mappella, ae, f. g. dim. […] Mappulum, quod Mappula. Lege post Mappa sopra»[41].
Novum glossarium mediae latinitatis: «Mappulella, -e f. [mappula] forme: mapulela : Cartul. S. Petri Gomai 103 p. 231 (a.1080) 1) petite serviette […] 2. voile liturgique […] copertula de cruce»[42].
Paola Maugeri: «Abbassate il fuoco al minimo e lasciate rinvenire i pomodori per due minuti, dopodiché scolateli e asciugateli in una mappinella pulita, metteteli in un piatto e condite con olio extravergine di prima spremitura a freddo, aglio tagliato finemente o ...»[43].
9. Mappenona e mappenune.
Accrescitivi di ‘mappina’(che denotano il fatto che ormai si era reso opaco il valore di diminutivo del termine) sono, infine, ‘mappenona’ e ‘mappenune’, con significato sia proprio che figurato.
Pirro Bichelli: «Mappina - mappenona = straccio da cucina - grosso straccio da cucina.»[44] .
Eduardo De Filippo: «mappenune: vecchie mappine (stracci consunti); fig.: vecchie puttane, usate da tutti.»[45].
9. Mappina in opere napoletane del ‘600 / ’800.
Il diminutivo del latino mappa in dialetto, in tutto il meridione d’Italia, è ‘mappina’. A differenza del diminutivo latino mappula, che si riferiva al vestiario ecclestiastico – anche papale – quindi aveva anche connotati di dignità – il significato di ‘mappina’ è sempre negativo, sia che il termine sia usato in senso proprio - ‘cencio, straccio’- che in senso figurato - ‘uomo da nulla, mal ridotto’ oppure ‘donna di depravati costumi’-. Il termine ‘mappina’ è largamente documentato in testi napoletani del Seicento, Settecento e Ottocento – tutte edite a Napoli – dalle quali abbiamo tratto le citazioni che seguono.
9a. Mappina col significato di straccio, strofinaccio, cencio.
Giulio Cesare Cortese: «Co no trepete ncapo pe corona / Hauarraie commo Rrè de la cocina / No spito mmano, e ncuollo na mappina»[46].
Giulio Cesare Cortese: «desgrazia granne de nuje aute Napoletane, che beneno le gente da tutte le parte de lo munno a zucarence lo sango, e assassinarece, e po lo mariuolo secuta lo sbirro; la caudara dice a la mappina netta, e ghianca, vì ca me tigne».[47]
Giulio Cesare Cortese: «Sine, disse essa, e non me fa sperire, / E piglia chesto, se te ne vuoie ire. / E ghietta a na mappina arrovogliata, / Na bona fella de caso cavallo, / Na meza nnoglia, e meza sopressata, / E li piede, e lo cuollo de no gallo; / No piezzo de na meuza mmottonata, Quatto tozze de pane, e no tarallo […] Po visto quanto a la mappina nc’era, / Lo deze con gran gusto a no pezzente».[48]
Giancarlo Sitillo: «Scopa de vrusco pe le ragnatela / Pare, che sia la varva ‘mpeccecata. / L’huocchie hà de fuoco, come doie canele / E ‘ncuollo hà na mappina arravogliata / Isso passa li muorte à rimme, e bele, / Co na varca arroggiuta, e carolata. / Isso tene la guardia de sto Puosto: / E’ biecchio musso, ma stà vispo, e tuosto./ Lloco vide li muorte a miliune / Correre à chelle ripe sgraziate».[49]
Giancarlo Sitillo: «Appena disse chesto, eccote spara / Na chioppetà tremenna, a na roina / D’acqua, e de viento, a ll’aria ch’era chiara, / Se fece negra comme na mappina. / E li truone cadeano a ccentenara / Ncoppa a li munte, e abbascio a la marina, / Ed era cosa, che mettea spaviento / La gran furia dell’acqua, e de lo viento».[50]
Salvatore de Renzi: «Statt’a sentire, e se la veretade / no ve dico, pigliateme a petrate / […] Ca chello che ve voglio mo contare / So cose vere chiare e manifeste, / Che succedute so dopo la peste.[…] Ed a la mano de sto pettolelle / Dito non nghè che non ha quattr’anelle. […] A malappena se potea coprire / Lo capo con a pezza de mappina, / Mo, si la vide, pare na regina!»[51]
Giuseppe D’Alessandro: «La paletta, la pala, e la padella; / E del Zingaro ogn’altra opra consunta; / La mappina, il teame, e la scudella, / Sia don della pigrizia atra, e bisunta».[52]
Giovan Battista Basile: «No stare sempre male; / Comme la gatta de Messè Vasile, / Che mò chiagne, e mò ride, / No cammenare stentato, e sbanuto,/ No parlare a repieneto, e ‘nterrutto, / No mannare a tutte hore / Lo celleuriello a pascere; / E avere sempre maie / lo core da mappina, / La facce de colata, / Caudo lo pietto, e l’alma ‘ntesecata».[53]
Felippo Sgruttendio de Scafato: «Sonetto V. Era la notte, quanno Carmosina / Da lo cafuorchio a l’attentune asciette, / E de corza, e de pesole venette / Lo cantaro a chiettare a l marina. / Me vedde mente jea co Fragostina, / e rosia (VEDI) pe lo scuorno se facette? / Po tanto a l’ancorrenno se ne ghiette, / Che le scappaie de mano la mappina»[54].
Andrea Perucci: «Da che Napole mio t’ave cagnato, / Na bona parte n’è ghiuta a rroina. / No vestito a cchiù d’uno l’è bastato / Ppe d’anne, ed anne ‘nsi ch’era mappina. / Mo quanto te nce faie na mbroscenata, / E non te serve cchiù l’autra ‘nvernata / Li peluzze de Siena addò so ghiute?».[55]
Pietro Martorana: «Vincenzo Torelli ... nel pubblicare l'annuale sua Strenna La Sirena, un anno rifiutò una poesia che il Genoino gli aveva inviata: perciocchè passando in rassegna le varie composizioni, trovatala scritta in dialetto, la tolse via come mappina (cencio di nessun conto), non credendola degna di occupare un posto nel suo libro»[56].
9b. Mappina col significato di donna di poco conto, vile, depravata.
Carlo Mormille: «A chi scicca, a chi vatte, a chi vo fare, / A chi chiamma mappina, a chi muccosa. / Po, non volenno stà chiù mmiez’a chelle, / Auzaje li puonte e allariaje le scelle»[57].
Gio:Batta Valentino: «E pe fare a le femmene vestite, / Nuove drappe ncè so, nuove colure […] E balle de scarlata, e scarlatina, / Pe fa parè Segnora ogne mappina»[58].
Giovann Battista Valentino: «E se ccà ncè venesse la Regina, / Quale ncapo portasse la corona, / Fuorze non vedarisse ogne guaguina, / Ire à paraggio, comm’a la Patrona; / Vò deuentà mesale ogne mappina, / Perzò la MEZACANNA, sarria bona. / Ma perche (sic) non se troua, ogn’uno penza, / Ch’à fare nzò che bò ncè sia despenza»[59].
D. Anchise Campanone: «Colle piume, e fiori in testa, / Colla veste a lunga coda / Mi vedranno passeggiar. / Il mio caro maritino / darà braccio alla sua sposa; / E con aria maestosa / Va con essa a camminar … La mappina in signorina / Come ben si sa cangiar! … Chi credea che una mappina / Conoscesse il sciarabà?»[60].
De Biaso Valentino: «Meglio era assaje pe mme na scoppettata:/ Mprimmo parea na rosa tomaschina, / Mo so mostrata a dito, e sò ntaccata. / Mo paro na mappina de cocina: / Chello ch’è pevo, songo sbregognata / Addò mme stea stipata sta ventura / Meglio sarria pe mme la sebbetura»[61].
Vittorio Imbriani: «Ed in gergo anche sgualdrina d'ultim'ordine, come: Mappina de lumme a gas»[62].
Antonio Casetti e Vittorio Imbriani: «Dicono a Lecce e Caballino: Cce si' brutta, lucerta fracetana, / Ca te lucenu l' ecchi comu spina; / Tie si' de la taerna lavandara, / De su la banca pesciu de mappina; / Tie d'ogne cane si' la cacciuttina»[63].
10. Mappina in opere del ‘900 / 2000
Riportiamo, per concludere, una serie di citazioni del termine ‘mappina’ tratte da opere del ‘900 / 2000, sia nel significato proprio di ‘strofinaccio’, ‘cencio’, che in quello figurato di ‘persona da poco, miserabile’, ‘provata nel fisico e nello spirito’; ‘straccio’, ‘rottame’.
Carlo De Nicola: «O’ Re è venuto da regnante, - è partito da Brigante – a’ Regina è venuta da mappina – E’ partuta da Regina»[64].
Cosimo De Carlo: «10. Do cose nu se curami: mappina e forza de poeru. Due cose non si curano: stracci e fatica di povero.»[65].
Vincenzo Consolo: «Andavo un giorno di forte pioggia in bicicletta verso un giardino alla riva del torrente. Legato con la mappina, pendeva dalla canna il piatto caldo di pasta, e pedalando mi piegavo avanti a ripararlo»[66] .
Giuseppe Cassieri: «Può, Antonacci, può un uomo ridursi a mappìna, combattendo egli moralmente le mappìne, avendo in odio le mappìne? Scrisse con furia, l’occhio umidio di stizza. Perché tale io sono in questo momento: una tenebrosa mappìna che non migliora affatto la sua condizione sapendo di...»[67].
Gerhard Rohlfs: «Una funzione strumentale, nel senso del toscano 'con' ha il lucano pë na mappinë '(pulire) con un cencio', pë na scopë 'con una scopa'.»[68].
Vincenzo Consolo: «Si sedette ancora su quel muro, ben squadrato e polito come scaricatore davanti al mulino di Caldai o al frantoio della Provvidenza, distese la mappina, vi pose sopra le cose per mangiare. E mangiando guardava tutto il suo travaglio ...»[69].
Sergio Zazzera: «... e la sua arguzia lo induceva a dire, a proposito dei mezzi pubblici cittadini, sempre affollati: «Songo sagliuto Salvietti e songo sciso mappina!»[70].
Renzo Paris: «Insomma io ero andata a chiudere il cancelletto delle galline e quello era entrato a casa e aveva rovesciato nella cuna una mappina piena di farina. Mi voleva fare dispetto perché lo avevo rifiutato...»[71].
Diego De Silva: «Ma sentitemi. Sono la vergogna del genere a cui appartengo. Sono una mappina d'uomo»[72].
Carmine Abate: «Ma io parlo, quando devo, tedeschìo come una vacca svizzera, mi faccio sentire, altrimenti ti trattano tutti come una mappina, ti calpestano le ossa. Purtroppo, non ho avuto ragione e mio padre a quest'ora si starà girando nella tomba»[73].
Marco Zanni: «Mappina e' cesso - epiteto usato nell' Italia del Sud, in particolare in Sicilia, per indicare una persona brutta, inguardabile, […] La persona in oggetto viene così paragonata al peggiore degli stracci: quello usato per il cesso.»[74].
Fortunato Calvino: «Carmela Comm’è brutto vulè bene! Pierde 'a lucidità d''a ragione e nun capisce cchiù niente. Addiviente na mappina addò tutti se ponne pulezzà 'e pière!»[75].
Giosuè Romano: «E 'a quasi quattro mesi / je stongo 'mpriatorio, / nun trovo cchiù arricietto / cu' nu pere dint' 'a fossa / me sento na mappina / ma, chella culumbrina / comme se niente fosse / toma toma parla e dice: / “Orsù, non essere geloso. / Mantengo ancora intatto il mio decoro: / sì è ‘o vero, me vasa cu’ ll’ati uommene / ma, è solo per lavoro!”»[76].
Antonio La Gala: «E’ nota la passione di Salvietti per la pittura e la propensione alle battute. E' rimasta famosa quella in cui raccontava di essere salito su un mezzo pubblico come Salvietti ed esserne sceso come "mappina”»[77] .
Aa.vv.: «... te lo giuro, me metto a sfila' 'a curona e cunfesso a tutto 'o vico ca in quanto a femmena 'e casa sì 'na zoza, ' na mappina, 'na sciaurata ca pure chella vavosa 'e Cenerentola è mmeglio 'e te!»[78].
Antonio Menna: «Perché mi devi scaricare addosso la responsabilità? Mi devi fare sentire una lota, una mappina, una munnezza di essere umano, neh, perché?»[79].
Vincenzo Cosolo: «... e poi la festa fanno, ah la festa, con quelle dispinnis che ballano e non pare, col busto sempre fermo, e fanno girare l'uomo su se stesso veloce come stròmbolo, stretta nel pugno 'na punta di mappina.»[80].
Giuseppina Torregrossa: «Si guardò allo specchio: sembrava una mappina usata. Nei suoi occhi passò una luce di delusione, eppure aveva goduto più volte nel corso della notte e ora il suo corpo soddisfatto emanava una mollezza che la rendeva ancora più sensuale.»[81].
Brusco Giuseppe: «Come un gattone sotto le carezze dimentica di essere un felino e si fa fare una mappina, allo stesso maniera io mi faccio fare tutto, buono, buono. Domande, pizzicotti, frecciate più o meno piccanti e coccole, quando mi fingo risentito.»[82]
Stefano D'Arrigo: «e poi, c'era un grande fazzoletto rosso in cui forse era stata infagottata quella roba, e poi c'era una mappina ripiegata e dentro c' erano dei pezzi di pane biscottato, che doveva essere di prima della guerra,»[83].
Società siciliana per la storia patria: «Non ne posso più di tante e così grosse fatiche. Fra due mesi, cioè alla fine di giugno, io sarò ridotto una mappina. Ti prego di salutare Croce e la signora»[84].
Santo Piazzese: «Tuffavano la mano sotto la mappina a scacchi che copriva il canestro di vimini con le frittole, rimestavano fino a incontrare il pezzo giusto e lo deponevano con faccia impassibile sul foglio di carta oleata in precedenza fornito al cliente»[85].
Antonella Presutti, Simonetta Tassinari: «Arrivava a Guardialfiera ogni giovedì, giorno di mercato, con il suo maccaturo in testa ed una mappina attorcigliata sulla quale metteva in equilibrio instabile un cesto pieno di mercanzie. Profumava di origano, l'origano che si portava dietro dal Matese...»[86].
11. Mappino: Straccio, uomo da nulla, schiaffo.
“New monthly magazine”: «Meanwhile, a crowd of people had collected round him, and he urged them to cry , "Viva Joachimo Murat!" and to pull down the flag which was displayed on the castle, calling it a "mappino," a "rag." This word is Neapolitan, and is used to ...»[87].
Craufurd Tait Ramage, Edith Clay, Harold Acton, Elena Lante Rospigliosi: «Nel frattempo si era radunata una discreta folla intorno a lui, ed esso l’incitava ad acclamarlo, «Viva Gioacchino Murat!» insistendo perché ammainassero la bandiera che sventolava sul castello chiamandola un «mappino». Questa parola che nel dialetto napoletano vuol dire strofinaccio da cucina, veniva usata da Murat in segno di disprezzo - deriva dal latino mappa.»[88].
Renato De Falco: «… l’offensivo epiteto di mappina riservato alla donna spregevole, volgare, sgualdrina, ed in genere a colei che si comporta in maniera scorretta. Tipica - e tutta napoletana - la maschilizzazione dell'appellativo, quando rivolto ad uomini ("Chillu mappino!"), suscettibile altresì di amene variazioni sul tema ( mappenaro, mappenuso, ecc.)»[89].
Rina Durante: «Quando più tardi i morsi della fame si fecero sentire, il bambino chiese del pane e la madre, esasperata, gli allentò un mappino sul muso, gridando: «Ma allora il cartello non l'hai letto?»[90].
Cosimo Argentina, «[Mio padre] Mi dà uno schiaffo di forza media. Ora, quando becco un mappino, o in genere uno schiaffo, provo due dolori. Il primo è per il colpo ricevuto, il naso da cui esce il sangue … Il secondo è il dover restare lì a non dir niente. … «Questo è perché devo sempre sapere le cose dagli altri. E questo (e stavolta è un mappino bello potente) è per farti capire che devi studiare, diventare perito e entrare all'arsenale con un bello stipendio e buonanotte a' 'o sicchie. E adesso vattinne»[91].
Cosimo Argentina, «Urlava no in continuazione ma Roma gli tirò un mappino e un cazzotto tanto che a quello spruzzò sangue dalla bocca. Poi Roma lo prese per le scapole e lo trascinò dietro i lavabi e lo gettò per terra.»[92].
Vito Maurogiovanni: «Adesso io piano piano ngi do uno schiaffo, uno schiaffo? uno schiaffettino... Dolge, dolge, piano pianissimo mai forto... Allora egli, una volta avuto il... mappino - il mappino? uno schiaffettino piccolo piccolo piccolo - si volda e devo ndovinare chi nge lo ha schiaffato. Capito, camerato?»[93].
12. Mappina topografica.
“Nuovo giornale dei letterati”: «Interessante poi per notizie istoriche e topografiche viene l’articolo della città, della comunità, e del principato di Carrara, che merita d’essere letto per intero nell’opera che andiamo notomizzando, e dove gli va unita un' assai nitida, e bene intesa mappina orittognostica, e geologica del territorio carrarese, dal monte Forca e dal confine ligure, fino al monte della Brugiana…»[94].
Giovanni Francesco Pico della Mirandola: «Borgominiero […] e la sua mappina topografica si trova pure in un codice della Magliabecchiana di Firenze.»[95].
Da mappa a ‘mappata’ e ‘mappatella’
Fin qui abbiamo seguito il percorso dal latino mappa al dialettale – ovvero italiano regionale – ‘mappina’. Seguiamo adesso il percorso che, partendo da un uso particolare della mappa presso i Romani – quello di avvolgervi cibarie da portarsi a casa da un banchetto (a Napoli si dice: “farsi la mappatella”) – conduce, appunto, al termine regionale ‘mappata’ e al suo diminutivo – molto più usato – ‘mappatella’. Prenderemo le mosse da due autori latini, Petronio e Marziale, dei quali proponiamo alcuni passi, con le traduzioni ottocentesche di Gianbattista Gely Coljanni[96], per il primo, e del cav. Magenta[97] - in versi - per il secondo.
1. Petronio
1a - Mappa implevimus: “empimmo le tovagliuole”. «… consurreximus altius, et Augusto Patriae Feliciter diximus: quibusdam tamen, etiam post hanc venerationem, poma rapietibus, er ipsi mappas implevimus; ego praecipue, qui nullo satis amplo munere putabam me onerare Gitonis sinum». (Petronius, Satyrica, 60) «… sorgemmo in tutta la persona, ed augurammo felicità ad Augusto, Padre della Patria: pur tuttavia siccome taluni anche appresso questo atto di venerazione rapivano i pomi, così noi stessi ce n’empiemmo le tovagliuole; segnatamente io, cui non pareva mai con abbastanza largo dono averne colmo il grembo di Gitone»[98].
1b - In mappa adligata: “due pomi, avvoltolati in un tovagliolo”. «Circa cicer et lupinum, calvae arbitratu, et mala singula: ego tamen duo sustuli, et ecce in mappa aldigata habeo: nam si aliquid muneris meo vernulae non tulero, habebo convicium». (Petronius, Satyrica, 66) «Intorno vi erano ceci e lupini, e noci sgusciate da prenderne ad libito, ma di pomi uno per ciascuno di noi: pure io per mia porzione ne tolsi due, e velli qui avvoltolati in questo tovagliolo: avvegna che se non porto qualche regaluccio al mio schiavetto, mi tocca sentirlo a taroccare»[99].
2. Marziale
2a - Condită madente mappā, “(cibarie) avvolte nel bagnato tovagliolino”.
2,37. IN CAECILIANUM - Quidquid ponitur hinc et inde, verris: / Mammas suminis, imbricemque porci, / Communemque duobus attagenam, / Mullum dimidium, lupumque totum, / Murenaeque latus, femurque pulli, / Stillantemque alica sua palumbum. / Haec cum condita sunt madente mappa, / Traduntur puero domum ferenda: / Nos accumbimus otiosa turba. / Ullus si pudor est, repone coenam; / Cras te, Caeciliane, non vocavi. (M.V. Martialis, Epigrammata, 2,37)
2,37. Contro Ceciliano. Tu spazzi tutto quel che s’apparecchia: / Poppa di scrofa, orecchia / Di porco, francolin per due bastante, / Colombo, sua pingue alica stillante, / Coscia di pollo, schiena / Di triglia, un luccio inter, mezza murena. / Ciò posto nel bagnato / Tovagliolino, al putto / Dai, perché siati alla magion recato, / E noi restiam frattanto a dente asciutto. / Rendi, Cecilian, se pudor hai, / La cena: io per doman non t’invitai.[100]
2b. Mappa mille rumpitur furtis: “pei gran furti il lino scoppia”.
7,20. IN SANCRATAM - Nihil est miserius, nec gulosius Sanctra, / Rectam vocatus cum cucurrit ad coenam / Quam tot diebus noctibusque captavit. / Ter poscit apri glandulas, quarter lumbum, / Et utramque coxam leporis, et duos armos: / Nec erubescit pejerare de turdo, / Et ostreorum rapere lividos cirros. / Buccis placentae sordidam linit mappam; / Illic et uvae conlocantur ollares / Et Punicorum pauca grana malorum / Et excavatae pellis indecens volvae / Et lippa ficus debilisque boletus. / Sed mappa cum jam mille rumpitur furtis, / Rosos tepenti spondylos sinu condit, / Et devorato capite turturem truncum, / Colligere longa turpe nec putat dextra / Analecta, quidquid et canes reliquerunt. / Nec esculenta sufficit gulae praeda: / Misto lagenam replet ad pedes vino. / Haec per ducentas cum domum tulit scalas, / Seque obserata clusit anxius cella, / Gulosus ille postero die vendit. (M.V. Martialis, Epigrammata, 7,20)
7,20. Contro Santra. Più miser non si può ghiotton vedere / Di Santra, se invitato a un pranzo ei recasi, / Cui diè la caccia i dì e le notti intere. / Ghiandole e lombo di majal fa darsi / Tre o quattro volte, due cosce, ed un omero / Di lepre, né gli cal spergiuro farsi / Per un sol tordo: l’atre fimbrie invola / Dell’ostriche, e coi tozzi di focaccia / Imbratta la fecciosa tovagliola; / Ove la già in barili uva riposta / Mette, qualche granel di mela punica, / Di vacua vulva l’indecente crosta, / Frali boleti, e sin fichi cisposi. / Ma quando pei gran furti il lino scoppia, / Entro il tiepido sen gli ossi corrosi / Cela, e un tortore a cui mangiò la testa, / Né colla lunga man sdegna le briciole / Raccorre, e tutto ciò che ai cani resta. / Né la colta dei cibi al suo palato / Basta: ché di vin misto egli empie un’anfora / Posta fra’ piedi; e allor che ciò ha recato / Su dugento scalini al proprio ostello, / Colla chiave si chiude ansante in camera, / E il ghiotton tutto vende al dì novello.[101]
3. La mappatella presso i Romani.
Amedeo Maiuri: «Il tovagliolo (la mappa) faceva naturalmente parte del servizio di mensa del padrone di casa: e, forse, solo quando si adottò l' uso di portar via gli apophoreta, i doni conviviali, si dovè tollerare che i convitati portassero con sè la mappa con cui fare il fagottello delle leccornie […] mappatella … il fagottello di cibarie… »[102].
Vincenzo Ussani, Francesco Arnaldi: «Il tovagliolo (mappa) era già in uso al tempo di Orazio e già allora e anche dopo non parve cosa disdicevole che il convitato lo usasse anche per portarsi a casa, a banchetto finito, una parte dei cibi e dei doni (apophoreta) che l'anfitrione aveva offerto ai convitati» [103].
Pietro Gerbore, Piero Buscaroli: «Nei banchetti il padrone di casa provvedeva il panno, ma gli ospiti presero l' abitudine di portarne uno per raccogliere gli apophoreta cioè i piccoli doni ricevuti»[104].
4. Mappata in napoletano.
Pietro Paolo Volpe: «Mappata – Fagotto – Fardello – Fardelletto – Fagottino = Songo nna mappata de stracciune e de mariuncielle, Sono un branco di straccioni e di ladri»[105].
Ippolito Cavalcanti, «Ordura di mappatine farsite. Farai la pasta come per li panzerotti, […] distenderai la tela della pasta spessa mezzo scudo, la dividerai, e suddividerai in tanti quadrelli, in mezzo de’ quali ci porrai un raguncino espressamente fatto con polpettine, fegatini di pollo, ovi non nati, piselli, funghi, e filetti di tartufo: dipoi unirai tutti li quattro tagli del quadrello, e li attaccherai fra loro benissimo, come se fosse quella che dicesi la MAPPATA del bucato; friggerai queste mappatine con strutto, e le servirai»[106].
5. Mappatella in napoletano.
5a. Mappatella di cibarie.
Colette Rodin: «…ma solo gli uomini mangiavano, passandosi di mano in mano il fiasco di vino, le donne invece a bocca asciutta riempivano di quel ben di dio i larghi fazzoletti da sudore stesi sul grembo per la mappatella da portare a casa, che così si usava. Al momento del ballo degli sposi si accalcarono tutti sulla porta del salone»[107].
“L’Espresso”: «Elogiare un buon pranzo è doveroso, uscire dal locale con quella che a Napoli chiamano “mappatella" non è elegante: nel nostro caso, una vaschetta con ragù di manzo e i suoi involtini, e un'altra con soffritto»[108].
Eduardo De Filippo: «In attesa del «miracolo», la povera Teresa, per non lasciar digiuno il fratello, racimolava i residui in cucina, realizzando con essi una dignitosa «mappatella», se la stringeva sottobraccio ed avviava il suo essiccato fisico alla pietosa maratona...»[109]
Giuseppe Porcaro: «... dialetto napoletano, nel quale mappata, mappatella indicano il fagottello di cibarie che si porta con sé fuori di casa: e di solito la mappatella, il fagottello, è l'involto formato da un fazzoletto o da un tovagliolo annodato»[110].
“Vita abruzzese”: «Nei nostri paesi, il lunedì di Pasqua e la domenica in Albis si usava fare, molti anni fa, delle belle scampagnate, non come oggi con “la mappatella” di panini imbottiti con 4-5 veline di galantina di maiale (mortadella), ma con grossi canestri pieni di ogni ben di Dio…»[111].
Giovanni Cirillo: «Con i rispettivi consorti si davano appuntamento attorno alle undici per consumare insieme la "mappatella" portata da casa, seduti intorno ad un tavolino delle numerose bettole improvvisate»[112].
Massimo Siviero: «Chi portava e chi no la mappatella con il pranzo. Poteva essere un campione sociale, il campione degli sfigati. Anche gli sfigati divisi in due categorie»[113].
Alessandro Petruccelli: «Ha già tutto pronto per andare a mietere lo strame: la mappatella con pane e cipolla, una bottiglia d'acqua, la falce e la lanterna per farsi luce». (Alessandro Petruccelli)[114].
Eduardo Scarpetta: «E spesso, dopo la prova, se ne tornava a casa con qualche involtino e qualche mappatella […] E quell'involtino e quella mappatella contenevano delle frutta scelte, un po' di salame o di mozzarella, qualche scampulillo 'e pesce vivo comperato via facendo»[115].
Prospettive meridionali: «Vecchio, curvo, facendosi aiutare da un bastone contadino, fino a tarda età rincasava con una «mappatella» in mano. ... Ma sono molti i vecchi, signori e popolani, che in questa regione di sera rincasano con una mappatella di pomidorini sodi ...»[116].
Mariano Paolozzi: «Riannodai il tovagliolo, uscii fuori la baracca e deposi sul marciapiede, quasi carezzandola, l'ormai inutile mappatella. Pensai a mia madre, e a quello che le dovette costare quel pezzo di pane. Pensai al suo slancio d’amore, ai suoi tristi presagi per quel figlio al quale volle dare il viatico per il viaggio verso l’ignoto l’ultimo suo sostegno, l’ultimo pezzo di pane della sua terra… e piansi»[117].
Salvatore Milano: «Pranzammo insieme attingendo da una mappatella, fagotto avvolto in una tovaglia legata agli angoli. Conteneva una grande zuppiera con insalata, patate lesse e cipolle. Per una volta non era un problema di quantità, ma quelle patate che avevano visto poco olio o lo avevano assorbito, non andavano giù, nonostante la fame proverbiale che mi accompagnava come sempre»[118].
Patrizia Bologna: «"No, al tempo", disse Mariona, e dal petto tirò fuori una mappatella di pepe, che non fece a tempo ad aprire sta mappatella che venne fuori un profumo di pepe che Mariona le venne da fare uno starnuto e tutti i morti si girarono, e mò, adesso, …»[119].
Maria Orsini Natale: «Ma il mare aveva calma piatta, il cielo che perdeva stelle brillava fiorito come un prato, le mappatelle profumavano di vita, al ritmo delle vogate ballava allegro il vino nei fiaschi di paglia e vivaci rotolavano i meloni»[120].
Paolo Teobaldi: «…nonostante la protezione del fazzoletto di cotone, un avanzo del servizio militare che gli aveva fatto comodo per anni, anche se mai come quello del nonno Rico che nei suoi racconti era servito da fazzoletto, benda e tampone per le ferite, asciugamano per la faccia e per il culo, federa per il cuscino, fagotto o gluppa o mappatella per il da mangiare»[121].
“Epoca”: «Ciro sorride con tutti i denti, le sorelle dai nomi carichi di mestizia un po' meno. Portano le «mappatelle»: grossi filoni di pane farciti di frittate, pomodori, cicoria; come frutta, fichi; per loro, acqua di Telese. «Io Capri la conosco», ammicca Ciro, «acca’ nu limone costa mille lire dall'acquaiuolo e se ti siedi a qualunque ristorante sono minimo trentamila che partono; moltiplicato sei fa cìentottanta. 'Cca' nisciuno è fesso, i vache con tutt'a famiglia…»[122].
5b. Farsi la mappatella (andar via).
Gianvito Resta: «si vuie avisseve parlato seriamente cu mme, io me ne sarria turnato a casa, e avarria ditto a muglierema: - Guè, facimmoce 'a mappatella, e jammuncenne!»[123].
Eduardo Scarpetta, Eduardo De Filippo: «Andate in camera vostra. fatevi la mappatella di quei quattro stracci che avete e ghiatevenne. turillo Addò? felice Dove volete voi, io vi licenzio»[124].
M. Santanelli, A. Ruccello, E. Moscato, L. Libero: «LA SIGNORA (gelida) – Tu sei licenziata. Da questo momento. Puoi farti la mappatella e andare a seminare i tuoi nettici altrove. SISINA (vivacemente) – Signò, io nun saccio proprio niente! LA SIGNORA – Basta, Neppure una parola! Ne hai già sprecate troppe per infamare questa casa»[125].
Ferdinando Russo: «E perciò... m'avite 'a scusa !.. Anze... siccome v'aggio mancato 'e rispetto... Ccà nun Ce Sto CchiÙ bona... (fa per andare verso la scala)... e me vaco a fa 'a mappatella... Accussì me ve levo 'a nanz'all'uocchie, una vota pe sempe !...»
Alfonso Gatto: «“Siete libero, fate la mappatella," mi risposero. A mezzanotte e mezzo si chiuse l' ultimo cancello alle mie spalle. Ero sulla via Filangieri, nello storico nebbione del Natale 1936, senza cappotto, con una giacca logora di cammello addosso»[127].
Antonino Arconte: «E' così Tano, vivo con la "mappatella" a tracolla ...sempre pronto a saltare il fosso" - conclusi quella spiegazione in maniera scherzosa, ma Tano, invece, era serio. "Madonna! Ma come puoi vivere così? È allucinante!”»[128].
Roberto Alajmo, Goffredo Fofi: «Insieme corsero sul posto, portandosi tutte le "mappatelle" (le proprie cose). Bevvero sorsate fresche di birra e si versarono le bibite sul capo per svegliarsi da quell'eventuale sogno. Ma... era tutto vero. Non dormivano»[129].
Antonio Margariti: «Nei paesi del Cilento si celebrava l'America e la mappatella nei canti popolari. Particolarmente significativo il seguente: «O che preiezza ca nc'è a sto paese mo ca l'America tutti pono ire ca li 'mbarchi so' ppe poco spese, finita è la miseria e lo soffrire. Tutti preparatevi lo bauglio la mappatella co' lo 'ncaravuoglio. Partimo tutti quanti in compagnia la barca s'addirizza pe' la via»[130].
Antonio Margariti: «Negli anni tra il 1900 e il 1910, quando la crisi si abbatte sulle campagne meridionali, l'emigrazione toccò punte paurose ei contadini abbandonarono le terre e con la «mappatella» sulle spalle (il sacchetto con i pochi stracci) corsero a Napoli per imbarcarsi per le due Americhe alla ricerca di un tozzo di pane meno stentato»[131].
“La Barrozza”: «Si verificò così un esodo di massa verso il nuovo mondo. I contadini abbandonarono le terre, e con le loro "mappatelle" sulle spalle corsero a Napoli per imbarcarsi verso lo sconosciuto continente. L’America assunse un significato particolare, più che un luogo geografico rappresentava un sogno e moltissimi abitanti del piccolo borgo inseguirono questo sogno, convinti che sarebbe stato molto facile realizzarlo»[132].
Franca Romano: «La matrigna, che è cattiva con me, ha detto che per Pasqua bisognava ammazzarlo. Io che ho fatto, come ho sentito che l'ammazzavano me so' fatta la mappatella, il pacchettino delle provviste della roba, m'aggio pigliato l'agnello e siamo scappati»[133].
Maria Orsini Natale: «Faticavano a cottimo, e dalle dodici ore di lavoro, dovevano con il correre delle dita estrarre la "campata". Però qualcuna di esse che già conosceva quell'ingegno lanciava alle compagne, ripetendola a lunghi intervalli, una sollecitazione scherzosa e amara: "Figliulé, figliulé... Preparateve 'a mappatella, preparateve 'a mappatella!". L'invito era di tenersi pronte a far fagotto: era arrivata la macchina che, nemica, le sostituiva»[134].
5c. Mappatelle varie.
“Lo lampo”: «… uscì avvolto nel suo pastrano recando seco il bambino, il quale fu consegnato ad un mendicante, con una borsa ben colma di danaro, e con queste precise parole : «Fanne quell'uso che credi…» - Comme fosse stato na mappatella de panne lurde!-»[135].
Francesco Protonotari: «Le strade di Capua, dalla stazione alla piazza, erano gremite di richiamati in borghese, colle loro mappatelle di biancheria. Le trattorie rigurgitanti di soldati già vestiti, di condizioni civili, ed abituati a vitto più scelto, che spendevano per rifocillarsi»[136].
Guglielmo Zucconi: «Se, non dovendo uscire, decideva di rimettersi la tenuta da casa - pantaloni di velluto, maglione giro collo o cardigan nero - percorreva il corridoio con la mappatella dei panni sottobraccio, sperando di non incontrare la Venusta»[137].
“Ricerche sul ‘600 napoletano”: «... velluto verde Catanzaro no finito. — Una tovaglia di carmosino co arg. alli capi. — Una tovaglia di toffetta verde vecchia. — Sette pelzotti di toffetta verde negri. — Una mappatella di vari pelzi di toffetta verde vecchi»[138].
Raffaele Capozzoli: «Ca, chiù a Lucinna soja non penzanno, / S'avria pigliato a essa pe mogliera. / La bella acconnescenne; e, scravoglianno / La mappatella che portata s'era, / Dereto a na gran màcchia de jeneste / Tanno tanno da fémmena se veste. // Vedenno na signora, comm’ a gallo / Se mette mpeperichicchio lla pe lla;»[139].
Carlo Alianello: «Come no? Quello, il Giolitti, mentre io mi sfogavo a parlare, già teneva sotto il banco la mappatella delle denunzie e di tutto quello che fino adesso ci ha cacciato fuori la Pubblica Sicurezza»[140].
Giuseppe Antonelli: «17-28) si sente in dovere di glossare tutte le poche espressioni dialettali che, superando i confini del discorso diretto, fanno capolino nella diegesi: «Insieme corsero sul posto, portandosi tutte le "mappatelle" (le proprie cose)», p. 23. Il caso ...»[141]
Abele De Blasio: «Gli amici e i conoscenti, senza farsi pregare, fanno cadere nella mappatella un soldo. L'obolo della messa pezzentella o pezzuta, come suol dirsi, non viene mai negato dai componenti la Società dell’Omertà, essendo convinti che un giorno o un altro le loro mogli saranno, per essi, costrette a far lo stesso»[142].
Franco Contorbia: «… pensavo al disoccupato per vocazione o per forza, che continua a mettere il disco Mappatella, lassù al terzo piano, e aggiunge un'altra voce alla enorme confusione della città»[143].
Gino & Michele: «E chi mi ha mai nominato capo… Io a 'sta mappatella sulle spalle non ci tengo. Il capo a ben vedere è Brusa. È lui che ha scoperto lo scaravattolo. Già ma che capo è. Lui è uno che se ne fotte. Magari adesso… Anzi di sicuro adesso sta dormendo della quarta. Qui siamo al punto che i milanesi dormono e i napoletani vegliano…»[144].
Roberto De Simone: «Essa rice: - Dìmme tutto chello ch’aggi’’a fa’, ca io ‘o ffaccio! E isso le pròie na mappatella e fa: - Chesta è na sacchettella ‘e mulliche ‘e pane. Quanno vaie cchiù ‘nnanze, ce stanno tanti ffurmicule ca te vonno da’ ‘ncuollo, pecché se moreno ‘e famma. Tu dice: “Povere ffurmicule ca se moreno ‘e famma! Tenite! Scialate!”. E allora chelle nun te fanno niente»[145].
Roberto De Simone: «Po', vedenno che 'a vecchia cu 'a capa le faceva segno 'e sì, acalaie na fune abbascio, e vicino ce attaccaie na mappatella 'e denare. Cu 'e braccia aizate, 'a vecchia sciugliette 'a mappatella 'a vicino 'a fune, ce attaccaie 'o fuso, salutaie cu 'a ...»[146].
Francesco D'Antuono, Giovanni Piazza: «A proposito, scusami, caro fruttarolo, potresti prendere tu tre euro e quarantacinque da questa mano? Ci ho messo su una mappatella di monete, ma non posso dartele una a una. Sai, col Parkinson mi risulta difficile lavorare di precisione»[147].
Carlo Montella: «Un giorno l'ingegner Emme tornò da una delle sue missioni accompagnato da un contadino ancora abbastanza giovane, dall'aspetto bonario, e da una ragazzetta con una mappatella appesa al braccio. Il contadino fu trattenuto da mia madre…»[148].
Ascanio Celestini: «Più che un morto pareva un intestino, 'na pajata che è una mappatella di ciccia quando sta dentro a una panza. Un budello che incominci a srotolarlo e diventa ' na cosa lunga una quaresima. Nicola si guardava quel morto tanto importante e pensava «com'è possibile che 'sto manicomio è campato tutti 'sti secoli da crescere cosi tanto?»[149].
Jean-Charles Vegliante: «Dans des domaines révélateurs d'un mode de vie ou d'une attitude (aptitude ?) culturelle, mettons pour le monde de l'émigration mappatella (méridion. pour fagotto enveloppé d'un torchon) ou giumella (le deux mains jointes puor prendre de l’eau» Jean-Charles Vegliante, “Gli italiani all’estero”[150].
Achille Serrao, Luigi Bonaffini: «‘A rota ‘Annunziata’. Ccchiù spissu era na mamma ca purtava, / dint’’o sciallo, quaccosa arravogliata: / na criatura. E, doppo na guardata / sott’uocchio, dint’’a rota la pusava. // Zitto zitto sta rota s'avutava, / e chella mappatella era squagliata: / e chella mamma, povera scasata, / c' 'a capa sotto po' se ne turnava. // Doppo nu poco ca se n 'era juta, / doppo nu poco, nne spuntava n'ata, / comm' 'a primma, int' 'o sciallo / annascunnuta ... (La “ruota” della Santa Casa dell’Annunziata, ospizio dei trovatelli. Attraverso un foro praticato nel muro, venivano deposti in essa i figli nati dalla colpa e dalla miseria)»[151].
5d. Il Lido Mappatelle, ovvero Mappatelle Beach a Napoli.
Marcello D'Orta, Don Luigi Merola: «Nel quartier dove abito, per colpa della munnezza, c’è penuria d’aria. Il lido Mappatelle(93) è sempre stato pieno di munnezza gallegiante. [Note] (93) Il cosiddetto “Lido Mappatelle” o “Mappatelle Beach” è una striscia di spiaggia sul lungomare di Napoli. La “mappata” è l’involto di stracci»[152].
Mariano D’Antonio: «Per il sole e i bagni che si godono così, gratuitamente, i napoletani hanno coniato l'espressione "lido mappatella": chi arriva e conquista un posto sugli scogli, infatti, si spoglia, avvolge un asciugamano attorno ai fianchi per indossare il costume da bagno e arrotola gli indumenti facendone un mucchio, appunto una piccola “mappata”»[153].
Antonio Buonomo: «Le uniche evasioni che mi permettevo erano le gite in barca con gli amici e qualche bagno al “lido mappatella”. Era chiamato così umoristicamente il lungomare di Napoli perché per fare il bagno si lasciavano i vestiti ammassati a guisa di pacco. “Mappatella” in origine indicava lo straccio o tovagliolo (detto “mappina”) usato dai contadini per metterci dentro il pranzo, che sospendevano a un bastone e portavano a spalla. In seguito “mappatella” ha preso il significato di fagottino o piccolo pacco»[154].
Renato De Fusco: «Ma evidentemente l’«ideologia» della pedonalizzazione generalizzata è talmente deviante da indurre al proposito di manomettere via Caracciolo. E passi pure la pedonalizzazione […] ma perché distruggerla? Quale vantaggio avrebbero i pedoni della villa a toccare coi piedi la battigia? Non è sufficiente il “lido mappatella” che con grande vergogna cittadina non riusciamo ad eliminare offrendo ai meno abbienti una balneazione più degna?»[155].
Mimmo Piscopo: «Inutile pensare alle spiagge della costa vesuviana o sorrentina perché affollatissime e distanti. Quindi un trasferimento oneroso, non per le nostre tasche. Volendo scartare il "lido mappatella" cittadino, non ci restava altra alternativa che imbarcarci su un affollatissimo pullman "turistico" che da Piazza Medaglie d'Oro, proseguendo per la Domiziana, Arco Felice, e costeggiando il Lago Fusaro, ci conduceva a Torregaveta»[156].
Mariarosaria Alfuso: «“E come fai a riempire il cestino di uova? Io una gallina tengo! Una sola”. “Mammà, ci ho già pensato. Sono andato a Mergellina, al lido Mappatella. E ho camminato, camminato. Fino a quando non le ho trovate, le pietre. Ovali, proprio come le uova. A riva e pure a mare”.»[157].
“Napoli e il golfo”: «Dal 2002 è ritornato a essere ufficialmente balneabile anche il lungomare tra Santa Lucia e Mergellina, ironicamente noto ai napoletani come lido mappatella dall'antica abitudine delle famiglie del popolo di improvvisare banchetti e pic nic sulla spiaggia»[158].
Salvatore Sansone: «Apicella scriveva canzoni per il nord impoverendo così l’economia del sud e rafforzando sempre più l’economia del nord. […] Apicella che era di origini napoletane, dovette tornare dai suoi parenti ma purtroppo i servizi segreti lo rapirono mentre cantava al lido Mappatella e lo riportarono al nord»[159].
Franco Strazzullo: «È stato sempre suggestivo bagnarsi in quello specchio d'acque in cui si riflette l'ombra gigantesca di Castel dell'Ovo, nel magnifico scenario tra Mergellina e via Partenope. […] Ancora oggi nelle acque del Chiatamone si tuffano i napoletani: sono i ragazzi del borgo marinaro di S. Lucia, di Pizzofalcone, le carovane che scendono dai "quartieri" e si annidano sul sedicente arenile di Castel dell'Ovo, che meglio si direbbe in gergo nostrano "lido mappatella". Qui fanno i bagni i figli del popolo, ma come è cambiata la cornice!»[160].
Enzo Siciliano: «Napoli, per me napoletano piccolo borghese, era un pianeta sconosciuto. […]. Andavamo d'estate al Lido Mappatella, un bagno di poveracci: ci mescolavamo a quella gente»[161].
Yvonne Carbonaro, Luigi Cosenza: «Al presente a noi risulta essere ancora in totale stato di abbandono, "lido mappatella" alla mercé di bagnanti e sede di improvvisati festini»[162].
“Orientamenti”: «Sono passati altri cinque giorni ed il "lido mappatella" è sul punto di esporre il "tutto esaurito". Dal posto di polizia non proviene alcun cenno di vita…»[163].
Francesco Durante: «È d'estate che sul litorale di via Caracciolo tornano a farsi vedere i lazzari: praticamente nudi, buttati sulla rena scura di Mappatella Beach, e nudi e cotti dal sole a sera, quando riprendono la via di casa»[164].
Vittorio De Sica: «... si trasforma in bagno pubblico per ragazzi. “Il lido mappatelle" […] Ci andiamo in gruppi o perlomeno in due, in maniera che uno si fa il bagno e l'altro fa la guardia ai vestiti»[165].
5e. Mappatelle a teatro.
Carlo Filosa. “Anch'io ero nato per l'arte, e adesso la litteratura surveglia il mio angelico sonno. Io putrebbe prisintarmi in triato e farebba una mappatella di tutti i grandi attori. E putrebbo ricitare Aristodemo... (Declama)»[166].
Paola Quarenghi: «Tu adesso ti prepari la tua “mappatella” - sai, quando nel terzo atto la cameriera vuole andare via, e si fa il suo fagottino?»[167].
Totò, Costanzo Ioni, Ruggero Guarini: «Fuie cumm'a nu signale 'e na battaglia, mancava poco e nce scappava 'o muorto: 'e sische mme parevano mitraglia. Santoro nun putette continua. “L'lartista" se facette 'a mappatella: / 'o frack, 'o tubbo, 'o fazzuletto bianco, / s'annascunnette pure 'a caramella. / Dicette: «Aggio sbagliato... Ch'aggia fa?»[168].
Vanda Monaco: «Ciascun componente del corteo, porta sulle spalle un piccolo fagotto, avvolto in salviette multicolori. Il pubblico si deve chiedere cosa contengano queste “mappatelle”. Si distacca dal gruppo, precedendolo, un Pulcinella povero e dimesso, probabilmente anch'egli è cieco, ma l'audacia, l'estemporneità che costituiscono il suo antico retaggio, lo rendono protagonista di gesti frenetici: lazzi ...» (Vanda Monaco)[169].
Francesco Flora, Salvatore Di Giacomo, Mario Vinciguerra: «Aggio lassato 'a mappatella abbascio, ncopp' a nu scanno... Al suono della sua voce Peppe Pazzia si volta, sorpreso : don Giovanni gli volge le spalle. DON PEPPE Bravu! Bonu cuminciamo! DON GIOVANNI Ve cerco scusa...»[170].
Eduardo De Filippo: «... tre bambini riparati sotto allo stesso ombrello: TRE PPICCERILLE Tre ppiccerille, sott' 'a nu mbrello: duje bruttulille, n'ato cchiù bello. Chillu cchiù bello, cchiù strappatiello, purtav' 'o mbrello a rras' 'e cappiello. Tre suricille, tre mappatelle, tre ricciulille: sei scarpetelle»[171].
Patricia Bianchi, Nicola De Blasi: «Santoro 'ncacagliava, faceva smorfie, zumpe e niente cchiù, si porterà dietro la sua mappatella con gli arnesi del mestiere ('o frack, 'o tubo, 'o fazzoletto bianco...»[172].
Eduardo De Filippo, Anna Barsotti: «…Ah, quanto mi dispiace! Non voglio farti avere la vergogna di attraversare il vicolo in mezzo alle guardie ammanettato. In Nome della Legge ti dichiaro in arresto. Vienetenne”. Io mi piglio 'a mappatella e me ne vaco»[173].
Franco Carmelo Greco: “All'inizio dello spettacolo una serie di personaggi arriva con la sua “mappatella” sotto il braccio che nasconde poveri improvvisati costumi, o una maschera;»[174].
Raffaele Viviani: «CACACE – No. Hê visto 'a mappatella? VICIENZO (affermando) - Eh. CACACE (sconsolato) - Chi vuoi che mi chiami più? (Alludendo all'involto) È appunto 'o vestito mio 'e Pulicinella nuovo, messo poche volte, ricco. (Allude al camice) ‘O coppolone, nu bellu feltre, ‘a rezzola (indica la testa), ‘a maschera, nu cavo ‘e Mancinelli, e manizze russe, completo… ca mancano sulo ‘e scarpe (mostrando) pecché ‘e tengo ‘o pede!»[175].
«Salvatore Di Giacomo: «SCENA ULTIMA Don Giovanni apre la “mappatella” e ne cava un fazzoletto, qualche sigaro, un paio di ciabatte che mette a terra sotto un letto. I carcerati cominciano a buttarsi sui letti. Peppe rifà il suo. Luigiello (canta, lamentoso)) Aggio fatto n’ato penziero: arrubbanno nun voglio i cchiù! / Vaco sempe carcerato, / e ‘a casa ‘e mamma nn’ ‘a veco cchiù”…»[176].
Eduardo Scarpetta, «Don Save', scusate che v' addimmanno na cosa. Chedè sta mappatella che tenite sotto? Saverio E comme, non l'hai vista mo che so' venuto? ceccia No, no nce aggio fatto riflessione»[177].
F. Flora, S. Di Giacomo, M. Vinciguerra: «DON GIOVANNI 'o carceriere? PEPPE È amico. Strizzando l'occhio. Mo che bène a purtà 'a mappatella lle mmuccammo quaccosa 'e renare e stammo cchiù sicure»[178].
Eduardo De Filippo, Isabella De Filippo. «E tu? Immacolatella (calma, sorridente) No, Rafè: questa mappatella sotto e la scatola del panettone di Milano sopra. Rafele (ha in mano la scatola del panettone) Ma che ci sta qua dentro?»[179].
Libero Bigiaretti: «Eccolo, vien avanti, morbidamente, con le sue scarpe di tela bianca ... i suoi pantaloni troppo stretti o troppo larghi, secondo la taglia del donatore, la sua camiciola scolorita; in mano tiene 'na mappatella, un fagottino o un sacchetto con dentro pochi indumenti di ricambio: tutto ciò di cui ha bisogno»[180].
Eduardo De Filippo: «Fetentune... schifusune... mappenune... curnutune... Teneno 'e corna e curnicelle... a mappate e a mappatelle... a muntune e a muntagnelle... te'.. . te'... guè... guè... (E improvvisano un travolgente balletto...)»[181].
5f. Mappatedda e mappadeddi.
S. Di Giacomo, F. Flora, M. Vinciguerra: «Favuriti... chista è 'a mappatedda. Glie la getta sul letto. PEPPE Don Pe', na parola. Lo trae da parte: i carcerati si fanno in fondo alla scena. Ce sta st’amico mio... Indica con l'occhio don Giovanni. DON PEPPE grave Bè. PEPPE Mo è trasuto»[182].
Settimio Mazzarone (P. Sema): 'Ncapu a ra scala s'èranu assittati / dua bbelli vecchiareddi, / e ssi janu cuntannu li passati / filannu 'mparu 'mparu 'i vammaceddi; // e jjanchi janchi avìanu ppi ccapiddi / dua mappateddi 'i linu: / jucàvanu dda ssutta 'i picciriddi: / filavanu li fusi finu finu. // E ogni ttantu ‘na manu s’abbintava, / d’una di li cummari, / e ddi sott’uocchi, l’àvutra guardava…/ Guardàvadi, e… ‘ncignava a ss’abbintari…»[183].
6. Marziale. Mappe in dono e furti di mappe.
Ritorniamo ancora all’antica Roma riportando – per non annoiare – solo pochi altri versi, tratti tutti dagli epigrammi di Marziale, in cui ricorre il termine mappa. Si tratta di quadretti gustosi, in cui il poeta latino, fra i regali che venivano scambiati in particolari occasioni, cita tovaglie e tovagliole, le quali erano anche ambite dai ladruncoli che, durante i banchetti a cui erano stati invitati, si appropriavano non solo di cibarie ma anche di suppellettili e capi di vestiario.
6a. In cambio del mio dono … la tovaglia che inviotti quel cliente tuo.
4,88. In Dissimulatorem. Nulla remisisti parvo pro munere dona, / Et jam Saturni quinque fuere dies. / Ergo nec argenti sex scriptula Septitiani, / Missa nec a querulo mappa cliente fuit? […]
4.88. Contro un Infingitore. Dei Saturnali i cinque dì già sono / Trascorsi, e nulla in cambio / M’hai trasmesso del mio piccolo dono? / Nemmen d’argento settiziano un sesto / D’oncia né la tovaglia / Che inviotti quel cliente tuo molesto?[184]
6b. Nel mese di dicembre quando vanno intorno girando tovaglie.
5.18. Ad Qunctianum. Quod tibi Decembri mense, quo volant mappae / Gracilesque ligulae cereique chartaeque / Et acuta senibus testa cum Damascenis, / Praeter libellos vernulas nihil misi, […].
5.18. A Quinziano. Perché nel mese di dicembre, quando / Vanno intorno girando / Rapidamente gracili zagaglie, / Carte, cerei, tovaglie, / E prugne secche e ben calcate in fiasco / Acuto di Damasco; / Ho a te null’altro, / Quinzian, mandato / Che un libro in casa nato[185]
6c. Tavolette, stuzzicadenti, una coltrina… doni a me portati
7.53. In Umbrum. Omnia misisti mihi Saturnalibus, Umber, / Munera, contulerant quae tibi quinque dies, / Bis senos triplices et dentiscalpia septem: / His comes accessit spongia, mappa, calix, / Semodiusque fabae cum vimine Picenarum, / Et Laletanae nigra lagena sapae: […]
7.53. Contro Ombro. Tutti mi trasmettesti, Ombro, i regali / Ch’hai presi in cinque dì pei Saturnali; / Di triple tavolette una dozzina, / Sette stuzzicadenti, una coltrina, / Una spugna un bicchier, d’ulive un cesto, / Mezzo moggio di fave, un negro testo / D’ispana sapa, […][186]
6d. Tovaglia o quel che più desideri.
7,72. Ad Paulum. Gratus sic tibi, Paule, sit December; / Nec vani triplices brevesque mappae, / Nec turis veniant leves selibrae; / Sed lances ferat aut scyphos avorum / Aut grandis reus, aut potens amicus: / Seu quod te potius iuvat capitque; […]
7.72. A Paolo. Paolo, il dicembre ti sia propenso, / Né a te sol frutti taccuin triplice./ Breve tovaglia, né poco incenso; / Ma piatti e calici col gusto antico, / O quel ti mandi che più desideri / Ricco clientulo, potente amico.[…][187]
6e. E in sen nasconde tovaglioli assai.
8,59. In Furem luscum. […] Tunc furit atque oculo luscus utroque videt: / Pocula solliciti perdunt ligulasque ministri / Et latet in tepido plurima mappa sinu; / Lapsa nec a cubito subducere pallia nescit / Et tectus laenis saepe duabus abit; […]
8.59. Contro un Ladro guercio. […] Il guercio vede allor con ambo gli occhi, / Bicchieri ai servi mancano e cucchiai, / E in sen nasconde tovaglioli assai./ Nel raccor vesti al suol cadute è esperto: / Talor sen va di due manti coperto. […][188]
6f. Lungi le tovagliuole.
10,87. De natali Restituti. Octobres, age, sentiat Kalendas / Facundi pia Roma Restituti. / Linguis, omnibus et favete votis; / Natalem colimus; tacete lites. / Absit cereus aridi clientis, / Et vani triplices, brevesque mappae / Expectent gelidi jocos Decembris. / Certent muneribus beatiores. […]
10.87 Del dì natalizio di Restituto. Tutta d’ottobre alle calende sorga / Roma e il facondo Restituto onori: / Faccia silenzio e orecchio ognun mi porga. / Io canto il suo natal: cessin le liti; / Lungi i cerei del povero cliente, / Le tovagliuole e i tacquini triti; / E aspettin del dicembre aspro le feste. / Nei regali or gareggino i signori:[…[189]
6g. Tante salviette Ermogene involò.
12,29. De Hermogene fure. Hermogenes tantus mapparum, Pontice, fur est, / Quantus nummorum vix, puto, Massa fuit; / Tu licet observes dextram teneasque sinistram, / Inveniet mappam qua ratione trahat. / Cervinus gelidum sorbet sic halitus anguem; / Casuras alte sic rapit Iris aquas. / Nuper com Myrino peteretur laeso, / Subduxit mappas quatuor Hermogenes. / Cretatam praetor cum vellet mittere mappam, / Praetori mappam surpuit Hermogenes. / Attulerat mappam nemo, dum furta timentur: / Mantile a mensa surpuit Hermogenes. / Hoc quoque si deerit; medios discingere lectso, / Mensarumque pedes non timet Hermogenes. / Quamvis non modico caleant spectacula sole, / Vela reducuntur cum venit Hermogenes. / Festinant trepidi sub stringere carbasa nautae, / Ad portum quotiens paruit Hermogenes. / Linigeri fugiunt calvi, sinistrataque turba, / Inter adorantes cum stetit Hermogenes. / Ad coenam Hermogenes mappam non attulit unquam: / A coena semper rettulit Hermogenes.
12.29 Del ladroErmogene. Tante salviette, o Pontico, / Ermogene involò, / Quanti nummi (cred’io) Massa rubò./ La destra pare adocchiagli, / Tiengli la manca in fren, / Prenderti il tovagliol saprà ei non men. / Così aduggiar suol gli aspidi / Il cervo col respir, / E le cadenti goccie Iri sorbir. / Di Mirin quando chiedersi / La grazia or si udì, / Quattro pezzuole Ermogene rapì / Mentre il pretor la candida / insegna volle espor, / Tolse l’insegna Ermogene al pretor. / A un pranzo u’ niun (temendone / L’ugne) il mantil recò, / Via la tovaglia Ermogene portò. / Dei letti i finachi ei spoglia, / Se tovaglia non v’è / Né teme di raschiar del desco i piè. / Al comparir d’Ermogene / Il velario si suol / Stringer, benché in teatro abbruci il sol. / Sue tele a raccor trepido / Affrettasi il nocchier, / Se in porto si fa Ermogene veder./ Coi lini e i sistri involasi / Lo schiomato drappel, / Se Ermogene s’accosta al sacro ostel. / Mai col mantile Ermogene / A cena non andò: / Da cena col mantil sempre tornò.[190]
Termina qui il viaggio ideale tra le parole che ci ha portati, partendo dalla “sordida mappa” di Orazio e attraverso il latino medioevale, di uso prevalentemente ecclesiastico, fino alle voci “mappina”, “mappata” e “mappatella”, con ampia documentazione del loro uso in opere letterarie di ambito meridionale, soprattutto napoletano.
MAPPA IN LATINO
Attestazioni latine del vocabolo mappa. M. Porcius Cato. De Agri Cultura[191]: sis unas, molilia III, abacum I, orbes heneos II, mensas II, scamna magna III, scamnum in cubiculo I, scabilla III, sellas IIII, solia duo, lectum in cubiculo I, lectos loris subtentos IIII et lectos III; pilam ligneam I, fullonicam I, telam iogalem I, pilas II, pilum fabarium I, farrearium I, seminarium I, qui nucleos succernat I, modium unum, semodium unum, culcitas VIII, instragula octo, puluinos XVI, operimenta X, mappas III, centones pueris VI. M. Porcius Cato, De Agri Cultura[192]: III, secures V, cuneos IIII, uomeres, ferreas X, palas VI, rutra IIII, rastros quadridentes II, crates stercorarias IIII, sirpiam stercorariam I, faculas uiniaticas XL, faculas rustarias X, foculos II, forpices II, rutabulum; corbulas amerinas XX, quala sataria uel alueos XL, palas ligneas XL, luntris II, culcitas IIII, instragula IIII, puluinos VI, operimenta VI, mappas III, entones pueris VI. M. Terentius Varro. De Lingua Latina[193]: qui<s> facit mappas triclinaris non similis inter se? Q. Horatius Flaccus. Sermones[194]: Varius mappa conpescere risum / vix poterat.
Q. Horatius Flaccus.
Epistulae[195]
(Q. Horati Flacci Opera, ed. F.Klingner, 1959). (0893: 005) book 1,
poem 5, verse 22
Q. Horatius Flaccus,
Sermones[196]:
book 2, poem 4, verse 81 Petronius. Satyrica[197]: ego tamen duo sustuli et ecce in mappa alligata habeo; nam si aliquid muneris meo vernulae non tulero, habebo convicium.
Petronius,
Satyrica[198]:
Petronius,
Satyrica[199]:
C. Plinius Secundus.
Naturalis Historia[200]:
C. Plinius Secundus,
Naturalis Historia[201]: M. Fabius Quintilianus. Institutio Oratoria[202]:
Et ‘mappam’ circo quoque usitatum
nomen Poeni sibi uindicant, et 'gurdos', quos pro stolidis accipit uulgus,
ex Hispania duxisse origin-
L. Annaeus Seneca iunior.
Dialogi[203]:
(L. Annaei Senecae Dialogorum Libri Duodecim, ed. L. D.
Reynolds, 1977). (1017: 012) book 5, chapter 30, section 1, line 5
[1] M. Fabi Quintiliani Institutionis Oratoriae Libri Duodecim. Vols. 1–2, ed. M. Winterbottom, 1970). (1002: 001): «Et mappam quoque, usitatum Circo nomen, Poeni sibi vindicant». [2] Aldo Gabrielli, Nella foresta del vocabolario: storia di parole, Milano 1978, p. 281. [3] Q. Horatius Flaccus. Epistulae[3][3] (Q. Horati Flacci Opera, ed. F.Klingner, 1959). (0893: 005) book 1, poem 5, verse 22 [4] Opere di Pietro Metastasio, Volume Quarto. Milano, per Giovanni Silvestri, M.DCCC.XXII. [5] Opere di Quinto Orazio Flacco, tradotte in lingua italiana e corredate di osservazioni opportune da Celestino Masuccio, professore giubilato di poetica nell’Università di Genova, Genova 1809. [6] Acronis et Porphyrionis commentarii in Q. Horatium Flaccum, Edidit Ferdinandus Hauthal. Vol. II. Berolini, Sumptibus Iulii Springeri MDCCCLXVI. [7] L'Opere d'Oratio - poeta lirico - comentate da Giovanni Fabrini da Fighine in lingua vulgare toscana, Venetia M.DC.LXIX. [8] Petronius, Satyrica chapter 32, section 2, line 3. [9] Il Satirico di Petronius Arbiter, col volgarizzamento e le annotazioni di Giambatista Gely Colajanni, Napoli 1871, p. 97. [10] Della storia naturale di C. Plinio Secondo, Libri XXXVII, traduzione di M. Lodovico Domenichi, Venezia 1844. [11] Du Cange, et al., Glossarium mediæ et infimæ latinitatis, Niort : L. Favre 1883-1887. [12] Gallis Mouchoir. Kero Monachus : Mappula, Duvahila, id est, togilla ; nostris, Touaille. Alcuinus de Officiis Eccles. cap. 39. Glossarium, cit. [13] Occurrit hac notione in Regulis S. Benedicti cap. 55. et S. Fructuosi cap. 4. apud Ardonem in Vita S. Benedicti Abbatis Anianensis n. 35. Victorem PP. lib. 3. Dial. in Chronico Farfensis Monast. pag. 661. etc. Glossarium, cit. [14] Apud S. Gregorium lib. 2. Dial. cap. 19. Glossarium, cit. [15] lib. 2. Ind. 11. Epist. 54. ad Joannem Ravennatem Episcopum. Glossarium, cit. [16] Ita Durandus lib. 4. Ration. cap. 6. num. 11. Glossarium, cit. [17] M. Filippo Venuti, Dittionario volgare et latino nel quale si contiene come i vocaboli Italiani si possono dire & esprimere Latinamente, in Trino MDLXXVIII. [18] Pietro Le Brun, Spiegazione letterale, storica e dogmatica delle preci e delle cerimonie della Messa. Tradotto in italiano da Antonmaria Donado, Verona MDCCLII. [19] D. Luigi Nardi, Dei parrochi opera di antichità sacra e disciplina ecclesiastica, Pesaro MDCCXXX. [20] Gaetano Moroni Romano,Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni, Venezia MDCCCXLVII. [21] Wharton Booth Marriott, Vestiarium Christianum: the origin and gradual development of the dress of holy ministry in the church, Rivingtons, 1868, p. Lxx. [22] Domenico Gaetano Cavalcanti, La Sacra Liturgia Della Chiesa Nel Santo Sacrificio Augustissimo, Napoli MDCCLXIII. Presso Giuseppe Raimondi. Con licenza de’ Superiori. [23] Frutti del Carmelo. Discorsi morali composti da Fra Emanuello di Giesù Maria, Seconda impressione in Napoli. Nella Stamparia di Giuseppe Roselli, 1705. [24] Annibale Antonini, Dizionario italiano, latino e francese, Volume 2, Lione M.DCC.LXX. Con approvazione e privilegio del re. [25] Archivio storico italiano, Deputazione toscana di storia patria, Leo S. Olschki 1893, p. 272. [26] Vol. 17 Raccolta Rassegna Storica dei Comuni - Anno 2003, Istituto di Studi Atellani 2003, p. 31, [27] Ferdinando Galiani, Francesco Mazzarella Farao, Partenio Tosco, Vocabolario delle parole del dialetto napoletano, che più si discostano dal dialetto toscano , Napoli MDCCLXXXIX. Con Licenza de’ Superiori. [28] Basilio Puoti (marchese), Vocabolario domestico napoletano e toscano, Napoli 1841. [29] Pietro Paolo Volpe, Vocabolario napoletano-italiano compilato sui dizionari antichi e moderni, Napoli 1869. [30] Raffaele Andreoli, Vocabolario napoletano-italiano, G.B. Paravia 1887. [31] Friedrich Diez, Etymologisches Wörterbuch der romanischen Sprachen, Bonn 1853, p. 694. [32] Friedrich Diez, An etymological dictionary of the romance languages, London 1864, p. 313. [33] Vittorio Ugolini, Nuovo vocabolario di parole e modi errati che sono comunemente in uso, Trani 1898, p. 142. [34] L. De Pasquale, Studio Calabro comparativo, Palermo-Torino 1892. [35] Gennaro Finamore, Vocabulario dell’uso abruzzese, R. Carabba, 1880. [36] Antonino Traina, Vocabolarietto delle voci siciliane dissimili dalle italiane, Paravia 1877. [37] Durandus lib. 3. Ration. cap. 6. num. 3. Glossarium, cit. [38] Parallelo a ‘mappinella’ diminutivo del diminutivo ‘mappina’ in Paula Maugeri: «lasciate rinvenire i pomodori […] e asciugateli in una mappinella pulita» in La mia vita a impatto zero, Mondadori, 11/mag/2012. [39] Regii neapolitani archivi monumenta edita ac illustrata, Vol. II, Neapoli M.DCCC.XLIX, p. 51. [40] John Rider, Bibliotheca Scholastica: A Double Dictionarie, Oxford 1589. [41] Banto Pereira, Prosodia in vocabularium bilingue, Latinum, et Lusitanum, Eborae M.DCC.XXIII. [42] Novum glossarium mediae latinitatis: ab anno DCCC usque ad annum MCC, Union académique internationale 2005, p. 194. [43] Paola Maugeri, La mia vita a impatto zero, cit. [44] Pirro Bichelli, Grammatica del dialetto napoletano, Pégaso 1974, p. 82. [45] Eduardo De Filippo, Capolavori di Eduardo, Einaudi 1973, p. 845. [46] Micco Passaro nnamorato, Poema Eroico di Cesare Cortese, Napoli M.DC.LXVI, p. XVI. [47] Opere di Giulio Cesare Cortese, detto il Pastor Sebeto. Tomo III, Napoli, MDCCLXXXIII, p. 198. [48] Opere di Giulio Cesare Cortese, detto il Pastor Sebeto. Tomo I, Napoli MDCCLXXXIII, p. 65. [49] L'Eneide di Virgilio Marone trasportata in ottava rima napoletana da Giancarlo Sitillo, Napoli MDCC. [50] L'Eneide di Virgilio Marone trasportata in ottava rima napoletana da Giancarlo Sitillo, Tomo II, Napoli MDCCLXXXIV, p. 239. [51] Salvatore de Renzi, Napoli nell’anno 1656 ovvero documenti della pestilenza che desolò Napoli nell’anno 1656, Napoli, 1867. [52] Opera di Giuseppe D’Alessandro duca di Peschiolanciano Divisa in cinque Libri ne' quali si tratta delle regole di Cavalcare della Professione di Spada, ed altri Esercizj d’Armi, Napoli M.DCC.XXIII, p. 581. [53] Gianbattista Basile, Pentamerone, Napoli 1788, p. 152. [54] La tiorba a taccone, de Felippo Sgruttendio de Scafato, Napoli MDCCLXXXIII, p. 98. [55] D’Andreja Perruccio, L'agnano zeffonnato poemma aroico e la malatia d'Apollo, Napoli MDCCLXXXVII, p. 212. [56] Notizie biografiche e bibliografiche degli scrittori del dialetto Napoletano, Napoli 1865, p. 230. [57] Le ffavole de Fedro liberto d’Augusto sportate in ottava rimma napoletana da Carlo Mormille, Napoli 1830, p. 23. [58] Giovan Battista Valentino, La Mezacanna co’l Vascello dell’Arbascia, Poema in ottaua rima in lingua Napoletana, p. 13, Napoli 1669. [59] Giovanni Battista Valentino, La Mezacanna co’l Vascello dell’Arbascia, poema in ottaua rima in lingua Napoletana, Napoli 1669, p. 74. [60] D. Anchise Campanone, Commedia per musica, Napoli 1826, p. 52. [61] De Biaso Valentino, La fuorfece o vero l'ommo pratteco co li diece quatre de la gallaria d’Apollo, Napoli MDCCLXXXIII, p. 16. [62] Vittorio Imbriani, XII (i.e. Dodici) conti Pomiglianesi: con varianti Avellinisi, Libreria Detken e Rocholl 1876, p. 33. [63] Antonio Casetti e Vittorio Imbriani, Canti popolari delle provincie meridionali, E. Loescher 1871, p. 103. [64] Carlo de Nicola, Diario napoletano, 1798-1825, Napoli 1906, p. 414. [65] Cosimo De Carlo, Proverbi dialettali del Leccese, Vecchi 1907, p. 198. [66] Vincenzo Consolo, La ferita dell'aprile, Mondadori, Milano 1963. [67] Giuseppe Cassieri, Andare a Liverpool, Feltrinelli 1968, p.95. [68] Gerhard Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, Einaudi 1969. 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[104] Pietro Gerbore, Piero Buscaroli, Una storia dell'arte di vivere, Fògola 1985, p. 15. [105] Pietro Paolo Volpe, Vocabolario napolitano-italiano tascabile, Napoli 1869. [106] Ippolito Cavalcanti, Cucina teorico-pratica in dialetto napoletano, Napoli 1852, pag. 223. [107] Colette Rodin, Il Paese Senza Nome, Lulu.com 2009. [108] L’Espresso, vol. 38, ediz. 14-17, Editrice L'Espresso 1992, pag. 548. [109] Eduardo De Filippo, Serata d'onore, Avagliano 2000, pag. 33. [110] Piedigrotta: (leggenda, storia, folklore), F. Fiorentino 1958, pag. 27. [111] Vita abruzzese”, vol. 1, Arte della Stampa 1956, pag, 79. [112] Giovanni Cirillo, La mia Villa del Fuoco, Tinari 2000, p. 123. [113] Massimo Siviero, Caponapoli, Edizioni Mondadori 22/mag/2012. [114] Alessandro Petruccelli, Una cartella piena di fogli, Editori riuniti 1990, p. 13. [115] Eduardo Scarpetta, Cinquant'anni di palcoscenico, Pagano 2002, p. 110. [116] Prospettive meridionali, vol 3, Roma 1957, p. 17. 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[141] Giuseppe Antonelli, Lingua ipermedia: la parola di scrittore oggi in Italia, Manni 2006, p. 101. [142] Abele De Blasio, La mala vita a Napoli: Ricerche di sociologia criminale, G. M. Priore 1905, p. 272. [143] Franco Contorbia, Giornalismo italiano, A. Mondadori 2009, p. 603. [144] Gino & Michele, Neppure un rigo in cronaca, Feltrinelli 2009. [145] Roberto De Simone, Fiabe campane: i novantanove racconti delle dieci notti, vol. 1, G. Einaudi 1994, p. 312. [146] Roberto De Simone, Fiabe campane, cit., vol. 1, p. 506. [147] Francesco D'Antuono, Giovanni Piazza, L'inquilino dentro, Sovera Edizioni 2008, p. 37. [148] Carlo Montella, Dov'è Beethoven?, Tullio Pironti 2002, p. 44. [149] Ascanio Celestini, La pecora nera: elogio funebre del manicomio elettrico, Einaudi 2006, p. 92. [150] Jean-Charles Vegliante, Gli italiani all’estero, tome IV, Presses Sorbonne Nouvelle, 01/gen/1996, p. 13. 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Terenti Varronis De Linguae Latinae Quae Supersunt, ed. G. Goetz; F. Schoell, 1910). (0684: 001) book 9, chapter 47, line 6 [194] Q. Horatius Flaccus. Sermones (Q. Horati Flacci Opera, ed. F. Klingner, 1959). (0893: 004) book 2, poem 8, verse 63 [195] Q. Horatius Flaccus. Epistulae[195] (Q. Horati Flacci Opera, ed. F.Klingner, 1959). (0893: 005) book 1, poem 5, verse 22 [196] Q. Horatius Flaccus, Sermones book 2, poem 4, verse 81 [197] Petronius. Satyrica (Petronius: Satyrica, ed. K. Müller; W. Ehlers, 1983). (0972: 001) chapter 66, section 4, line 3 [198] Petronius, Satyrica chapter 32, section 2, line 3 [199] Petronius, Satyrica chapter 60, section 7, line 5 [200] C. Plinius Secundus. Naturalis Historia (C. Plini Secundi Naturalis Historiae Libri XXXVII. Vols. 1–5, ed. C. Mayhoff, 1892–1909). (0978: 001) book 24, section 103, line 5 [201] C. Plinius Secundus, Naturalis Historia book 19, section 19, line 3 [202] M. Fabius Quintilianus. Institutio Oratoria (M. Fabi Quintiliani Institutionis Oratoriae Libri Duodecim. Vols. 1–2, ed. M.Winterbottom, 1970). (1002: 001) book 1, chapter 5, section 57, line 3 [203] L. Annaeus Seneca iunior. Dialogi (L. Annaei Senecae Dialogorum Libri Duodecim, ed. L. D. Reynolds, 1977). (1017: 012) book 5, chapter 30, section 1, line 5
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