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Le varianti tarde del mito troiano

   

Francesco Chiappinelli

Achille,

amore e morte

 

Polissena alla fonte insieme a Troilo,

vaso attico a figure rosse, Parigi, Louvre

   

Nella mitologia greca è centrale la figura di Achille, del quale tutti ricordano la famosa ira contro Agamennone e la vendetta su Ettore, che gli aveva ucciso l’amico Patroclo, ma anche il nobile comportamento tenuto con il vecchio Priamo quando gli aveva restituito il corpo del figlio. Secondo la versione più nota, l’eroe sarebbe morto per una freccia di Paride che lo avrebbe colpito al tallone, unica parte vulnerabile del suo corpo. Altri autori ci parlano del suo amore per Polissena, la più giovane figlia di Priamo, che sarebbe stata sacrificata sulla sua tomba alla fine del conflitto. La tradizione tardolatina e medievale, l’unica nota a Dante, fonde i due argomenti e spingerà il divino poeta a mettere Achille accanto a Paolo e Francesca nel girone dei lussuriosi (“e vidi il grande Achille che con Amore al fine combatteo”). Questo testo, con la bibliografia allegata, può liberamente e proficuamente essere impiegato per fini didattici in tutte le classi che si occupano di epica classica e medievale.

Era una notte di buio pesto, appena rischiarata dalle stelle e dalle luci sugli spalti di Troia. Achille disse ai soldati di guardia alla sua tenda che, profittando della tregua, andava ad esplorare la zona avanti al tempio di Apollo Timbreo, appena fuori della città, venerato comunemente da Greci e Troiani e rimasto indenne da tutte le operazioni di guerra. La risposta fu un imbarazzato silenzio, ma Achille aveva fretta e non ci badò più di tanto.


   Mentre correva verso il tempio, pensava alla bellissima Polissena, la figlia di Priamo, che aveva vista per la prima volta quando era venuta con il padre a riscattare il corpo di Ettore. “Avrei dovuto accettare allora la proposta di Priamo, di prendermela come schiava “, disse a mezza bocca come aveva fatto tanto spesso in quei giorni. Ma aveva preferito il gesto generoso di non chiedere altro, per il riscatto, che le vesti preziose offertegli dal vecchio re, rinviando ad altra occasione la questione del suo matrimonio con la bella principessa, la più giovane delle tante figlie di Priamo. Intanto era passato un anno e, superato il momento più difficile, Priamo aveva nei segreti contatti con lui chiesto che egli convincesse i Greci ad andarsene o che almeno li abbandonasse tornandosene in patria. “Certo”, pensò con una punta di astio, “Menelao ci tiene tutti impegnati con questa guerra interminabile perché non vuole rinuciare ad Elena e a me si dovrebbe impedire di far mia la donna che amo?”. Per fortuna, quando già i suoi compagni cominciavano ad insospettirsi per quegli andirivieni di messaggeri, spazientito anche lui contro Priamo che pareva aver dimenticato la sua promessa, egli era riuscito a catturare e far crudelmente sgozzare due altri suoi figli, Licaone e il bellissimo Troilo. Priamo aveva certo capito, e si era affrettato a convocarlo al tempio di Apollo per consegnargli Polissena.

***

Aiace Diomede e Ulisse erano già da qualche minuto all’esterno del tempio: i soldati di Achille li avevano avvertiti subito di quelle strane parole e di quella precipitosa uscita notturna. Il sospetto di tradimento prendeva drammaticamente corpo e il comportamento di Achille lo avvalorava: essi erano accorsi per tentare di fermarlo, e per avvertirlo che anche i suoi soldati ormai meditavano di rivoltarsi contro di lui. Ma dov’era Achille?


   D’improvviso, due ombre velocissime sgusciarono dall’uscita laterale e presero a correre verso la città. I tre eroi rimasero per un attimo immobili, ma fu un attimo soltanto. “Entriamo nel tempio!“ esclamò Ulisse, sguainando la spada. “Se Achille ci ha tradito, né per lui né per i Troiani ci sarà tregua che tenga!”.


   Dentro, il buio era ancora più fitto e il silenzio pareva assoluto. Ulisse chiamò ad alta voce Achille, e ne ebbe per risposta un gemito. L’eroe era riverso al suolo vicino all’altare, e perdeva sangue dai due fianchi. Fidandosi della tregua, era caduto nell’agguato senza portare armi con sé: Aiace, che era suo cugino, non seppe trattenere le lacrime. “Era dunque vero, esclamò, che nessun mortale potesse superarti in valore…A perderti è stata la tua temeraria imprudenza!”. Mentre lo sollevavano e tentavano di riportarlo all’accampamento, Achille ebbe ancora fiato per raccontare cosa era successo.


   “Priamo mi aveva convocato al tempio per consegnarmi Polissena…ma nel tempio c’erano solo Deifobo e Paride. Deifobo mi ha abbracciato stretto, e non mi lasciava più; e Paride d’improvviso, sbucando dall’ombra, mi ha ferito…poi hanno spento tutte le lampade e sono fuggiti…”. Così dicendo spirò.


   Aiace se lo caricò sulle spalle e scortato dagli altri due si diresse rapidamente verso il campo greco. Nessuno dei tre aveva voglia di parlare, e pensavano all’empietà dei due Troiani che avevano violato senza scrupoli la tregua e la sacralità del tempio di Apollo, il loro principale protettore. Ma bisognava far presto: si sentivano clamori di tripudio provenienti da Troia, e ben presto quei barbari sarebbero accorsi al tempio per impadronirsi del corpo di Achille, e infierire senza timore ormai sul loro più valoroso nemico.

Nota bibliografica


La storia di Achille e Polissena è indirettamente raccontata da Euripide nell’Ecuba e nella Troiane; da Virgilio nell’Eneide; da Seneca nelle Troiane. Ne parlano diffusamente gli scoliasti e i commentatori di queste opere, in particolare Servio, e mitografi come Igino e Apollodoro. Nella tarda latinità se ne occupano due autori ingiustamente ignorati dalla storia letteraria, Ditti e Darete: essi si fingono testimoni diretti degli eventi, dicendo di aver preso parte alla guerra rispettivamente nell’esercito greco e troiano. I loro scritti ebbero enorme successo in età medievale, vennero tradotti ed ampliati, e con il tramite del Roman de Troie di Benoit de Sainte-Maure e della Historia destructionis Troiae di Guido delle Colonne entrarono nel bagaglio culturale di Dante, Boccaccio, Chaucer e Shakespeare. Il testo qui proposto ricalca da vicino Ditti, IV 9-11: “…Capti etiam Lycaon et Troilus Priamidae, quos in medium productos, Achilles iugulari iubet : indignatus, nondum sibi a Priamo super his quae secum tractauerat, mandatum… Deinde requies bellandi per indutias interposita: tum Priamus, tempus nactus, Idaeum ad Achillem super Polyxena cum mandatis mittit. Sed cognita re apud naues, suspicio alienati ducis, et ad postremum indignatio exorta. Namque antea rumorem proditionis ortum clementer per exercitum in uerum traxerant. Ob quae, simul uti concitatus militis animus leniretur, Aiax cum Diomede et Ulysse ad lucum pergunt. Hique ante templum resistunt, opperientes, si egrederetur, Achillem, simulque uti rem gestam iuueni referrent; de caetero etiam deterrerent in colloquio clam cum hostibus agere. Interim Alexander compositis iam cum Deiphobo insidiis pugionem cinctus ad Achillem ingreditur confirmator ueluti eorum, quae Priamus pollicebatur moxque ad aram, quo ne hostis dolum persentisceret auersusque a duce, adsistit. Dein ubi tempus uisum est, Deiphobus amplexus inermem iuuenem quippe in sacro Apollinis nihil hostile metuentem exosculari gratularique super his, quae consensisset, neque ab eo diuelli aut omittere, quoad Alexander librato gladio procurrensque aduersum hostem per utrumque latus geminato ictu transfigit. At ubi dissolutum uulneribus animaduertere, e parte alia, quam uenerant, proruunt, re ita maxima et super uota omnium perfecta, in ciuitatem recurrunt. Quos uisos Ulixes: " Non temere est, inquit, quod hi turbati ac trepidi repente prosiluere." Dein animaduertunt Achillem stratum humi exsanguem atque etiam tum seminecem. Tum Aiax: " Fuit, inquit, confirmatum ac uerum per mortales, nullum hominum existere potuisse, qui te uera uirtute superaret : sed, uti palam est, tua te inconsulta temeritas prodidit." Dein Achilles extremum adhuc retentans spiritum: "Dolo me atque insidiis, inquit, Deiphobus atque Alexander Polyxenae gratia circumuenere." Tum exspirantem eum duces amplexi cum magno gemitu, atque exosculati postremum salutant. Denique Aiax exanimem iam humeris sublatum e luco effert.

 
 

 

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