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Le altre Iliadi

Oltre al racconto insuperabile di Omero, altri testi di straordinario interesse hanno descritto la vicenda di Troia

 

 

L'altra storia di Troia

Il "De Excidio Troiae" di Darete

Traduzione e commento

di Francesco Chiappinelli

La nostra rassegna di testi prosegue con Darete frigio, già indirettamente noto ai nostri lettori. Ne traduciamo i passi più significativi, accompagnandoli con brevi note di commento.

 

1. La premessa

 

Certo poche vicende hanno avuto nella cultura universale il posto di Troia e della sua distruzione ad opera dei Greci. Il merito è soprattutto della insuperabile poesia omerica, che col passare dei millenni sembra trovare nuova linfa; e di Virgilio, che con il secondo libro dell’”Eneide” ne ha fatto raccontare le fasi salienti al suo eroe, Enea. Dietro di loro, nelle letterature classiche e del Medioevo europeo, moltissimi hanno cercato di imitarli. Noi non facciamo questo: il nostro obiettivo è quello di far conoscere al pubblico di appassionati altre testimonianze letterarie, molto meno note e tuttavia anch’esse importanti: quelle del ciclo omerico, quelle tardolatine (con ascendenti ellenistici) di due autori oggi quasi sconosciuti, ma noti fino a tutto l’Ottocento, Darete e Ditti, che si dicono testimoni diretti dell’assedio; e dei loro imitatori medievali, tantissimi, tra i quali spiccano Benoit de Sainte Maure e Guido delle Colonne. Ne proporremo larghe scelte, nelle lingue originali e in traduzione, certi che i lettori di tutte le età e fasce culturali le accoglieranno con interesse. E iniziamo con Darete, che influenzò più di mille anni di storia letteraria, fino a Shakespeare.

 

Generalmente assenti dalle storie, anche apprezzate, della letteratura latina o tutt’al più liquidati come autori della decadenza, Ditti Cretese e Darete Frigio, i sedicenti testimoni diretti del conflitto troiano, si rivelano di grande interesse per il lettore moderno. Riprendendo nei loro confronti una attenzione viva fino a tutto l’Ottocento, qualche anno fa ne è apparsa per i tipi della Aleph una meritoria traduzione. Con l’auspicio che questi due autori e i loro interpreti medievali Benoit de Sainte-Maure e Guido delle Colonne tornino a rivelarsi indispensabili per chi voglia approfondire la conoscenza di Troia nei secoli della tarda latinità e del Medio Evo europeo, diamo qui il testo originale di Darete e la traduzione, da noi curata.
L’opera di Darete è stata variamente datata dal IV al VI secolo d.C., ma nella versione originale risale certamente al primo periodo imperiale, se non alle ultime fasi repubblicane. La redazione che ci è pervenuta è però certamente più tarda, per evidenti ragioni linguistiche. Nella prefazione, Cornelio Nepote (!) dice al suo amico Sallustio(!!) di aver trovato ad Atene, nel corso dei suoi studi, la storia di Darete frigio scritta di suo pugno, di esserne rimasto affascinato e di averla amorosamente tradotta senza nulla aggiungervi o toglierne, con l’intento di lasciare al lettore la scelta se fosse più credibile lui, testimone diretto della guerra, o Omero, vissuto tanti anni dopo. “Cornelio” dice che il parere suo e dei compagni fu netto: è pazzo Omero se racconta che gli dèi si impegnarono con i mortali in quell’assurdo conflitto.

Di un certo Darete si parla in Iliade V 9-12. Ha questo nome il sacerdote di Efesto e i suoi due figli combattono contro Diomede. Uno solo si salverà, grazie all’aiuto del dio. L’ignoto autore dell’”Excidium” ha dato maggior consistenza così al suo pseudonimo. A crederci sarà tra gli altri il grande Isidoro di Siviglia, che dirà di lui: ”A scrivere storia presso di noi cristiani fu per primo Mosè, che parlò dell’inizio del mondo. Presso i pagani invece il primo fu Darete frigio, che pubblicò la storia dei Greci e dei Troiani, che, raccontano, egli scrisse su foglie di palma. Dopo Darete il primo storico in Grecia fu ritenuto Erodoto .” Del Darete omerico si parla anche nell’”Ilias Latina”, un tardo centone che non fa cenno alcuno di una sua cronaca del conflitto né parla della vicenda di Enea traditore.

La storia di Darete riassume tutta la vicenda del ciclo di Troia, non la sola Iliade, e l’aspirazione dell’autore, come nel caso di Ditti, è in realtà comporre una anti-Iliade, che nella parte conclusiva finisce per essere anche una anti-Eneide.

La finzione letteraria appare abbastanza convincente, almeno sul piano cronologico: Cornelio Nepote e Sallustio sono due importanti storici di età cesariana, e pur se non ne abbiamo alcuna testimonianza è ben probabile che si siano conosciuti e frequentati. Sallustio affiancò Cesare nelle lotte civili, mentre Cornelio almeno teoricamente doveva essere più vicino al partito avverso, se proprio valutiamo parallelamente la sua amicizia con Catullo e l’avversione del grande poeta veronese a Cesare e ai suoi scherani; e anche il suo “modus scribendi” ha delle affinità notevoli con lo stile di Darete. Resta in ombra invece il problema della scrittura “originale” dell’opera che sarebbe dovuta essere quella fenicia, ma l’argomento viene solo sfiorato nel capitolo conclusivo, dove si parla di “litterae Graecae” che invece non potevano esserci al tempo della guerra di Troia. E questo dimostra abbondantemente la natura retorica di questo scritto, forse anteriore, nella versione originale, a quello di Ditti Cretese.


STORIA DELLA CADUTA DI TROIA DI DARETE FRIGIO

CORNELIO NEPOTE SALUTA SALLUSTIO CRISPO.

Quando ero ad Atene, impegnato attivissimamente in molte cose, trovai la storia di Darete Frigio, scritta di suo pugno, come indica il titolo, su Greci e Troiani. Ed io abbracciandola con grandissimo amore subito l’ho tradotta. Ho ritenuto di non dover aggiungere né togliere nulla per mero desiderio di cambiamento, altrimenti sarebbe potuta sembrare mia. Ho ritenuto dunque che la cosa migliore fosse tradurla letteralmente in latino, così come era stata scritta, in modo vero e semplice, perché i lettori potessero conoscere come queste cose si fossero svolte: e per capire se stimino più vere le cose tramandate da Darete Frigio, che visse e militò in quel tempo in cui i Greci combattevano contro Troia, o se si debba credere ad Omero, che nacque molti anni dopo che questa guerra era stata combattuta: su questo in Atene ci fu un processo, giacché si riteneva Omero un pazzo perché scrisse che gli dèi avevano combattuto con gli uomini. Ma fermiamoci qui, e torniamo a quel che avevo promesso.

 

1. La saga argonautica

[1] Il re Pelia ebbe come fratello Esone. Figlio di Esone era Giasone, eccellente per valore: e aveva come ospiti tutti quelli che erano sotto il regno di lui, ed era amato moltissimo da essi. Il re Pelia, quando vide che Giasone era gradito a tutti, ebbe paura che Giasone gli facesse dei torti e lo scacciasse dal regno. Dice a Giasone che i Colchi hanno una pelle d’ariete tutta d’oro, degna del suo valore, e promette che gli darà tutto, purché la portasse via di lì. Giasone, appena sentì, poiché era di animo coraggioso, e voleva conoscere tutti i luoghi, e pensava che sarebbe stato più famoso, se avesse tolto il vello d’oro ai Colchi, dice al re Pelia di volerci andare, a meno che non gli venissero meno forze e compagni. Il re Pelia fece chiamare l’architetto Argo, e gli comanda di costruire una nave quanto più bella possibile, secondo la volontà di Giasone. Per tutta la Grecia si diffuse la voce, che si stava costruendo la nave con la quale Giasone deve andare in Colchide, a cercare il vello d’oro. Amici e ospiti vennero da Giasone, e promettono di andare insieme con lui. Giasone li ringrazia: e li pregò di essere pronti quando giungesse il momento opportuno. Giasone, quando giunse il momento opportuno, mandò una lettera a quelli che avevano giurato di andare insieme con lui, e subito convennero alla nave il cui nome era Argo. Il re Pelia fece porre sulla nave tutto il necessario ed esortò Giasone, e quelli che dovevano partire con lui, a partire con animo fermo a compiere il loro tentativo. Quell’impresa sembrava destinata a portare gloria alla Grecia e a loro. Non è compito nostro indicare quelli che partirono con Giasone: ma chi vuole conoscerli, legga gli Argonauti.

 

[2] Giasone appena giunse in Frigia accostò la nave al porto Simoenta. Poi tutti uscirono dalla nave a terra. A Laomedonte re dei Troiani fu annunciato che una bellissima nave era entrata nel porto Simoenta, e che in essa erano trasportati giovani provenienti dalla Grecia. Appena il re Laomedonte lo sentì ne fu turbato, e considerò il pericolo comune, se i Greci si abituassero a presentarsi con navi alle sue spiagge. Manda perciò al porto messaggeri che dicano che i Greci si allontanino dai suoi territori; e che se non avessero obbedito al suo ordine, allora egli li avrebbe scacciati con le armi dai confini. Giasone e quelli che erano venuti con lui sopportarono malvolentieri la crudeltà di Laomedonte, di essere trattati così da lui, pur non essendogli stata fatta alcuna offesa da loro; nello stesso tempo temevano anche il gran numero di Barbari, ove tentassero di rimanere lì contro il suo ordine, che non li schiacciassero: non essendo essi pronti a combattere, si imbarcarono, si allontanarono dalla terraferma, partirono per la Colchide, si presero il vello d’oro, tornarono in patria.

 

[3] Ercole sopportò a malincuore di essere stato trattato in modo offensivo dal re Laomedonte, lui e quelli che erano partiti insieme con Giasone per la Colchide, e andò a Sparta da Castore e Polluce. Concorda con questi, di vendicare insieme con lui le offese subite, perché Laomedonte non esca impunito dall’averli tenuti lontani dalla sua terra e dal porto. Dice che ci saranno molti alleati, se si fossero accordati. Castore e Polluce promisero di fare tutto ciò che Ercole volesse. Partito da loro per Salamina, giunge da Telamone: lo prega di andare con lui a Troia, e vendicare con lui le offese subite. Telamone si dichiarò pronto a tutto ciò che Ercole volesse. Di là partì per Ftia per andare da Peleo, e lo prega di andare con lui a Troia e Peleo gli promise di andare. Di là partì per Pilo, per andare da Nestore; Nestore gli chiede perché sia venuto. Ercole dice di voler condurre l’esercito in Frigia, perché spinto dal dolore. Nestore lodò Ercole, e promise il suo intervento. Ercole, appena ebbe inteso le volontà di tutti, prepara dodici navi, sceglie i soldati. Quando venne il momento di partire, mandò una lettera a quelli che aveva pregato, e essendo questi venuti con i loro uomini, partirono per la Frigia; e approdarono di notte al Sigeo. Da lì Ercole, Telamone e Peleo fecero scendere dalle navi l’esercito: ma lasciarono Castore, Polluce e Nestore a difesa delle navi. Laomedonte con la cavalleria venne al mare, e cominciò a combattere. Ercole era andato verso Troia, e cominciò ad assalire quelli che erano in città e che non se lo aspettavano. Appena questo fu riferito al re Laomedonte, che la città era assalita dai nemici, subito ritorna a Troia: e in questo percorso essendosi imbattuto nei Greci, viene ucciso da Ercole. Telamone per primo entrò nella città di Troia: ed Ercole per il suo valore gli diede in dono Esione, la figlia del re Laomedonte. I figli di Laomedonte che erano con lui vengono uccisi. Priamo era in Frigia, dove suo padre Laomedonte lo aveva messo a capo dell’esercito. Ercole e quelli che erano venuti con lui fecero un grande bottino, e lo portarono alle navi. Poi stabilirono di tornarsene in patria. Telamone portò via con sé Esione.

 

Nella prima sezione,”Darete frigio” rievoca la prima distruzione di Troia, attribuita agli Argonauti. Delle loro vicende si erano occupati Euripide e Seneca con le loro tragedie, Apollonio Rodio e il suo imitatore latino Valerio Flacco con i loro poemi epici, l’onnipresente Ovidio nelle Metamorfosi e nelle Heroides. Darete non dà alcuno spazio a Medea, come ad altre componenti mitiche della vicenda: è evidente il suo intento di avvalorare gli aspetti “storici” del suo racconto e la sua credibilità come testimone diretto degli eventi. Gli imitatori medievali si rifanno ad altre fonti per raccontare invece diffusamente dell’amore tra Giasone e Medea e delle conseguenze nefaste di questa relazione immorale, indulgendo anche a qualche tentazione erotica velata da considerazioni moralistiche: è questo un vero e proprio ”roman” ed essi non se lo lasciano sfuggire. Anche Giasone scompare totalmente dopo il vello d’oro, protagonista diviene Eracle che punisce l’arroganza di Laomedonte uccidendo lui e i suoi figli tranne Priamo e cedendo Esione come preda di guerra a Telamone. Saranno questi pretesti a determinare la seconda distruzione della città ad opera degli Achei.

 

2. La ricostruzione di Troia e i preparativi di guerra

Quelli che seguono sono i capitoli 4-9, passim, dell’Iliade di Darete. Anche qui non mancano le modifiche non secondarie della vulgata omerica, come annoteremo in calce.

 

[4] Appena questo fu annunciato a Priamo, che il padre era stato ucciso, i cittadini depredati, il bottino portato via, la sorella Esione data in dono a Telamone, mal sopportò che la Frigia fosse stata trattata così offensivamente dai Greci. Si reca a Troia con la moglie Ecuba, e i figli Ettore, Alessandro, Deifobo, Eleno, Troilo, Andromaca(!), Cassandra, Polissena. Veramente c’erano anche altri figli nati da concubine, ma nessuno ha detto che siano di stirpe reale se non quelli che erano nati dalle mogli legittime. Priamo appena venne a Troia non perse proprio tempo, fece le mura più grandi, e rese la città fortificatissima; e vi fece stare un gran numero di soldati, perché per ingenuità non fosse distrutta, così come era stato distrutto suo padre Laomedonte. Costruì anche la reggia, e vi consacrò un altare a Giove Statore. Mandò Ettore in Peonia. Fece per Ilio delle porte, i cui nomi sono questi: Antenoria, Dardania, Ilia, Scea, Timbrea, Troiana. Poi, quando vide rafforzata Ilio, aspettò del tempo. Quando gli sembrò opportuno vendicare le offese al padre, ordina di chiamare Antenore, gli dice di volerlo mandare come ambasciatore in Grecia a dire che, pur avendo dovuto sopportare le gravi offese fattegli da quelli che erano venuti con l’esercito con l’uccisione del padre Laomedonte, e con il ratto di Esione, tuttavia egli avrebbe sopportato tutto con rassegnazione, se gli veniva restituita Esione. [5] Antenore, come ordinò Priamo, si imbarcò, e partito andò a Magnesia da Peleo. Peleo lo ospitò per tre giorni, e il quarto gli chiede perché sia venuto. Antenore dice quel che gli era stato comandato da Priamo, di chiedere ai Greci di restituire Esione. Quando Peleo udì queste cose, la prese male, perché vedeva che la cosa coinvolgesse lui: gli ordina di andarsene dalle sue terre. Antenore senza indugio s’imbarcò, fece rotta verso Salamina da Telamone: cominciò a chiedergli di restituire a Priamo la sorella Esione: non era infatti giusto tenere così a lungo in schiavitù una fanciulla di stirpe reale. Telamone rispose ad Antenore che lui a Priamo non aveva fatto nulla: ma che non darà a nessuno ciò che gli è stato donato per il suo valore. Perciò ordina ad Antenore di andar via dall’isola. Portatosi poi da Castore e Polluce, cominciò a chiedere a questi di dar soddisfazione a Priamo e di restituirgli la sorella Esione. Castore e Polluce dissero che a Priamo non era stata fatta nessuna offesa, ma che Laomedonte per primo li aveva danneggiati. Ordinano ad Antenore di partire. Poi andò a Pilo da Nestore, disse a Nestore per quale ragione fosse venuto. Appena questi lo sentì, cominciò a rimproverarlo di aver osato venire in Grecia, quando dai Frigi i Greci erano stati offesi prima. Quando Antenore sentì di non aver ottenuto nulla, e che Priamo veniva trattato in modo offensivo, si imbarcò, tornò in patria. Riferisce al re Priamo come ognuno abbia risposto e come sia stato trattato da loro: e insieme esortò Priamo a punirli con la guerra. [6] Priamo fa subito chiamare i figli e tutti i suoi amici, Antenore, Anchise, Enea, Ucalegonte, Bucolione, Panto, Lampone, e tutti i figli che gli erano nati da concubine. Quando questi vennero tutti, disse loro di aver mandato Antenore come ambasciatore in Grecia, per aver soddisfazione del fatto che gli avevano ucciso il padre e perché gli restituissero Esione: ma quelli lo avevano trattato in modo offensivo, e Antenore non aveva ottenuto nulla da loro. Ma, poiché non avevano voluto fare la sua volontà, gli sembrava opportuno mandare in Grecia un esercito che rapinasse loro ricchezze, perché i Greci non avessero a scherno i barbari. E Priamo esortò i suoi figli a mettersi a capo di questa impresa, soprattutto Ettore: era infatti il più grande: e questi cominciò a dire che certo voleva eseguire la volontà del padre, e vendicare la morte del suo avo Laomedonte e che, qualsiasi offesa i Greci avessero fatto ai Troiani, ciò non restasse impunito: ma temeva che non potessero portare a termine ciò che avrebbero tentato; disse che molti sarebbero stati gli alleati della Grecia, che l’Europa aveva uomini bellicosi; l’Asia invece aveva sempre vissuto nell’ozio, e per questo non aveva una flotta. [7] Alessandro cominciò ad esortare, che si prepari la flotta e la si mandi in Grecia: sarebbe stato lui il capo di quella impresa, se il padre voleva. Disse infatti che, essendo andato a caccia sull’Ida, in sogno Mercurio gli aveva portato Giunone, Venere, Minerva, perché tra loro scegliesse la più bella. E allora Venere gli aveva promesso che, se giudicava il suo aspetto migliore dell’aspetto di queste, lei gli avrebbe dato in moglie quella che in Grecia pareva la più bella; e lui, appena aveva sentito questo, aveva giudicato Venere la più bella: per cui Priamo doveva sperare che Venere sarebbe stata alleata ad Alessandro. Deifobo disse che gli piaceva il consiglio di Alessandro, e di sperare che i Greci avrebbero restituito Esione, e avrebbero dato soddisfazione, se, come era stato disposto, la flotta fosse inviata in Grecia. Eleno prese a vaticinare che i Greci sarebbero venuti, avrebbero distrutto Troia, genitori e fratelli sarebbero morti per mano dei nemici, se Alessandro si fosse portato una moglie dalla Grecia. Troilo, il più piccolo, non meno forte di Ettore, consigliava che si facesse la guerra, e diceva che non ci si doveva far atterrire dal timore delle parole di Eleno, e questo piacque a tutti, che si preparasse la flotta, e si partisse per la Grecia. [8] Priamo mandò in Peonia Alessandro e Deifobo, a scegliere i soldati; fa venire il popolo ad assemblea. Ammonisce i figli, perché i maggiori comandassero ai minori. Spiegò quali offese i Greci avessero fatte ai Troiani: che per ciò Antenore era stato inviato come ambasciatore in Grecia, perché gli restituissero sua sorella Esione, e dessero soddisfazione ai Troiani. Antenore però era stato trattato da loro in modo offensivo, né aveva potuto ottenere alcunché. Per questo aveva deciso che Alessandro fosse inviato con una flotta in Grecia, a vendicare la morte del suo avo e le offese ai Troiani. Ordinò che Antenore spiegasse come era stato trattato in Grecia. Antenore esortò i Troiani a non aver paura, e rese i suoi più desiderosi di andare a combattere in Grecia. Con poche parole spiegò le cose che aveva fatte in Grecia. Priamo disse che, se a qualcuno spiaceva che si facesse la guerra, dicesse pubblicamente cosa voleva. Allora Panto proclama a Priamo e ai suoi parenti quello che aveva udito da suo padre Euforbo: se Alessandro avesse portato con sé una moglie dalla Grecia, per i Troiani sarebbe stata l’estrema rovina. Ma era più bello passare la vita nella pace che perdere la libertà nella lotta civile, e affrontare un rischio. Il popolo disprezzò l’autorevole intervento di Panto: ordinarono che il re dicesse cosa voleva si facesse. Priamo disse che si dovevano preparare le navi, perché si andasse in Grecia; anche gli attrezzi per costruire la flotta non mancavano al popolo. Il popolo gridò che per parte sua non c’era motivo di indugio perché si obbedisse agli ordini del re. Priamo li ringraziò molto, e congedò l’assemblea. E subito mandò nella selva sull’Ida chi tagliasse legname, e costruisse navi. Mandò Ettore nella Frigia superiore, a preparare l’esercito: e così si tenesse pronto. Cassandra, quando udì la decisione del padre, cominciò a dire le cose che sarebbero accadute ai Troiani, se Priamo insisteva a mandare la flotta in Grecia. [9] Intanto venne il momento: le navi furono costruite. Arrivarono i soldati che Alessandro e Deifobo avevano arruolato in Peonia; e appena parve che fosse possibile navigare, Priamo parla all’esercito: mette Alessandro a capo dell’esercito come comandante, manda con lui Deifobo, Enea, Polidamante. E ordina ad Alessandro di andare per prima cosa a Sparta, incontrare Castore e Polluce, e chieder loro, che sia restituita Esione sua sorella e che si dia soddisfazione ai Troiani. Se lo avessero negato, mandi subito da lui un messo, in modo che egli possa mandare l’esercito in Grecia…

 

Priamo dunque, assente quando gli Argonauti, senza Giasone ma con Eracle, avevano distrutto Troia, ucciso Laomedonte e rapito Esione, al suo rientro ricostruisce grandiosamente Troia. Inspiegabile l’inserimento di Andromaca tra i figli suoi e di Ecuba, dovuto forse a qualche glossa della tradizione manoscritta: anch’egli in seguito ne parlerà come della moglie di Ettore, non più come di una sua sorella, ma tutti gli imitatori senza batter ciglio incorrono nel medesimo errore…Viene poi raccontata l’inutile ambasceria di Antenore in Grecia per riottenere almeno Esione e la decisione di condurre una guerra in Grecia di cui non abbiamo alcuna notizia nella tradizione omerica. Alle perplessità di Ettore replica Paride, che vanta l’appoggio di Venere grazie al giudizio sulla bellezza delle tre dèe, ridotto qui razionalisticamente ad un sogno: tutti gli imitatori medievali ne seguiranno fedelmente le tracce. Paradossalmente il cronista degli eventi troiani rinuncia ai dati mitologici prima che “Omero” li inventi…Superando le contrarietà profetiche di Panto, Eleno e Cassandra la spedizione viene preparata e a Paride Priamo affianca Deifobo, Enea e Polidamante, che avranno ruolo centrale nelle vicende conclusive del conflitto. Ma il compito che essi hanno è recarsi in Grecia e esigere fermamente la restituzione di Esione: in caso di risposta negativa, ne informeranno Priamo e avrà inizio quell’invasione della Grecia che il ratto di Elena renderà superfluo. Il filogreco Ditti, l’altro “testimone”, segue invece più da vicino il racconto “omerico” e presenta Paride come l’adultero traditore della nobile ma ingenua ospitalità di Menelao.

 

3. Paride ed Elena. Calcante.

Proseguiamo la lettura analitica del testo di Darete(capp. 9-16, passim) occupandoci del rapimento di Elena, che scatena la reazione greca, e dell’incontro a Delfi tra Achille e Calcante, del quale viene proposta una sorprendente identità. Segue il racconto delle prime fasi della spedizione greca e la “presentazione” dell’autore.

{9}…Allora Alessandro si mise in mare verso la Grecia, e prima che giungesse all’isola di Citerea, il re Menelao, andando a Pilo da Nestore, nel tragitto si incrociò con Alessandro, e si chiedeva meravigliato dove si dirigesse quella flotta regale. Entrambe incrociandosi si videro a vicenda, ignari dove ognuno andasse. Castore e Polluce erano andati da Clitennestra, e avevano portato con loro la loro nipote Ermione, figlia di Elena. Ad Argo era festa in quei giorni, nei quali Alessandro arrivò all’isola di Citerea, dove sacrificò a Diana nel tempio di Venere. Quelli che erano nell’isola ammiravano la flotta regale, e chiedevano a quelli che erano con Alessandro, chi fossero, perché fossero venuti. Essi risposero che era stato mandato da Priamo un ambasciatore a Castore e Polluce, per incontrarli. [10] Però Elena, la moglie di Menelao, essendo Alessandro nell’isola di Citerea, decise di andarci. Perciò si recò verso il lido, dov’era il tempio di Diana e Apollo: lì Elena aveva deciso di fare il sacrificio. Appena ciò fu annunziato ad Alessandro, che cioè Elena era venuta sulla spiaggia, egli, consapevole della sua bellezza, cominciò a passeggiare al suo cospetto, desiderando di di vederla. Ad Elena fu riferito che Alessandro, figlio del re Priamo, era venuto nella città dove si trovava Elena. E anche lei desiderava vederlo. Ed essendosi guardati entrambi, ambedue, infiammati della loro bellezza, fissarono un appuntamento per ringraziarsi. Alessandro ordina che tutti sulle navi stiano pronti: salpino di notte, rapiscano Elena dal tempio, la portino via con loro. Dato il segnale invasero il tempio, rapiscono Elena senza farle danno, la portano sulla nave, e con lei rapiscono alcune donne. Avendo i cittadini visto ciò, a lungo combatterono con Alessandro, perché non potesse rapire Elena. Ma Alessandro fidando nel gran numero di alleati li sconfisse, saccheggiò il tempio, portò via con sè moltissimi uomini come prigionieri, li fece salire sulla nave, salpò, dispose di tornare in patria, giunse nel porto di Tenedo, dove calmò con un colloquio Elena mesta, mandò al padre l’annuncio dell’impresa. Quando la cosa fu riferita a Menelao a Pilo, egli con Nestore partì per Sparta, mandò un messo ad Argo dal fratello Agamennone, pregandolo di venire da lui. Intanto Alessandro giunse dal padre suo con la preda e gli riferisce per filo e per segno l’impresa. [11] Priamo fu contento, sperando che i Greci per recuperare Elena avrebbero restituito sua sorella Esione, e le cose che allora avevano sottratte ai Troiani. Consolò Elena mesta e la diede in sposa ad Alessandro: ma appena Cassandra la vide, cominciò a vaticinare, ricordando quel che aveva predetto prima. E Priamo ordinò di portarla via e rinchiuderla. Agamennone, quando arrivò a Sparta, consolò il fratello, e si decise di mandare per tutta la Grecia a far rimostranze per convocare i Greci e dichiarar guerra ai Troiani. E si radunarono questi: Achille con Patroclo, Eurialo, Tlepolemo, Diomede. Quando giunsero a Sparta, decisero di punire le offese dei Troiani, di preparare esercito e flotta. Come comandante supremo e duce, scelgono Agamennone. Questi mandano ambasciatori, perché da tutta la Grecia convengano con flotte ed eserciti, ben equipaggiati, al porto degli Ateniesi contemporaneamente, e contemporaneamente di là partano alla volta di Troia, per vendicare le offese ricevute. Castore e Polluce subito, appena sentirono che la loro sorella Elena era stata rapita, si imbarcarono e la inseguirono. Salparono da Lesbo, ma sorpresi da una grandissima tempesta non comparvero più da nessuna parte: poi si disse che erano diventati immortali. E che perciò i Lesbii con navi andarono fino a Troia per cercarli, e riferirono in patria di non aver trovato tracce di loro in nessun posto. [12] Darete Frigio, che ha scritto questa storia, afferma di aver militato fin quando Troia non è stata conquistata: e di averli visti in occasione delle tregue, e che in parte parteciparono alla battaglia. Aggiunge di aver udito dai Dardani di che aspetto e natura fossero stati Castore e Polluce. Furono l’uno simile all’altro, con capelli biondi, occhi grandi, di bell’aspetto, di corporatura slanciata. Elena era simile a loro, formosa, di animo semplice, affettuosa, dalle gambe molto belle, con una nota tra le due sopracciglia, la bocca piccola…[15] Quando furono convenuti ad Atene, Agamennone convoca in consiglio i capi e li esorta a vendicare quanto prima le offese ricevute. Chiede se piaccia loro, e li persuade, mandare a consultare Apollo a Delfi su tutta la faccenda: e tutti concordano con lui. A ciò viene destinato Achille, e parte con Patroclo. Priamo intanto, come sentì che i nemici sono pronti, manda per tutta la Frigia ad arruolare truppe dei popoli confinanti, e procura in patria con grande ardore i soldati. Giunto a Delfi, Achille va all’oracolo e dai penetrali gli si risponde che i Greci saranno vincitori e nel decimo anno conquisteranno Troia. Achille compie i sacrifici, così come gli era stato ordinato. In quella circostanza era venuto anche Calcante, figlio di Testore, indovino; e, mandato dal suo popolo, portava doni ad Apollo in favore dei Frigi. A lui dai penetrali si risponde di partire con la flotta dei soldati Argivi contro i Troiani e con la sua capacità divinatoria li spinga a non ripartire prima che Troia sia stata conquistata. Quando si venne al tempio, Achille e Calcante confrontarono tra loro i responsi: felici dell’antico patto ospitale, confermano l’amicizia, partono insieme per Atene e vi giungono. Gli Argivi esultano, accolgono tra loro Calcante, salpano. Poiché le tempeste li trattenevano, Calcante dal volo degli uccelli diede il responso che prima ritornino in Aulide, per sacrificare a Diana. Partiti, vi giungono. Agamennone placa Diana, e dice agli alleati che salpino e facciano il viaggio verso Troia. Si servono come guida di Filottete, che era andato a Troia con gli Argonauti. Poi approdano ad un fortilizio, che era sotto il dominio del re Priamo, e lo espugnano: e, fatto bottino, partono: arrivano a Tenedo, e qui uccidono tutti.

 

Nei capitoli 9-11 Darete traccia le linee generali del romanzo d’amore tra Paride ed Elena che verrà abilmente amplificato dai suoi imitatori medievali: diversamente dalla vulgata ”omerica” Menelao ed Elena non sono a Sparta, e Paride, dimentico della sua missione e del mandato di Priamo, va a Citera, l’isola sacra a Venere dopo il fugace incontro della sua flotta con la nave di Menelao. Lì giunge anche Elena, per un sacrificio a Diana: i due si incrociano volutamente sulla spiaggia, si innamorano all’istante e Paride la rapisce non senza aver rubato il tesoro sacro. Le fonti tradizionali riferiscono questi eventi alla città fenicia di Sidone.

 

Darete riferisce anche del dolore tardivo di Elena, che Paride riesce agevolmente a placare anche grazie allo strano matrimonio celebrato, non si sa a che titolo, da Priamo.

Intanto i Greci (capitoli 11-16) si organizzano sotto la guida di Agamennone e Menelao. Da notare anche il risvolto razionalistico relativo ai fratelli di Elena, i due Dioscuri, già segnalato nel Ciclo, che l’autore afferma di aver visto a Troia e quindi non esser morti nella tempesta e tanto meno avere natura divina. Darete si presenta e, sulle orme di Omero, descrive le flotte e gli eroi greci e troiani, con ritratti in qualche caso sconcertanti (chi volesse leggerli può trovarli su questo sito). Segue la missione di Achille a Delfi per conoscere da Apollo l’esito e la durata del conflitto: ma rilevante è soprattutto il personaggio di Calcante, qui presentato come inviato di Priamo per lo stesso motivo, il singolare responso del dio e il suo conseguente passaggio ai Greci. Dagli imitatori medievali egli sarà descritto come traditore, vescovo, padre di Briseide-Criseide e darà corpo alla vicenda d’amore descritta da Boccaccio, Chaucer e Shakespeare per cui vi invito a visitare le note di mitologia. Da rilevare anche che nessuno spazio è dato da Darete alla vicenda di Ifigenia in Aulide, qui rievocata con un vago accenno, e che guida della flotta a Troia è Filottete, che come Nestore era stato compagno degli Argonauti nella prima distruzione di Troia. Ditti invece darà questo compito a Telefo, la cui vicenda, sfrondata dei particolari mitici, era oggetto del capitolo 16 qui omesso.

 

4. Palamede. La morte di Ettore.

Dopo il fallimento dell’ambasceria greca a Troia(17) scattano le prime operazioni di guerra, cui partecipa anche Palamede, giunto in ritardo ma già determinante nel conflitto (18-19). Vengono quindi elencati gli alleati e i duci troiani e sono descritte le fasi dello sbarco e della prima battaglia, con la morte di Protesilao per mano di Ettore, sfrondata di ogni particolare mitico. Il giorno successivo è segnato dalla morte di Patroclo, ben diversa dal racconto omerico, come è facile rilevare. Seguono i funerali dei due eroi greci e la tenace determinazione di Palamede di scalzare dal comando supremo Agamennone. La terza battaglia(21-23) vede il duello tra Paride e Menelao, anche qui poco legata al racconto di Omero; si alternano quindi tregue incredibilmente lunghe (una addirittura di tre anni!) e sanguinosi scontri, che preludono alla morte di Ettore per mano di Achille(24). La vicenda ha il tono e i colori di un romanzo,  e così lo descriveranno gli imitatori medievali che ne accentueranno gli aspetti patetici e drammatici, soprattutto nella descrizione di Andromaca. Nonostante la prevalenza dei Greci Palamede riesce finalmente a sostituirsi ad Agamennone (25):questo personaggio, sostanzialmente ignoto ad Omero, ha in Darete lo strano effetto di vedere d’accordo i due grandi avversari dell’Iliade, e dell’ira che apriva il grande poema non c’è qui nessuna traccia.

 

[17] Intanto gli ambasciatori inviati arrivano da Priamo. Ulisse riferisce le parole di Agamennone, chiede che Elena e il bottino siano restituiti, si dia soddisfazione al re per partire pacificamente. Priamo ricorda le offese degli Argonauti, la morte del padre, l’espugnazione di Troia e la schiavitù della sorella Esione. Infine, quando mandò Antenore come ambasciatore, quanto offensivamente sia stato trattato da loro. Ripudia la pace, dichiara la guerra, ordina di respingere dai confini gli ambasciatori dei Greci. Gli ambasciatori ritornano a Tenedo nell’accampamento, annunciando il responso. La faccenda viene portata in consiglio. [18] C’erano invero ad aiutare Priamo questi duci con i loro eserciti: abbiamo ritenuto giusto inserirne qui i nomi e i regni... A questi condottieri ed eserciti che si preparavano Priamo pose a capo come comandanti in capo Ettore, Deifobo, Alessandro, Troilo, Enea, Memnone. Mentre Agamennone decide su tutta la questione, da Cormo giunse il figlio di Nauplio Palamede, con trenta navi. Egli si scusò di non essere potuto venire ad Atene perché ammalato: e tuttavia era venuto non appena aveva potuto. Lo ringraziano, e lo pregano di far parte del consiglio.[19] Poi, non essendo chiaro agli Argivi se si dovesse fare irruzione verso Troia occultamente di notte o durante il giorno, Palamede li persuade, e ne dà ragione, che conviene che la scalata verso Troia avvenga di giorno, e che così la schiera di nemici sia spinta ad uscire dalla città. E così tutti approvano: deliberano e mettono Agamennone a capo dell’impresa... Dato il segnale, salpano, e tutta la flotta schierata in larghezza si avvicina a Troia, e i Troiani energicamente difendono gli approdi. Protesilao sbarca sul lido, mette in fuga e fa strage. Gli si fece contro Ettore, e lo uccise, e scompigliò gli altri: da dove Ettore si allontanava, là i Troiani erano messi in fuga. Dopo che da entrambe le parti era stata fatta grande strage, sopraggiunse Achille: egli volse in fuga tutto l’esercito e li risospinse in Troia. La notte scioglie il conflitto, Agamennone fa sbarcare l’esercito, allestisce l’accampamento. Il giorno dopo Ettore fa uscire l’esercito dalla città, e lo schiera. Agamennone gli si fa contro con gran clamore: la battaglia si fa aspra e irosa: tutti i più forti cadono nelle prime file. Ettore uccide Patroclo, e si appresta a spogliarlo. Merione lo sottrasse al combattimento perché non venisse spogliato. Ettore insegue Merione e lo uccide. Voleva allo stesso modo spogliarlo, ma sopraggiunge in aiuto Mnesteo e ferisce Ettore al femore: anche ferito egli uccide molte migliaia: e avrebbe perseverato a mettere in fuga gli Achei, se non lo avesse affrontato Aiace Telamonio: mentre combatteva con lui, capì che era del suo stesso sangue, era infatti nato da Esione sorella di Priamo. Per questo vincolo di sangue Ettore ordinò che si rimovesse il fuoco dalle navi, ed entrambi si scambiarono doni, e si separarono da amici. Il giorno dopo i Greci chiedono una tregua.[20] Achille piange Patroclo, i Greci i loro morti. Agamennone onora Protesilao con un magnifico funerale, fa seppellire gli altri. Achille fa i giochi funebri per Patroclo. Mentre dura la tregua, Palamede non cessa di sobillare la sedizione: disse che Agamennone era un re indegno di esercitare il comando supremo e incapace. E dinanzi all’esercito personalmente espresse i tanti suoi meriti. Innanzitutto elencò la scalata a Troia, la fortificazione dell’accampamento, l’aggiramento delle sentinelle, l’aver dato il segnale, la misurazione di libbre e pesi, e lo schieramento dell’esercito. Avendo fatto tutte queste cose, disse che non era giusto, essendo stato da pochi conferito ad Agamennone il comando supremo, che egli comandasse a tutti quelli che fossero venuti dopo: soprattutto ora che tutti avevano visto capacità e valore nei propri comandanti. Mentre gli Achei contendono tra loro a vicenda sul comando supremo, la guerra fu ripresa dopo due anni…[21] E fattosi giorno Ettore, Enea e Alessandro fanno uscire l’esercito. Tutti gli Achei avanzano. Avviene una grande strage. Molte migliaia vengono mandati all’Orco da una parte e dall’altra. Menelao cominciò ad inseguire Alessandro: girandosi a guardarlo Alessandro trafigge con una freccia il femore di Menelao. Quello, spinto dal dolore, insieme con Aiace Locrese non cessa di inseguirlo. Appena Ettore li vide incalzare suo fratello, gli viene in aiuto con Enea. Enea lo coprì con lo scudo, e lo portò con sé dalla battaglia in città. La notte dirime la battaglia…[22] … Agamennone, quando vide molte migliaia di soldati cadere ogni giorno, e che non ce la faceva a dare gli onori funebri ai caduti senza interruzione, mandò come ambasciatori a Priamo Ulisse e Diomede, a chiedere una tregua di tre anni, per poter dare onori funebri ai suoi, e curare i feriti, e riparare le navi, e procurare le vettovaglie. Ulisse e Diomede vanno di notte come ambasciatori: va loro incontro il troiano Dolone. Ed essendo richiesti per quale motivo fossero venuti così armati di notte in città, dissero di essere stati mandati come ambasciatori da Agamennone a Priamo. E appena Priamo sentì del loro arrivo e che avevano chiesto di vederlo, convoca in consiglio tutti i duci. Riferisce loro che sono venuti ambasciatori da parte di Agamennone, e che chiedono una tregua di tre anni. Ad Ettore pare sospetto che avessero richiesto un tempo così lungo. Priamo ordina che ciascuna esprima il suo parere: e tutti furono d’accordo che si desse la tregua per un triennio...[23] Sopraggiunse dopo il triennio il tempo della battaglia…Priamo, come vide che molte migliaia di uomini del suo esercito erano caduti, manda ambasciatori ad Agamennone, per chiedere una tregua di sei mesi. E su parere del consiglio Agamennone concede la tregua...[24] Ma quando sopraggiunse il momento della battaglia, Andromaca, la moglie di Ettore, vide in sogno che Ettore non dovesse andare in battaglia: e riferendogli ella il sogno, Ettore respinge quelle parole da donnette. Andromaca mesta mandò a chiedere a Priamo di proibirgli di combattere quel giorno. Priamo ordina di chiamare Eleno, Alessandro, Troilo, Enea e Memnone, perché andassero essi in battaglia: e in battaglia li mandò. Ettore appena lo seppe, rimproverando molto Andromaca, chiese le armi per indossarle, e in nessun modo potè essere trattenuto. Mesta Andromaca con i capelli sciolti, protendendo il figlio Astianatte davanti ai piedi di Ettore, non riuscì a richiamarlo. Allora con il suo pianto femmineo scuote la città, corre da Priamo nella reggia, racconta quel che ha visto in sogno, e che Ettore vuole andare in battaglia e che non lo si riesce a richiamare neppure spingendo suo figlio alle sue ginocchia. Priamo ordinò che tutti gli altri avanzassero in battaglia, e trattenne Ettore. Agamennone, Diomede, Achille, Aiace Locrese appena videro che Ettore non era uscito, combatterono aspramente e uccisero molti duci dei Troiani. Ettore, appena udì il tumulto nello scontro, e che senza di lui i Troiani erano in difficoltà, proruppe in battaglia… appena Achille lo scorse e vide tanti valorosissimi duci uccisi da lui, dirigeva contro di lui la sua attenzione, per farglisi contro. Calcolava infatti Achille che, se egli non uccideva Ettore, parecchi tra i Greci sarebbero periti per mano sua. Molte migliaia di uomini intanto vengono trucidati. Si ingaggia un’aspra battaglia. Ettore uccide Polipete, fortissimo condottiero, e avendo cominciato a spogliarlo sopravvenne Achille. La battaglia si fa più intensa, e si leva un clamore dalla città e da tutto l’esercito. Ettore ferisce il femore di Achille. Egli nonostante il dolore patito ancor più prende a inseguirlo né desistette se non uccidendolo. Ucciso il quale volse in fuga i Troiani, e con grandissima strage li volse in fuga fino alla porta della città…Achille torna ferito dalla battaglia. Nella notte i Troiani piangono Ettore.[25] Il giorno dopo Troilo fa uscire dalla città i Troiani contro l’esercito dei Greci…Priamo secondo il suo costume seppellì Ettore davanti alla porta della città, e gli fa fare i giochi funebri. Durante la tregua, Palamede di nuovo non smette di lamentarsi a proposito del comando supremo. Perciò Agamennone cedette alla sedizione, e dice che riguardo a ciò farà volentieri sì che essi eleggessero comandante supremo chi volessero. Il giorno dopo chiama in assemblea il popolo: dice di non esser mai stato bramoso del comando supremo: volentieri lo accettava se volessero darglielo; ma volentieri lo cedeva. Gli basta vendicarsi dei nemici, e stima poco importante per intervento di chi ciò avvenga. Se qualcuno avesse qualcosa da dire, ordina che parli. Palamede si fa avanti, svela le sue intenzioni. E così gli Argivi gli conferiscono il comando supremo. Palamede ringrazia gli Argivi, accetta il comando supremo, lo esercita. Achille condanna l’avvicendamento del comando supremo.

 

5. Polissena. Troilo.

La quinta interesse per le numerose novità rispetto alla vulgata “omerica”. La prima riguarda la storia d’amore tra Achille e Polissena, la bellissima figlia di Priamo ed Ecuba: gli echi di questa vicenda, come qualcuno ricorderà, giungono sino a Dante che include l’eroe tra i lussuriosi pur se riesce difficile motivare così.questa condanna. Questo sentimento, e non la voglia di vendicarsi di Agamennone o magari di Ettore, terrà Achille alternamente vicino o lontano dalla guerra. La seconda novità  è relativa a Palamede: l’eroe, ignoto ad Omero, è riuscito a sottrarre il comando supremo ad Agamennone ma ne godrà per breve tempo: dopo aver ucciso Sarpedonte e Deifobo (anche qui la tradizione omerico-virgiliana pare dimenticata)egli verrà colpito a morte da Paride e Agamennone riprenderà il suo posto. Benché i suoi rapporti con Achille siano improntati a cortesia e lealtà, egli non riuscirà a farlo tornare al fianco dei Greci se non quando i Troiani, guidati ora da Troilo, il più giovane dei figli legittimi di Priamo, prendono decisamente il sopravvento: ma anche se Darete non lo dice esplicitamente il ritorno di Achille è dovuto alla sua irritazione per la mancata consegna di Polissena. Troilo è piuttosto vigliaccamente ucciso da Achille, e i Troiani sono costretti a rifugiarsi in città.

[26] …[27] Quando venne il primo anniversario della sepoltura di Ettore, Priamo, Ecuba e Polissena, e gli altri Troiani, andarono al suo sepolcro. Si imbatte in loro Achille, contempla Polissena, fissa su lei la sua attenzione, cominciò ad amarla fortemente. Allora, spinto dall’ardore, cominciò a consumare nell’amore una vita che gli era ormai odiosa, e mal tollerava che fosse stato tolto il comando supremo ad Agamennone, ma che poi a lui fosse stato preferito Palamede. Costretto dall’amore, dà ad un fedelissimo servo frigio un messaggio da portare ad Ecuba: e gliela chiede in moglie: se lo farà, egli con i suoi Mirmidoni se ne tornerà in patria. E quando lo avrà fatto lui anche gli altri Greci faranno lo stesso. Il servo parte, arriva da Ecuba, riferisce il messaggio: Ecuba rispose di essere d’accordo, ma a condizione che la cosa piaccia a suo marito Priamo: ordina al servo di tornare quando ella abbia parlato con Priamo: il servo riferisce ad Achille quello che aveva fatto... Ecuba parla con Priamo della condizione di Achille. Priamo rispose che non se ne poteva far nulla: non perché lo stimi indegno di parentela; ma perché, se gliela darà, crede che gli altri Greci non se ne andranno: e non è giusto sposare la propria figlia ad un nemico. Perciò, se la voleva, sia fatta una pace senza limiti di tempo, e l’esercito parta e si sanciscano i sacri patti di alleanza. Egli gli darà volentieri la figlia, se e quando questo sia accaduto. Perciò, al servo mandatole da Achille Ecuba dice le stesse cose che aveva discusso con Priamo: e il servo le riferisce a Achille. Achille si lamenta pubblicamente che per una sola donna, Elena, tutta la Grecia e l’Asia siano state tirate in ballo, in tanto tempo tante migliaia di uomini siano periti, tanti rischi si affrontino, la libertà sia in pericolo: perciò bisogna che si faccia la pace, e l’esercito si ritiri. Passò un anno. Palamede fa uscire l’esercito e lo schiera.[28] Deifobo si schiera di fronte. Achille irato non esce a battaglia. Palamede, colta l’occasione, fa impeto contro Deifobo e lo uccide: nasce un’aspra battaglia, da entrambe le parti cadono molte migliaia di uomini. Palamede si aggira nella prima fila, ed esorta i suoi a combattere valorosamente. Contro di lui si lancia Sarpedonte licio, e Palamede lo uccide. Lieto per quest’impresa, si aggira nel campo. Ma mentre esulta e si vanta Paride Alessandro gli trafigge il collo con una freccia. I Frigi se ne accorgono, lanciano dardi, e così Palamede viene ucciso. Ucciso il re, gli Argivi cedono, i Troiani li inseguono, assalgono l’accampamento, incendiano le navi, tutti fanno pressione, vilmente gli Achei girano le spalle, si rifugiano nell’accampamento. La cosa fu riferita ad Achille: fa finta di niente. Aiace Telamonio lotta valorosissimamente: la notte dirime il conflitto. Gli Argivi nell’accampamento piangono la perizia, l’equità, la bontà, la clemenza di Palamede.[29] I Troiani piangono Sarpedonte e Deifobo. Nestore, che era il più anziano, di notte chiama i duci a consiglio, li persuade ed esorta a eleggere un comandante supremo, e che, se sembra loro opportuno, lo stesso Agamennone può diventarlo con minimo dissenso. Contemporaneamente rammenta loro che, fin quando era lui comandante supremo, le cose sono andate in maniera positiva, e l’esercito era stato abbastanza contento: se a qualcuno sembra altrimenti, esorta a dirlo. Tutti concordano; eleggono Agamennone comandante supremo. Il giorno dopo i Troiani escono festanti dalla città in battaglia. Agamennone fa uscire contro di loro l’esercito: attaccata battaglia, entrambi gli eserciti alternamente sono messi in fuga. Quando passò la maggior parte del giorno, avanza tra i primi Troilo, uccide, devasta, mette in fuga gli Argivi nell’accampamento. Il giorno successivo i Troiani fanno uscire l’esercito: Agamennone si schiera contro di loro. Avviene una grande strage: entrambi gli eserciti si scontrano, nasce un’aspra battaglia. Troilo uccise molti duci degli Argivi. Si combatte nei sette giorni successivi. Agamennone chiede una tregua per due mesi. Seppellisce Palamede con un magnifico funerale, e gli uni e gli altri curano la sepoltura degli altri comandanti e soldati.[30] Agamennone, durante la tregua, manda da Achille Nestore, Ulisse, Diomede, perché gli chiedessero di rientrare nella guerra. Achille rifiuta, triste, perché aveva già deciso di non rientrare in guerra, giacché aveva promesso ad Ecuba di non combattere, poiché amava molto Polissena. All’inizio accolse male quelli che erano venuti da lui, dicendo che bisognava che si facesse una pace duratura: tanti pericoli si determinavano per una sola donna, la libertà era a rischio, egli non si fidava di tempi così lunghi: chiede la pace, rifiuta la guerra. Ad Agamennone viene riferito cosa si sia concluso con Achille, e che egli tenacemente diceva di no. Agamennone convoca in consiglio tutti i duci, consulta l’esercito su cosa si debba fare, ordina di dire ciò che ad ognuno sembri opportuno. Menelao cominciò ad esortare suo fratello perché piuttosto l’esercito esca in battaglia, dicendo che non ci si deve atterrire, se Achille si è tirato fuori: egli tuttavia cercherà di persuaderlo a rientrare in guerra, ma non ha paura se egli non vorrà. Ricorda che i Troiani non hanno un altro eroe tanto valoroso quanto lo è stato Ettore. Diomede e Ulisse cominciarono a dire che Troilo era eroe non meno forte di Ettore, e così opponendosi a Menelao impedivano che la guerra si facesse. Calcante in seguito al rito augurale diede il responso di dover combattere, e non preoccuparsi che i Troiani sono recentemente stati superiori in battaglia. [31] …Troilo ferisce Menelao, uccide molti, costringe gli Argivi alla fuga nell’accampamento. La notte dirime il conflitto. Il giorno dopo…Troilo ferisce Diomede: fa un assalto contro Agamennone, e lo ferisce al volto, fa strage degli Argivi. Per alquanti giorni si combatte aspramente…Agamennone… manda a chiedere una tregua per sei mesi…: si fa una tregua di sei mesi... Durante la tregua, Agamennone secondo il parere del consiglio va da Achille con Nestore, per chedergli di rientrare in guerra. Achille, triste, cominciò a dire che non vi sarebbe rientrato, e a lamentarsi che bisognasse chiedere la pace: ma comunque, visto che non potrebbe negare nulla ad Agamennone, quando fosse giunto il momento della battaglia, avrebbe mandato i suoi soldati: lo considerasse scusato per la sua astensione dalla battaglia. Agamennone lo ringrazia. [32]… [33] Venne il momento della battaglia…Achille appena vide Troilo incrudelire in quel modo, e infierire sugli Argivi, e insieme senza interruzione abbatterli, gli Argivi in difficoltà, balzò in battaglia. Subito lo sorprende Troilo, e lo ferisce. Achille ritorna ferito dalla battaglia: si combatte per sei giorni continui. Il settimo giorno, mentre l’uno e l’altro esercito, attaccata battaglia, era messo in fuga, Achille, che per alcuni giorni ferito non era venuto in battaglia, schiera i Mirmidoni. Li esorta e sprona a fare fortemente assalto contro Troilo. Quando fu passata la maggior parte del giorno, avanza Troilo a cavallo, esultante. Gli Argivi con gran clamore fuggono. Sopraggiunsero i Mirmidoni, fanno assalto contro Troilo, e molti di loro sono uccisi da Troilo. Mentre si combatte aspramente, il cavallo di Troilo, ferito, cade e sbalza Troilo che è rimasto impigliato. Subito accorrendo Achille lo uccide e comincia a trascinarlo fuori dalla battaglia. E ci sarebbe riuscito, se non glielo avesse strappato Memnone, e non avesse ferito Achille. Achille ferito torna dalla battaglia nell’accampamento. Memnone lo insegue e con molti lo assale. Quando Achille lo vide, si fermò: e così, curata la ferita, e dopo un duello alquanto lungo, uccise Memnone con molti colpi, e egli stesso ferito da lui si allontanò dalla battaglia. Quando il duce dei Persiani fu ucciso e l’esercito dei Troiani fu sbaragliato, i superstiti si rifugiarono in città, e chiusero le porte: la notte dirime lo scontro…

 

6. La morte di Achille. Pentesilea.

In questa sezione, la penultima, della cronaca di Darete si delineano le vicende conclusive del conflitto. La prima è quella della morte di Achille, che per molti lettori è legata alla mitica invulnerabilità dell’eroe, tranne il tallone che Paride-o secondo altri mitografi Apollo-colpisce con una freccia: qui invece sono il desiderio di vendetta di Ecuba e l’empia condotta di Paride a determinarla. E Achille muore ingannato inesorabilmente dal suo amore per Polissena, come ricorderanno i lettori di Achille, amore e morte. Su consiglio di Eleno, il suo cadavere verrà riconsegnato ai Greci, che lo ricompenseranno con la vita alla fine del conflitto: grato gli sarà soprattutto Neottolemo, il figlio dell’eroe, chiamato a prenderne il posto. Ritroveremo Eleno, con Andromaca, re in Epiro nell’Eneide virgiliana. Segue il racconto del duello e della reciproca uccisione di Aiace e Paride, ben lontano da quello tradizionale, e la vicenda patetica di Pentesilea, la valorosa regina delle Amazzoni, venuta in soccorso di Priamo e già illustrata ai nostri lettori con la ricerca Viddi Camilla e la Pentesilea. Il crollo delle speranze troiane alimenta la secessione che sfocerà nel tradimento e nella distruzione della città.

[34] Ecuba, mesta perché i suoi due figli più forti, Ettore e Troilo, erano stati uccisi da Achille, prese una decisione temeraria tipicamente femminile per vendicare il suo dolore. Chiama il figlio Alessandro, lo prega, lo esorta a vendicare lei e i suoi fratelli, a tendere un agguato ad Achille e ucciderlo quando meno se lo aspetta: giacché le ha mandato un messaggero, e le ha chiesto che gli fosse data in sposa Polissena, ella gli manderà a dire a nome di Priamo di firmare tra loro pace e alleanza, e lo stabiliscano nel tempio di Apollo Timbreo, davanti alla porta: là Achille verrà, parlerà: lì si può porre l’agguato: basta alla sua vita se lo ucciderà. Poiché Alessandro era temerario, subito promise che lo avrebbe fatto. Di notte vengono condotti là i più forti dell’esercito, e vengono posti nel tempio di Apollo; ricevono la parola d’ordine. Ecuba manda un messaggero ad Achille, a nome di Priamo, come aveva stabilito. Achille esultante, amando Polissena, decide di andare l’indomani al tempio. E il giorno dopo con Antiloco, figlio di Nestore, venne al posto stabilito, ed appena entrò nel tempio dall’agguato gli corrono contro. Da ogni parte lanciano dardi: Paride Alessandro li incita. Achille con Antiloco, col braccio sinistro coperto dallo scudo, col destro tenendo la spada, fa impeto. Achille uccide molti. Alessandro trafigge Antiloco ed Achille con molte ferite. Così Achille per un agguato, invano comportandosi valorosamente, perse la vita: e Alessandro ordina che sia portato via, e sia gettato in pasto agli uccelli. Ma Eleno lo vieta, ricordando molte cose, e ordina che essi vengano portati fuori dal tempio e consegnati ai loro compagni. Portano Achille ed Antiloco nell’accampamento. Agamennone seppellisce Achille con un magnifico funerale: e per fargli il sepolcro chiede una tregua a Priamo e lì fa i giochi funebri.[35] Poi convoca il consiglio: parla agli Argivi; all’unanimità si decide di consultare gli dèi sul da farsi. Mandano subito quelli che dovrebbero consultarli: e questi ricevono il responso che la fine della vicenda passa per la stirpe di Achille. Avendo i messaggeri riferito queste cose, Aiace dice: dal momento che il figlio di Achille, Neottolemo, è vivo, lui si deve far venire all’esercito, per vendicare suo padre: e alla fine ad Agamennone e a tutti il suo consiglio piace. Si dà l’incarico a Menelao: egli parte per Sciro per andare da Licomede suo nonno: gli ordina di lasciar partire suo nipote. E Licomede volentieri lo concesse agli Argivi. Quando finì la tregua, Agamennone fece uscire l’esercito, lo schiera, lo esorta. Di fronte avanzano i Troiani: si attacca battaglia. In prima fila si aggira Aiace, mentre sorge un gran clamore. Cadono molti da entrambe le parti. Alessandro, tenendo l’arco, molti ne uccide, trafigge il fianco scoperto di Aiace. Aiace ferito prese a inseguire Alessandro tra i nemici; e non smise, fin quando non lo abbatté. Estratta la freccia, muore subito anche lui. Il corpo di Alessandro viene riportato in città. Ucciso Alessandro, Diomede con grande determinazione fa impeto contro i nemici. I Frigi stanchi si rifugiano in città, ma Diomede financo in città li insegue. Agamennone conduce l’esercito intorno alla città, e tutta la notte assedia le mura tutt’intorno, e fa in modo che con veci alterne diligentemente svolgano i turni di guardia. Il giorno dopo Priamo seppellisce Alessandro nella città, ed Elena lo segue con grandi lamenti, perché è stata trattata da lui con onore. E Priamo ed Ecuba l’hanno considerata sempre come una figlia e accudita con cura, perché mai ella aveva disprezzato i Troiani e rimpianto gli Argivi.[36] Il giorno dopo Agamennone cominciò a schierare l’esercito davanti alla porta, e a sfidare a battaglia i Dardani. Priamo non reagiva, fortificava la città e stava tranquillo in attesa che sopravvenisse Pentesilea con le Amazzoni. Pentesilea poi arrivò, e fece uscire l’esercito dall’accampamento contro gli Argivi: scoppia una grande battaglia, si combatte per parecchi giorni. Gli Argivi sono compressi nel loro accampamento. A lei a stento si oppone Diomede: altrimenti avrebbe devastato l’accampamento, incendiato le navi degli Argivi, e sbaragliato tutto l’esercito. Sospesa la battaglia Agamennone trattiene i suoi nell’accampamento. Intanto Pentesilea si fa avanti e ogni giorno sbaraglia gli Argivi, li sfida alla guerra. Agamennone su decisione collegiale fortifica l’accampamento e lo difende, e non esce a battaglia, fin quando non arriva Menelao con Neottolemo. Neottolemo appena arriva riceve le armi di suo padre, e presso la tomba del padre si lamenta con grande clamore. Pentesilea schiera l’esercito come di consueto, e avanza fino all’accampamento degli Argivi. Avanza Neottolemo, schiera i Mirmidoni, e li fa uscire per lo scontro. Agamennone schiera l’esercito: entrambi si scontrano aspramente. Neottolemo fa strage: Pentesilea gli si fa contro, valorosamente gli si oppose da presso. Finché per parecchi giorni combatterono aspramente, entrambi uccisero molti nemici. Pentesilea ferisce Neottolemo. Egli, nonostante abbia subito quella dolorosa ferita, fa a pezzi Pentesilea condottiera delle Amazzoni. Con quest’impresa fa ripiegare in città tutto l’esercito dei Troiani. Gli Argivi con l’esercito circondano le mura, in modo che i Troiani non potessero uscire fuori. [37] Quando i Troiani videro ciò, Antenore, Polidamante, Enea vanno da Priamo. Gli dicono di convocare il consiglio per deliberare cosa fare. Priamo convoca il consiglio. Essi chiesero di poter parlare, e Priamo ordina loro di dire cosa propongano. Antenore ricorda che i principali difensori di Troia, Ettore e gli altri figli di Priamo, sono stati uccisi; che contro di loro ci sono ancora invece Agamennone, Menelao, Neottolemo, non meno forte di quanto lo fosse stato suo padre, Ulisse, Nestore, Diomede, Aiace locrese, e tanti altri di somma prudenza. Al contrario, i Troiani sono assediati e decimati. Consiglia di restituire piuttosto a questi Elena e le ricchezze trafugate da Alessandro, e di fare la pace. Dopo che dissero molte parole sull’opportunità di concordare la pace, si alza Amfimaco, il figlio di Priamo, giovane fortissimo: e con insulti aggredì Antenore e cominciò a rimbrottare quelli che si erano detti d’accordo con lui e il loro comportamento, e a proporre di fare piuttosto una sortita nell’accampamento greco, in modo da vincere o, se sconfitti, morire valorosamente per la patria. Quando finì, si alza Enea, e con miti parole lo contrasta, propone con insistenza di chiedere la pace ai Greci.[38] Quando fu finito il dibattito, Priamo si alza molto adirato, indirizza molte imprecazioni ad Antenore e Enea: essi sono stati promotori del desiderio di guerra e dell’invio di ambasciatori in Grecia, quando anche Antenore stesso quale ambasciatore è tornato, e ha riferito di essere stato trattato in modo vergognoso. E poi Enea, che con Alessandro ha rapito Elena e il bottino. Perciò egli dava per certo che non si potesse far la pace, e ordina che tutti siano pronti, quando egli ne avrà dato il segnale, a fare una sortita per le porte della città: per lui era ormai inevitabile o vincere o morire. Dopo aver detto ciò, esortandoli con molte parole, congedò il consiglio, portò Anfimaco nella reggia, e gli disse di temere da parte di quelli che avevano consigliato la pace che tradiscano la città, e che essi hanno molti del popolo che la pensano come loro: c’è bisogno che siano uccisi. Se questo accade, egli potrà difendere la patria e sconfiggere gli Argivi. E insieme lo prega di essergli fedele e obbediente, e pronto con le armi: e questo può avverarsi così: il giorno successivo, come al solito, egli avrebbe fatto il sacrificio, e li avrebbe invitati a cena. Allora Anfimaco, approvata la sua decisione, promette che la eseguirà e così si allontanò da lui.

 

7. Il tradimento e la distruzione di Troia.

Concludiamo l’esposizione brevemente commentata del testo di Darete, che accanto a Virgilio, Ovidio e Ditti è tra le fonti del mito troiano in Occidente durante la lunga parentesi medievale. Sappiamo che per disporre del testo omerico bisognerà attendere l’età umanistica e la migrazione nelle corti italiane del Quattrocento dei dotti bizantini a seguito del crollo dell’Impero Romano d’Oriente per mano turca. Ma solo nel tardo Settecento la nascente filologia farà giustizia della natura apocrifa delle opere di Darete e Ditti, che continuarono ad essere comunque conosciuti e studiati per tutto l’Ottocento e il primo Novecento, prima che un colpevole silenzio ne cancellasse la testimonianza. Siamo persuasi che i lettori di Asisnews abbiano apprezzato il nostro sforzo divulgativo, e li ringraziamo di questo.

 

   L’ultima sezione del testo di Darete si occupa del tradimento e della distruzione di Troia, già noti a quanti ricordano i contributi sull’ Impius Aeneas che sono alla base di queste ricerche. Ad essi rinviamo per i più specifici approfondimenti, sottolineando qui invece la vicenda di Polissena, crudelmente sacrificata all’ombra di Achille, e quella di Eleno e Andromaca che conosciamo già dal terzo libro dell’Eneide: il primo era stato consegnato a Neottolemo, il figlio di Achille, per aver impedito a Paride di fare scempio del suo cadavere (vedi in proposito il contributo Achille, amore e morte già pubblicato) e la donna come preda di guerra per l’uccisore di Ettore. Forse non tutti i lettori si spiegherebbero facilmente la benevolenza di Neottolemo per Eleno, che Enea trova re dell’Epiro nelle sue peregrinazioni prima di giungere naufrago a Cartagine.

 

[39] Lo stesso giorno si riuniscono di nascosto Antenore, Polidamante, Ucalegone, Anfidamante, Dolone. Dicono di meravigliarsi della pertinacia del re che, assediato, preferiva morire con la patria e i compagni piuttosto che fare la pace. Antenore dice di aver trovato una via d’uscita, utile ugualmente per sé e per loro, ma che bisognava vincolarsi con un giuramento. Tutti si vincolano con giuramento. Antenore, appena si vide vincolato dal giuramento, manda a dire ad Enea che si deve tradire la patria e badare ognuno a sé e ai suoi; dice che bisogna mandare qualcuno ad informare di ciò Agamennone, e a riferirgli che il re si era alzato in consiglio, irato perché egli gli aveva consigliato la pace, e che lui, Antenore, temeva che stesse tramando un colpo di stato. E così, tutti giurano: e subito mandano di nascosto Polidamante, che era uno di questi, da Agamennone. Polidamante arriva nell’accampamento dei Greci, si incontra con Agamennone, e gli disse dell’accordo intervenuto. [40] Agamennone di nascosto, di notte, convoca in consiglio tutti i duci, riferisce quelle stesse cose ed ordina che ognuno esprima la sua opinione. Si convenne all’unanimità di dar credito ai traditori. Ulisse e Nestore dissero di avere qualche timore ad affrontare questa incognita. Ma Neottolemo li contrasta. Mentre contendevano tra loro, si stabilì di farsi dire da Polidamante la parola d’ordine, e di servirsene per mezzo di Sinone in un colloquio con Enea, Anchise ed Antenore. Sinone parte per Troia. E poiché le chiavi della porta non ancora erano state date alle guardie di Anfimaco, data la parola d’ordine, Sinone si sentì fare i nomi di Enea, Anchise ed Antenore, e rassicurato lo riferisce ad Agamennone. Allora si decise all’unanimità di dar credito ai congiurati e di confermare con giuramento che si dava assicurazione ad Antenore, Enea, Ucalegone, Polidamante, Dolone e a tutti i loro genitori, figli, mogli e parenti consanguinei e amici che insieme con loro avessero giurato, che fosse loro lecito mantenere intatte tutte le loro cose e indenni i loro beni. Stretto e confermato con giuramento questo patto Polidamante propone che portino di notte l’esercito alla porta Scea, dove all’esterno è dipinta la testa di un cavallo. Dice che lì sono di presidio durante la notte Antenore con Anchise, che avrebbero aperto di notte la porta all’esercito e avrebbero fatto loro luce. Questo sarebbe stato il segnale dell’irruzione in città, perché sarebbero stati pronti lì quelli che li avrebbero condotti alla reggia. (41) La proposta fu accettata e concordata, e Polidamante torna in città, riferisce i fatti, dice ad Antenore e ad Enea e agli altri con i quali era stato stretto l’accordo di portare tutti i loro familiari alla porta Scea, aprire di notte la porta Scea, mostrare il lume, far entrare l’esercito. Antenore ed Enea di notte furono lì alla porta, accolsero Neottolemo, aprirono la porta all’esercito, mostrarono la fiaccola, chiesero che ci fosse la garanzia della fuga per sé e per tutti i loro cari. Neottolemo fa irruzione in città, fa strage dei Troiani, insegue Priamo, che sgozza davanti all’altare di Giove. Ecuba, mentre fugge con Polissena, si imbatte in Enea, e gli affidò Polissena, che Enea nascose a casa del padre Anchise. Andromaca e Cassandra si rifugiano nel tempio di Minerva. Per tutto il giorno e la notte gli Argivi non cessano di devastare e far bottino. [42] Quando fece giorno, Agamennone convoca tutti i duci nel tempio di Minerva: ringrazia gli dèi, loda l’esercito, ordina di portare in mezzo tutto il bottino, dicendo che lo avrebbe diviso alla pari con tutti. E contemporaneamente chiede all’esercito se voglia che ad Antenore ed Enea, con quegli altri che insieme con loro avevano tradito la patria, venga mantenuto ciò che in segreto essi gli avevano promesso. L’esercito tutto grida che vuole così; e allora, chiamatili tutti, gli restituì tutte le loro cose. Antenore chiede ad Agamennone di parlare. Agamennone lo concede. All’inizio Antenore loda i Greci, e insieme ricorda che Eleno e Cassandra avevano sempre sconsigliato al padre la guerra, che Eleno aveva detto che si desse sepoltura ad Achille, e disse che Eleno era esperto indovino. Agamennone con il favore del consiglio diede ad Eleno e a Cassandra la libertà. Eleno allora prese a pregare Agamennone per Ecuba ed Andromaca, ricordando che egli era stato sempre caro per loro. Agamennone riporta la questione al consiglio. Si decise di dar loro la libertà, di restituire tutte le loro cose, di dividere equamente il bottino; e inoltre di fare i sacrifici e sciogliere i voti, e decidere il giorno per la partenza. Quando però quel giorno arrivò, scoppiarono grandi tempeste e per alquanti giorni dovettero fermarsi lì. [43] Calcante allora vaticinò che non si erano soddisfatte le divinità infernali e a Neottolemo venne in mente che Polissena, a causa della quale suo padre era morto, non era stata trovata nella reggia. La chiede ad Agamennone, si lamenta, chiama in ballo l’esercito. Agamennone ordina che si chiami Antenore, gli ordina di cercarla e di condurgliela. Egli va da Enea, e indaga con gran cura; e perché gli Argivi partano il prima possibile, appena trova Polissena nascosta, la porta da Agamennone. Agamennone la consegna a Neottolemo, ed egli la sgozza presso la tomba del padre. Agamennone, irato con Enea perché aveva nascosto Polissena, gli ordina di uscire subito con i suoi dalla patria. Enea con tutte le sue navi parte, e lascia i suoi possedimenti ad Antenore. Dopo che partì Agamennone, Elena, dopo alcuni giorni, mesta piuttosto che lieta, viene riportata in patria con il suo Menelao. Eleno con Ecuba, Andromaca e Cassandra si dirige verso il Chersoneso. [44] Fin qui Darete Frigio tramandò la sua opera in caratteri greci. Infatti egli rimase lì a Troia con la fazione di Antenore. Si combatté per dieci anni, otto mesi e dodici giorni; presso Troia caddero tra gli Argivi, come indicano i bollettini quotidiani di guerra, che Darete Frigio accuratamente segnò, 806.000 uomini fino al tradimento della città. Dei Troiani, 278000 uomini. Enea partì con le navi con le quali venne in Grecia Alessandro, ventidue di numero. Lo seguirono uomini di ogni età, circa 3300. Seguirono Antenore duemilacinquecento uomini, Andromaca ed Eleno 1200. Fino a qui arriva la storia di Darete.

 

 

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