Cultura e Scuola  
Home Siti Consigliati Pubblicazioni Servizi

Dialetti e Tradizioni
 

 

 

Francesco Chiappinelli

L’Iliade e l’Odissea

di Dante

 

Sperando di fornire anche in questo un utile strumento d’indagine, forniamo ai nostri lettori l’elenco dei passi della Commedia che ritraggono personaggi del mito troiano. In alcuni casi, come rilevato nelle ricerche particolari, appare evidente che il divino poeta, che non conosceva direttamente Omero, ha usato come fonti opere tardolatine e medievali accanto a quelle classiche. Virgilio, Ovidio, Igino e Stazio sono naturalmente gli autori prediletti. Approfondimenti particolari vengono citati con l’eventuale link sul sito, mentre il nome del personaggio rinvia alle note di mitologia.

 

 

1. I Greci  

 

Achille

 

Indispensabile leggere preliminarmente gli amori (e le perversioni) di Achille e Achille, amore e morte già pubblicati su questo sito; gli altri passi citano l’eroe in maniera indiretta.

 

 

Inf. V 65

Ell'è Semiramìs, di cui si legge
che succedette a Nino e fu sua sposa:
tenne la terra che 'l Soldan corregge.                      60
L'altra è colei che s'ancise amorosa,
e ruppe fede al cener di Sicheo;
poi è Cleopatràs lussurïosa.                                63
Elena vedi, per cui tanto reo
tempo si volse, e vedi 'l grande Achille,
che con amore al fine combatteo.                            66
Vedi Parìs, Tristano»; e più di mille
ombre mostrommi e nominommi a dito,

ch'amor di nostra vita dipartille. 

 

Inf. XII 71

Poi mi tentò, e disse: «Quelli è Nesso,
che morì per la bella Deianira
e fé di sé la vendetta elli stesso.                         69
E quel di mezzo, ch'al petto si mira,
è il gran Chirón, il qual nodrì Achille;

quell'altro è Folo, che fu sì pien d'ira.  

 

Inferno, XXVI

Piangevisi entro l'arte per che, morta,
Deïdamìa ancor si duol d'Achille,

e del Palladio pena vi si porta».      

 

Purg. IX 34

Non altrimenti Achille si riscosse,
li occhi svegliati rivolgendo in giro
e non sappiendo là dove si fosse,                           36
quando la madre da Chirón a Schiro
trafuggò lui dormendo in le sue braccia,
là onde poi li Greci il dipartiro;                          39
che mi scoss'io, sì come da la faccia
mi fuggì 'l sonno, e diventa' ismorto,

come fa l'uom che, spaventato, agghiaccia. 

 

Purg. XXI 92

Stazio la gente ancor di là mi noma:
cantai di Tebe, e poi del grande Achille;

ma caddi in via con la seconda soma.

 

 

Agamennone

 

Paradiso V

Non prendan li mortali il voto a ciancia;
siate fedeli, e a ciò far non bieci,
come Ieptè a la sua prima mancia;                           66
cui più si convenia dicer 'Mal feci',
che, servando, far peggio; e così stolto
ritrovar puoi il gran duca de' Greci,                       69
onde pianse Efigènia il suo bel volto,
e fé pianger di sé i folli e i savi

ch'udir parlar di così fatto cólto.

 

 

Calcante

 

Inferno XX

Allor mi disse: «Quel che da la gota
porge la barba in su le spalle brune,
fu - quando Grecia fu di maschi vòta,                       108
sì ch'a pena rimaser per le cune -
augure, e diede 'l punto con Calcanta
in Aulide a tagliar la prima fune.                          111
Euripilo ebbe nome, e così 'l canta
l'alta mia tragedìa in alcun loco:

ben lo sai tu che la sai tutta quanta.         

 

 

Sinone

 

Inferno XXX

E io a lui: «Chi son li due tapini
che fumman come man bagnate 'l verno,
giacendo stretti a' tuoi destri confini?».                  93
«Qui li trovai - e poi volta non dierno - »,
rispuose, «quando piovvi in questo greppo,
e non credo che dieno in sempiterno.                        96
L'una è la falsa ch'accusò Gioseppo;
l'altr'è 'l falso Sinon greco di Troia:
per febbre aguta gittan tanto leppo».                       99
E l'un di lor, che si recò a noia
forse d'esser nomato sì oscuro,
col pugno li percosse l'epa croia.                          102
Quella sonò come fosse un tamburo;
e mastro Adamo li percosse il volto
col braccio suo, che non parve men duro,                    105
dicendo a lui: «Ancor che mi sia tolto
lo muover per le membra che son gravi,
ho io il braccio a tal mestiere sciolto».                   108
Ond'ei rispuose: «Quando tu andavi
al fuoco, non l'avei tu così presto;
ma sì e più l'avei quando coniavi».                         111
E l'idropico: «Tu di' ver di questo:
ma tu non fosti sì ver testimonio
là 've del ver fosti a Troia richesto».                     114
«S'io dissi falso, e tu falsasti il conio»,
disse Sinon; «e son qui per un fallo,
e tu per più ch'alcun altro demonio!».                      117
«Ricorditi, spergiuro, del cavallo»,
rispuose quel ch'avëa infiata l'epa;
«e sieti reo che tutto il mondo sallo!».                    120
«E te sia rea la sete onde ti crepa»,
disse 'l Greco, «la lingua, e l'acqua marcia
che 'l ventre innanzi a li occhi sì t'assiepa!».            123
Allora il monetier: «Così si squarcia
la bocca tua per tuo mal come suole;
ché, s'i' ho sete e omor mi rinfarcia,                      126
tu hai l'arsura e 'l capo che ti duole,
e per leccar lo specchio di Narcisso,

non vorresti a 'nvitar molte parole».

 

 

Ulisse e Diomede

 

Si consiglia la lettura preliminare della ricerca sulla morte di Ulisse e gli apologhi, utili a capire quale immagine il Medio Evo avesse elaborato dei due famosi eroi..

 

Inferno XXVI

«Maestro mio», rispuos'io, «per udirti
son io più certo; ma già m'era avviso
che così fosse, e già voleva dirti:                         51
chi è 'n quel foco che vien sì diviso
di sopra, che par surger de la pira
dov'Eteòcle col fratel fu miso?».                           54
Rispuose a me: «Là dentro si martira
Ulisse e Dïomede, e così insieme
a la vendetta vanno come a l'ira;                           57
e dentro da la lor fiamma si geme
l'agguato del caval che fé la porta
onde uscì de' Romani il gentil seme.                        60
Piangevisi entro l'arte per che, morta,
Deïdamìa ancor si duol d'Achille,
e del Palladio pena vi si porta».                           63
«S'ei posson dentro da quelle faville
parlar», diss'io, «maestro, assai ten priego
e ripriego, che 'l priego vaglia mille,                     66
che non mi facci de l'attender niego
fin che la fiamma cornuta qua vegna;
vedi che del disio ver' lei mi piego!».                     69
Ed elli a me: «La tua preghiera è degna
di molta loda, e io però l'accetto;
ma fa che la tua lingua si sostegna.                        72
Lascia parlare a me, ch'i' ho concetto
ciò che tu vuoi; ch'ei sarebbero schivi,
perch'e' fuor greci, forse del tuo detto».                  75
Poi che la fiamma fu venuta quivi
dove parve al mio duca tempo e loco,
in questa forma lui parlare audivi:                         78
«O voi che siete due dentro ad un foco,
s'io meritai di voi mentre ch'io vissi,
s'io meritai di voi assai o poco                            81
quando nel mondo li alti versi scrissi,
non vi movete; ma l'un di voi dica
dove, per lui, perduto a morir gissi».                      84
Lo maggior corno de la fiamma antica
cominciò a crollarsi mormorando,
pur come quella cui vento affatica;                         87
indi la cima qua e là menando,
come fosse la lingua che parlasse,
gittò voce di fuori, e disse: «Quando                       90
mi diparti' da Circe, che sottrasse
me più d'un anno là presso a Gaeta,
prima che sì Enëa la nomasse,                               93
né dolcezza di figlio, né la pieta
del vecchio padre, né 'l debito amore
lo qual dovea Penelopè far lieta,                           96
vincer potero dentro a me l'ardore
ch'i' ebbi a divenir del mondo esperto
e de li vizi umani e del valore;                            99
ma misi me per l'alto mare aperto
sol con un legno e con quella compagna
picciola da la qual non fui diserto.                        102
L'un lito e l'altro vidi infin la Spagna,
fin nel Morrocco, e l'isola d'i Sardi,
e l'altre che quel mare intorno bagna.                      105
Io e ' compagni eravam vecchi e tardi
quando venimmo a quella foce stretta
dov'Ercule segnò li suoi riguardi                           108
acciò che l'uom più oltre non si metta;
da la man destra mi lasciai Sibilia,
da l'altra già m'avea lasciata Setta.                       111
'O frati', dissi 'che per cento milia
perigli siete giunti a l'occidente,
a questa tanto picciola vigilia                             114
d'i nostri sensi ch'è del rimanente
non vogliate negar l'esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.                     117
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza'.                        120
Li miei compagni fec'io sì aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti;                        123
e volta nostra poppa nel mattino,
de' remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino.                        126
Tutte le stelle già de l'altro polo
vedea la notte, e 'l nostro tanto basso,
che non surgëa fuor del marin suolo.                        129
Cinque volte racceso e tante casso
lo lume era di sotto da la luna,
poi che 'ntrati eravam ne l'alto passo,                     132
quando n'apparve una montagna, bruna
per la distanza, e parvemi alta tanto
quanto veduta non avëa alcuna.                              135
Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;
ché de la nova terra un turbo nacque
e percosse del legno il primo canto.                        138
Tre volte il fé girar con tutte l'acque;
a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com'altrui piacque,                  141

infin che 'l mar fu sovra noi richiuso».

 

Purgatorio XIX 22

«Io son», cantava, «io son dolce serena,
che' marinari in mezzo mar dismago;
tanto son di piacere a sentir piena!                        21
Io volsi Ulisse del suo cammin vago
al canto mio; e qual meco s'ausa,

rado sen parte; sì tutto l'appago!». 

 

 

 

2. I Troiani

 

Va detto che le fonti medievali cui Dante fa spesso ricorso hanno generalmente nel descrivere eventi e personaggi del conflitto un evidente atteggiamento filotroiano, legato anche all’indiscusso modello virgiliano.

 

 

Anchise

 

Inf. I 73-5

Poeta fui, e cantai di quel giusto
figliuol d'Anchise che venne di Troia,

poi che 'l superbo Ilïón fu combusto. 

 

Par. XV 25-7

Sì pïa l'ombra d'Anchise si porse,
se fede merta nostra maggior musa,

quando in Eliso del figlio s'accorse.

 

Par. XIX 130-2

Vedrassi l'avarizia e la viltate
di quei che guarda l'isola del foco,

ove Anchise finì la lunga etate.

 

 

Enea

 

Assolutamente indispensabile la conoscenza della ricerca sullImpius Aeneas, e si capirà perché quel “giusto”di Inf. I 73suscitasse l’ira dei commentatori del poema contemporanei a Dante, mentre lasci incredibilmente indifferenti i critici moderni. Importante anche Inf. IV 22, mentre le altre sono citazioni indirette.

 

Inf. I,74

Poeta fui, e cantai di quel giusto
figliuol d'Anchise che venne di Troia,

poi che 'l superbo Ilïón fu combusto.

 
Inf. II,32
Ma io, perché venirvi? o chi 'l concede?
Io non Enëa, io non Paulo sono;

me degno a ciò né io né altri 'l crede.

 

Inf. IV 122

I' vidi Elettra con molti compagni,
tra' quai conobbi Ettòr ed Enea,

Cesare armato con li occhi grifagni.

 

Inf. XXVI,93 
                                        «Quando                       90
mi diparti' da Circe, che sottrasse
me più d'un anno là presso a Gaeta,
prima che sì Enëa la nomasse,                               93
né dolcezza di figlio, né la pieta
del vecchio padre, né 'l debito amore
lo qual dovea Penelopè far lieta,                           96
vincer potero dentro a me l'ardore
ch'i' ebbi a divenir del mondo esperto

e de li vizi umani e del valore”.

 

Pg. XVIII, 137(accidia punita)

Di retro a tutti dicean: «Prima fue
morta la gente a cui il mar s'aperse,
che vedesse Iordan le rede sue»;                            135
e: «Quella che l'affanno non sofferse
fino a la fine col figlio d'Anchise,

sé stessa a vita sanza gloria offerse».  

 

Par. XV 25-7

Sì pïa l'ombra d'Anchise si porse,
se fede merta nostra maggior musa,

quando in Eliso del figlio s'accorse.

 

 

Ettore

 

Inferno IV 122

I' vidi Eletra con molti compagni,
tra' quai conobbi Ettòr ed Enea,

Cesare armato con li occhi grifagni.

 

Paradiso, VI 68

Antandro e Simeonta, onde si mosse,
rivide e là dov'Ettore si cuba;

e mal per Tolomeo poscia si scosse.

 

 

Paride

 

Inferno V 67

Vedi Parìs, Tristano»; e più di mille
ombre mostrommi e nominommi a dito,

ch'amor di nostra vita dipartille.

 

 

Polidoro

 

Rinviamo alla ricerca sulle morti di Polidoro, raccontate in maniera sovente diversissima dalla vulgata euripideo-virgiliana cui Dante comunque si attiene.

 

Inferno XXX

E quando la fortuna volse in basso
l'altezza de' Troian che tutto ardiva,
sì che 'nsieme col regno il re fu casso,                    15
Ecuba trista, misera e cattiva,
poscia che vide Polissena morta,
e del suo Polidoro in su la riva                            18
del mar si fu la dolorosa accorta,
forsennata latrò sì come cane;
tanto il dolor le fé la mente torta.    
 
Purgatorio, XX
Indi accusiam col marito Saffira;
lodiam i calci ch'ebbe Elïodoro;
e in infamia tutto 'l monte gira                            114
Polinestòr ch'ancise Polidoro.
 

 

3. Le donne

 

Circe

 

Opportuna la lettura degli altri apologhi di Ulisse, nel passo che riguarda la maga, e della morte di Ulisse. Dante fa di lei in questo passo una citazione fugace e indiretta.

 

Inferno, XXVI 91

Lo maggior corno de la fiamma antica
cominciò a crollarsi mormorando,
pur come quella cui vento affatica;                         87
indi la cima qua e là menando,
come fosse la lingua che parlasse,
gittò voce di fuori, e disse: «Quando                       90
mi diparti' da Circe, che sottrasse
me più d'un anno là presso a Gaeta,
prima che sì Enëa la nomasse,                               93
né dolcezza di figlio, né la pieta
del vecchio padre, né 'l debito amore
lo qual dovea Penelopè far lieta,                           96
vincer potero dentro a me l'ardore
ch'i' ebbi a divenir del mondo esperto
e de li vizi umani e del valore;                            99
ma misi me per l'alto mare aperto
sol con un legno e con quella compagna

picciola da la qual non fui diserto.                       

 

 

Creusa

 

Del tutto marginale la citazione della moglie di Enea perita nell’incendio della città: va detto però che nei commenti medievali all’Eneide e a Dante non mancarono i rimproveri ad Enea per averla lasciata morire o addirittura uccisa a fini negromantici, come magistralmente ricorda sulla base di numerose testimonianze Giorgio Inglese in un articolo (“Una pagina di Guido delle Colonne…,La Cultura, XXV, 3, pagg. 403 sgg.)segnalatomi dalla professoressa Ilaria Tufano.

 

Par. IX 93-8

Folco mi disse quella gente a cui
fu noto il nome mio; e questo cielo
di me s'imprenta, com'io fe' di lui;                        
ché più non arse la figlia di Belo,
noiando e a Sicheo e a Creusa,

di me, infin che si convenne al pelo.

 

 

Elena

 

Inferno V 64

Ell'è Semiramìs, di cui si legge
che succedette a Nino e fu sua sposa:
tenne la terra che 'l Soldan corregge.                      60
L'altra è colei che s'ancise amorosa,
e ruppe fede al cener di Sicheo;
poi è Cleopatràs lussurïosa.                                63
Elena vedi, per cui tanto reo
tempo si volse, e vedi 'l grande Achille,
che con amore al fine combatteo.                            66

Vedi Parìs, Tristano»

 

 

Ifigenia

 

Paradiso V

Non prendan li mortali il voto a ciancia;
siate fedeli, e a ciò far non bieci,
come Ieptè a la sua prima mancia;                           66
cui più si convenia dicer 'Mal feci',
che, servando, far peggio; e così stolto
ritrovar puoi il gran duca de' Greci,                       69
onde pianse Efigènia il suo bel volto,
e fé pianger di sé i folli e i savi

ch'udir parlar di così fatto cólto.

 

 

Penelope

 

Vedi anche a questo proposito la morte di Ulisse e gli altri apologhi.

 

Lo maggior corno de la fiamma antica
cominciò a crollarsi mormorando,
pur come quella cui vento affatica;                         87
indi la cima qua e là menando,
come fosse la lingua che parlasse,
gittò voce di fuori, e disse: «Quando                       90
mi diparti' da Circe, che sottrasse
me più d'un anno là presso a Gaeta,
prima che sì Enëa la nomasse,                               93
né dolcezza di figlio, né la pieta
del vecchio padre, né 'l debito amore
lo qual dovea Penelopè far lieta,                           96
vincer potero dentro a me l'ardore
ch'i' ebbi a divenir del mondo esperto
e de li vizi umani e del valore;                            99
ma misi me per l'alto mare aperto
sol con un legno e con quella compagna

picciola da la qual non fui diserto. 

 

                      

Pentesilea

 

Si occupano largamente di questa affascinante regina le ricerche sugli amori di Achille e Viddi Camilla e la Pantasilea, presenti su questo sito.

 

Inferno IV 124

Vidi Cammilla e la Pantasilea;
da l'altra parte, vidi 'l re Latino

che con Lavina sua figlia sedea.

 

 

Ecuba e Polissena

 

Rileggi la parte finale dell’ Impius Aeneas e gli amori di Achille.

 

Inf. XXX (tra gli esempi di rabbiosi, nel girone dei falsari)

E quando la fortuna volse in basso
l'altezza de' Troian che tutto ardiva,
sì che 'nsieme col regno il re fu casso,                    15
Ecuba trista, misera e cattiva,
poscia che vide Polissena morta,
e del suo Polidoro in su la riva                            18
del mar si fu la dolorosa accorta,
forsennata latrò sì come cane;

tanto il dolor le fé la mente torta.   

  

 

4. Gli oggetti

 

 

Palladio

 

Il Palladio in età medievale ebbe fama ed eco profondissime e sarà oggetto di una prossima ricerca. Si rileggano intanto la parte conclusiva dell’Impius Aeneas e le note relative ad Aiace, Ulisse e Diomede.

 

Inferno XXVI

chi è 'n quel foco che vien sì diviso
di sopra, che par surger de la pira
dov'Eteòcle col fratel fu miso?».                           54
Rispuose a me: «Là dentro si martira
Ulisse e Dïomede, e così insieme
a la vendetta vanno come a l'ira;                           57
e dentro da la lor fiamma si geme
l'agguato del caval che fé la porta
onde uscì de' Romani il gentil seme.                        60
Piangevisi entro l'arte per che, morta,
Deïdamìa ancor si duol d'Achille,

e del Palladio pena vi si porta».     

                     

© Francesco Chiappinelli

Articolo pubblicato la prima volta il 10/10/2009 sul sito: www.culturaescuola.it

 

 

 

Copyright  ©2008-2009 - Cultura e Scuola - info@culturaescuola.it