Una mattina d'estate del
1997 andai a Totari, da mia nonna, con la bicicletta.
Mi vide Antonio,
un mio conoscente de posto, che era rimasto a piedi con il motorino, e mi chese
se potevo prestargli la mia bici, per andare a casa sua a prendere a miscela. Io
gli risposi di no, ma lui insistette e mi disse che potevo andare anche io, ma
dovava guidare lui. Ala fine gli diedi il passaggio, ma volli guidare io.
La bicicletta era
senza freni e la stradina era molto ripida e piena di curve. Siccome andavo
molto veloce, Antonio mi disse di rallentare, ma io risposi: «Non ti preoccupare!».
La prima curva la feci velocemente, ma alla seconda veniva una macchina e
l'impatto era inevitabile.
Antonio saltò ma io non abbandonai la mia bicicletta. Un attimo dopo la mia
bicicletta era a terra, Antonio nel fosso ed io ero mezzo svenuto dalla paura.
Scese l'autista
della macchina e vidi che era l'ingegnere Pisaturo. Subito gli chiesi cosa si
era fatta la macchina e se dovevo pagare il paraurti che si era rotto, ma lui
non pensava ai danni, chiamò il proprietario della casa più vicina e mi fece
portare un bicchiere d'acqua.
Si spaventarono
tutti quel giorno, specialmente io. Andai a casa e dopo qualche oretta tornai a
sorridere, ma la mia povera bicicletta era rotta, e non aveva neanche quattro
mesi.
Da quel giorno
andai più piano, con la bicicletta di mia sorellla, ma dopo un po' di tempo
cominciai a correre di nuovo.
Gianni Riccio
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