La janara
trasformata in SERPENTE
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Secondo antiche superstizioni, da queste parti anticamente vivevano le janare, donne comuni di giorno ma che la notte, dopo essersi cosparso il corpo con un olio speciale e aver pronunciato la formula: «Sotto l’acqua e sotto il vento, sotto il noce di Benevento», riuscivano a volare. Se si cospargevano sul corpo il sangue di rospo, oltre che a volare riuscivano anche a passare attraverso porte e muri delle case.
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Le janare erano malvage, infatti facevano delle fatture alle persone, soprattutto ai bambini che, a causa degli incantesimi, non mangiavano più, avevano sempre la febbre alta ed erano tristi e malinconici, come se qualcuno o qualcosa li minacciasse. La mattina, quando questi si svegliavano, si sentivano male, erano stanchi, frastornati e avevano il corpo pieno di lividi e macchie che le janare avevano fatto loro. Per farli guarire bisognava portarli dai fattucchieri, persone esperte di fatture, incantesimi e stregonerie, che facevano ai poveretti una contro maledizione che nella maggior parte dei casi li faceva guarire e rimettere in forza. Quando però la maledizione era mortale, i bambini morivano, nonostante l’intervento dei fattucchieri.
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Le janare alcune volte, di notte, rubavano dalle stalle degli animali, soprattutto cavalli, e se ne servivano per andare a compiere le loro malefatte. La mattina, prima che sorgesse il sole, li riportavano nelle stalle; allora i padroni, quando gli portavano il fieno da mangiare, li trovavano stanchi, sudati e con la criniera intrecciata, e questo era il segno di riconoscimento che lasciavano le janare.
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Secondo un’antica leggenda, raccontatami da mio nonno, una notte una di queste janare uscì a compiere le sue malefatte, ma commise l’errore di fare tardi e quindi il sole sorse prima che lei fosse rientrata. La janara, alla vista della luce del sole, si trasformò in una serpe. Quel giorno passarono vicino ad essa alcune donne che portavano della legna da ardere sul fuoco.
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Le prime del gruppo la videro ma non le fecero nulla, mentre l’ultima prese un bastone e colpì la serpe sulla coda, che in realtà era il dito mignolo della ianara. Dopo un po’ di tempo la janara si vendicò, facendo una fattura a quella donna, che per diversi anni soffrì di una grave malattia.Un giorno la janara domandò a una sua amica come stesse quella poveretta e seppe che stava molto male, ormai da parecchi anni. La strega, allora, le mandò a dire di preparare gli gnocchi.
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La povera donna, malata come era, li preparò. La janara si recò a casa sua e pranzò da lei e le chiese se si ricordava di quando l’aveva colpita sulla coda: infatti disse che quella serpe era lei e che per colpa sua aveva perso un dito. La donna rispose che lei non sapeva che la serpe fosse la janara, e per questo venne perdonata e guarì in fretta.
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Sisto Maio, IIIA
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La CAVALLA
bianca
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Quando mia madre era una bambina abitava con i genitori, i quali avevano una cavalla bianca di razza Golden che viveva delle esperienze terrificanti.
Ogni sera mio nonno la strigliava fino a rendere lucido il suo mantello, pettinava con molta cura la sua criniera ed anche la sua lunga coda. Tuttavia la mattina seguente notava, con grande stupore e meraviglia, che la cavalla era madida di sudore ed affaticata; inoltre, sia sulla criniera che sulla coda vi erano numerose trecce e queste erano così strette che mio nonno era costretto a tagliarle, perché non riusciva a disfarle.
Il giorno dopo la situazione si presentava analoga. Quegli episodi si ripeterono per più di due mesi e, certo, chi fosse l’artefice di quel lavoro mio nonno lo supponeva!
I sospetti cadevano su qualche strega, perché tale opera poteva essere compiuta solo da qualcuno che possedesse arti magiche: quindi qualche janara, (così vengono chiamate da noi le streghe) si era incapricciata della bellissima cavalla di mio nonno e, di notte, la cavalcava e, forse per abbellirla, le intrecciava la criniera e la coda.
Questo avvenimento aveva talmente turbato mia madre che la notte faceva fatica ad addormentarsi, ed ancora oggi mi racconta la storia che tanto l’impressionò da piccola.
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Maria Civitillo, IIIA
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Janare sotto il Noce di Benevento
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