Allla notizia della morte in guerra di suo figlio
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La
disperazione
e le grida e i pianti
di UNA MADRE
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Mia nonna
mi ha raccontato che suo fratello, Michele Melillo, è stato ucciso durante la
Prima Guerra mondiale. Un giorno del mese di maggio, di cui lei non ricorda
l’anno, arrivò una lettera con la notizia che suo fratello era morto e che il
suo corpo sarebbe stato sepolto nel cimitero di Firenze.
Solo dopo 12 anni le ossa di mio zio arrivarono a Gioia,
assieme a quelle di altri soldati morti in guerra, dentro delle |
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cassettine che
oggi sono sepolte nel cimitero del nostro paese.
Mia nonna mi ha raccontato anche la disperazione e le grida e i pianti di sua
madre, afflitta per aver perso un figlio per una guerra che non serviva a niente,
se non a creare inimicizia tra i popoli.
Mia nonna allora aveva 10 anni, ma i suoi ricordi sono ancora vivi: il fratello
che la portava sulle spalle e scherzava con lei, la mamma che si disperava per
la sua morte... Queste, per lei, sono schegge di ricordi di una vita ormai
finita.
Ancora, mi ha raccontato che, quando c’è stata l’inaugurazione del monumento ai
caduti a Gioia Sannitica, alla mia bisnonna Matilde fu fatta una sorpresa: venne
prelevata, senza spiegazioni, dalla sua casa in frazione Caselle e portata nella
piazza di Gioia, dove le fu concesso l’onore di inaugurare il monumento ai
caduti in guerra.
L’onore fu concesso a lei come segno di gratitudine verso una povera madre che
aveva perso il figlio mentre combatteva per la Patria.
Guido Santagata,
III A |
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Per ascoltare la
musica con le cuffie |
Il bambino
nel
CARRO ARMATO |
In tempo
di guerra, nel periodo che c’erano gli Americani a Gioia Sannitica, un bambino
di circa 11-12 anni aveva fatto amicizia con un bravo soldato americano.
Ogni giorno il bambino stava sempre con l’americano,
questo gli faceva fare tante cose che lui non aveva mai fatto, tipo ascoltare la
musica con le cuffie, ma la cosa più bella era che ascoltava la musica dentro un
vero carro armato americano.
Un giorno, mentre il bambino stava bello tranquillo a
sentire la musica, un altro americano, che non sapeva di lui, lo vide nel carro
armato e allora gli tirò tanti schiaffi.
Il bambino corse dal suo amico americano e gli disse che il
suo collega lo aveva riempito di botte; allora l’americano bravo andò su tutte
le furie, prese il collega gli diede talmente tanti pugni che l’altro non si
poteva neanche difendere, tanto era diventato furioso.
Così, fino a quando gli americani sono partiti, il bambino,
che in realtà è il mio zio Antonio Perillo, non ebbe più nessun disturbo quando
ascoltava la musica nel carro armato.
Salvatore Perillo,
III A
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Era stato deportato in Germania |
Tornato dalla
guerra non
era più lo stesso |
Mio zio Giuseppe
durante la Seconda Guerra mondiale
era solo un
bambino. Suo padre lasciò lui e gli altri tre
fratellini perché fu reclutato per combattere
nei Balcani e, purtroppo, in seguito, fu
deportato in Germania.
Durante la sua assenza, quando a Gioia arrivarono i
Tedeschi, i familiari di mio zio, per sottrarsi alla loro barbarie,
decisero di fuggire e attraverso le
montagne raggiunsero il paese di Cusano Mutri;
lì sarebbero stati più al sicuro perché
il paese non poteva essere raggiunto dai
tedeschi, a causa della distruzione di un ponte che costituiva la strada
normale per giungervi.
Zio Giuseppe e la sua famiglia - che si erano portati
dietro quello che per loro era più importante - furono ospitati da una famiglia
del luogo e vi rimasero fin a quando a Gioia non arrivarono quelli che
cacciarono via i Tedeschi, cioè gli Alleati. Tornati a Gioia trovarono la desolazione più totale,
niente bestiame, abitazioni distrutte e, soprattutto, niente da mangiare.
Affamati, trovarono appoggio - soprattutto alimentare - negli Americani.
Zio
Giuseppe e gli altri bambini del paese facevano la “fila” durante le ore in cui
gli Americani mangiavano e quelli, inteneriti soprattutto dai più piccoli,
dividevano volentieri il vitto con loro. Zio Giuseppe
racconta che aveva imparato anche
qualche parola nella loro lingua e una volta aveva
chiesto “kant” (candy): le caramelle.
A causa di questa guerra i miei zii e tanti altri loro
coetanei hanno conosciuto la fame, la paura, la devastazione, il dolore per la
perdita di parenti… ma la cosa più brutta, per mio
zio Giuseppe, è stato ciò che è avvenuto “dopo”.
Quando suo padre è ritornato
dalla prigionia non
era più lo stesso:
i patimenti della deportazione lo avevano cambiato, era sempre nervoso e,
addirittura, era insensibile a quello che i suoi bambini avevano passato durante
la sua assenza.
Zio Giuseppe dice che lui e i suoi fratelli hanno trovato
il coraggio di perdonarlo per tante cose che per anni ha fatto loro, e perché,
fino a novanta anni, non ha fatto altro che
raccontare di quella deportazione che
lo aveva fatto soffrire al punto da indurirgli il cuore anche nei confronti
delle persone a lui più care, come la moglie e i figli.
Ilaria Landino,
IIIB
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