Giornali Scolastici Online
HomeElenco Giornali►Altre Pubblicazioni Servizi
Pagina: Indietro 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 Avanti

Maggio 2007Noi & Voi Prot@gonisti N. 12Pag. 17

Allla notizia della morte in guerra di suo figlio

La disperazione

e le grida e i pianti

di UNA MADRE

Mia nonna mi ha raccontato che suo fratello, Michele Melillo, è stato ucciso durante la Prima Guerra mondiale. Un giorno del mese di maggio, di cui lei non ricorda l’anno, arrivò una lettera con la notizia che suo fratello era morto e che il suo corpo sarebbe stato sepolto nel cimitero di Firenze.

  Solo dopo 12 anni le ossa di mio zio arrivarono a Gioia, assieme a quelle di altri soldati morti in guerra, dentro delle

cassettine che oggi sono sepolte nel cimitero del nostro paese.  

Mia nonna mi ha raccontato anche la disperazione e le grida e i pianti di sua madre, afflitta per aver perso un figlio per una guerra che non serviva a niente, se non a creare inimicizia tra i popoli.

Mia nonna allora aveva 10 anni, ma i suoi ricordi sono ancora vivi: il fratello che la portava sulle spalle e scherzava con lei, la mamma che si disperava per la sua morte... Queste, per lei, sono schegge di ricordi di una vita ormai finita.

  Ancora, mi ha raccontato che, quando c’è stata l’inaugurazione del monumento ai caduti a Gioia Sannitica, alla mia bisnonna Matilde fu fatta una sorpresa: venne prelevata, senza spiegazioni, dalla sua casa in frazione Caselle e portata nella piazza di Gioia, dove le fu concesso l’onore di inaugurare il monumento ai caduti in guerra.

  L’onore fu concesso a lei come segno di gratitudine verso una  povera madre che aveva perso il figlio mentre combatteva per la Patria.

Guido Santagata, III A

Per ascoltare la musica con le cuffie

Il bambino

nel CARRO ARMATO

In tempo di guerra, nel periodo che c’erano gli Americani a Gioia Sannitica, un bambino di circa 11-12 anni aveva fatto amicizia con un bravo soldato americano.

  Ogni giorno il bambino stava sempre con l’americano, questo gli faceva fare tante cose che lui non aveva mai fatto, tipo ascoltare la musica con le cuffie, ma la cosa più bella era che ascoltava la musica dentro un vero carro armato americano.

  Un giorno, mentre il bambino stava bello tranquillo a sentire la musica, un altro americano, che non sapeva di lui, lo vide nel carro armato e allora gli tirò tanti schiaffi.

Il bambino corse dal suo amico americano e gli disse che il suo collega lo aveva riempito di botte; allora l’americano bravo andò su tutte le furie, prese il collega gli diede talmente tanti pugni che l’altro non si poteva neanche difendere, tanto era diventato furioso.

  Così, fino a quando gli americani sono partiti, il bambino, che in realtà è il mio zio Antonio Perillo, non ebbe più nessun disturbo quando ascoltava la musica nel carro armato.

Salvatore Perillo, III A

 

Era stato deportato in Germania

Tornato dalla guerra non era più lo stesso

Mio zio Giuseppe durante la Seconda Guerra mondiale era solo un bambino. Suo padre lasciò lui e gli altri tre fratellini perché fu reclutato per combattere nei Balcani e, purtroppo, in seguito, fu deportato in Germania.

  Durante la sua assenza, quando a Gioia arrivarono i Tedeschi, i familiari di mio zio, per sottrarsi alla loro barbarie, decisero di fuggire e attraverso le montagne raggiunsero il paese di Cusano Mutri; lì sarebbero stati più al sicuro perché il paese non poteva essere raggiunto dai tedeschi, a causa della distruzione di un ponte che costituiva  la strada normale per giungervi.

  Zio Giuseppe e la sua famiglia - che si erano portati dietro quello che per loro era più importante - furono ospitati da una famiglia del luogo e vi rimasero fin a quando a Gioia non arrivarono quelli che cacciarono via i Tedeschi, cioè gli Alleati. Tornati a Gioia trovarono la desolazione più totale, niente bestiame, abitazioni distrutte e, soprattutto, niente da mangiare. Affamati, trovarono appoggio - soprattutto alimentare - negli Americani.

  Zio Giuseppe e gli altri bambini del paese facevano la “fila” durante le ore in cui gli Americani mangiavano e quelli, inteneriti soprattutto dai più piccoli, dividevano volentieri il vitto con loro. Zio Giuseppe racconta che aveva imparato anche qualche parola nella loro lingua e una volta aveva chiesto “kant” (candy): le caramelle.

  A causa di questa guerra i miei zii e tanti altri loro coetanei hanno conosciuto la fame, la paura, la devastazione, il dolore per la perdita di parenti… ma la cosa più brutta, per mio zio Giuseppe, è stato ciò che è avvenuto “dopo”.

  Quando suo padre è ritornato dalla prigionia non era più lo stesso: i patimenti della deportazione lo avevano cambiato, era sempre nervoso e, addirittura, era insensibile a quello che i suoi bambini avevano passato durante la sua assenza.

  Zio Giuseppe dice che lui e i suoi fratelli hanno trovato il coraggio di perdonarlo per tante cose che per anni ha fatto loro, e perché, fino a novanta anni, non ha fatto altro che raccontare di quella deportazione che lo aveva fatto soffrire al punto da indurirgli il cuore anche nei confronti delle persone a lui più care, come la moglie e i figli.

Ilaria Landino, IIIB

Pagina: Indietro 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 Avanti

 

Giornali Scolastici Online - A cura e su progetto del prof. Vittorio Civitilloinfo@giornaliscolastici.it