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  Pag. 18 Noi & Voi Prot@gonisti N. 12Maggio 2007

La nave, carica di soldati italiani prigionieri dei tedeschi, affondata da un siluro inglese

1944 - Michele Gaetano, naufrago

nel Mare Egeo, deportato in Germania

Dopo l’8 settembre 1943 migliaia di soldati italiani del fronte greco che rifiutarono di consegnare le armi alle forze della Wermacht furono trucidati dai tedeschi: circa 10.000 solo a Cefalonia. Altre migliaia furono uccisi dopo che si erano arresi. Altri ancora, sempre a migliaia, morirono in mare mentre venivano deportati. Fra i prigionieri scampati nell’affondamento di due navi, nel 1944, il nostro concittadino Michele Gaetano, successivamente deportato in campi di concentramento in Croazia e Germania.

 

II Guerra mondiale: un pezzetto di

storia raccontata da un protagonista

L’8 settembre 1943, alle ore 18,30, il generale Eisenhower comunica da Algeri la notizia che il governo italiano si è arreso incondizionatamente agli Alleati. Alle 19,45 un analogo annuncio viene fatto alla radio italiana dal maresciallo Pietro Badoglio. Immediatamente scatta la reazione dei Tedeschi contro le truppe italiane, viste ormai come nemiche. Prendendo spunto dalla visita del Presidente della Repubblica italiana a Cefalonia, il 25 Aprile 2007, Noi della III A abbiamo raccolto le memorie del nostro concittadino novantenne Michele Gaetano, che durante la II Guerra mondiale, proprio sul fronte greco, ha vissuto avventure dalle quali si potrebbe trarre un film.

Dove ti trovavi l’8 settembre del 1943, quando è stata diffusa la notizia dell’armistizio?

  «A Creta. Stavo lì dal 1942. La sera che si è saputo che Badoglio aveva firmato l’armistizio l’ordine era: "Consegnate le armi a chi vi viene contro". Eravamo molti soldati italiani. L’isola era occupata metà dagli italiani, metà dai tedeschi. Quando i tedeschi seppero dell’armistizio ci considerarono nemici e ci ordinarono di consegnare le armi. Dove stavo io tutti gli italiani si sono arresi, solo un ragazzo di San Leucio si rifiutò. Io lo afferrai e gli dissi: "Sei solo, ti ammazzano!" ma lui mi respinse e disse: "Vai via! L’anima mia non si vende!". Comunque, i tedeschi non lo ammazzarono».

Dove siete stati portati, come prigionieri?

  «Fino al 1944 siamo rimasti a Creta. Poi fummo imbarcati. Dopo due giorni che eravamo fermi nel porto di Candia, una mattina, verso le 6, sentii che la nave partiva. Ero sicuro che andavamo a fondo perché 15 giorni prima un’altra nave, con 6.000 prigionieri italiani, era stata affondata dagli Inglesi. Erano morti tutti. Si era salvato solo un capitano, che poi era stato ucciso dai tedeschi. La nostra nave era partita da un paio d’ore e mentre il tenente cappellano, sopra, stava dicendo la messa, un sergente maggiore di Genova, che conoscevo, mi disse: "Vogliamo mangiare un poco?". Io portavo dei viveri; presi una scatoletta dallo zaino e mentre lui la stava aprendo il siluro arrivò e bucò la nave da una parte all’altra. Non vidi più niente, né scatolette né altro. Un maresciallo della marina scese nelle stive e urlò: "Ragazzi, chi sa nuotare si buttasse a mare. È arrivata l’acqua vicino alle caldaie, la nave sta per scoppiare!". La nave, invece, scoppiò molte ore dopo, ma si sentiva il rumore dell’acqua che entrava nella nave, i morti erano tanti e intanto i tedeschi cominciarono a buttare bombe a mano nelle stive, come confetti».

 

Volevano ucciderci per avere maggiori possibilità di salvarsi, e anche per vendicarsi, perché quando era stata silurata l’altra nave i tedeschi avevano i salvagente e gli italiani no e quindi gli italiani, per cercare di salvarsi, avevano tolto i salvagente ai tedeschi. Adesso la facevano pagare a noi.»

E tu, che facesti?

  «Un soldato di Torino mi disse di farmi coraggio e ci buttammo in acqua. Il mare era pieno di uomini. Per tenermi a galla prima afferrai dei bidoni di ferro vuoti, però mi battevano nei fianchi: mi facevano galleggiare, però mi davano fastidio. Me ne liberai. C’erano delle borracce, ne feci un fascio, me le legai addosso, ma mi ostacolavano, buttai pure quelle. Io so nuotare bene, se no dovevo morire per forza. Per ore sono stato a galla con le mie forze, poi quel sergente maggiore di Genova cominciò a gridarmi: "Aggrappati ai cadaveri, aggrappati ai cadaveri!" Io non ci avevo fatto caso, vidi che galleggiavano e il primo al quale mi aggrappai mi accorsi che mi faceva galleggiare. Erano morti la mattina, il mare era pieno, erano gonfi, sembravano palloni nell’acqua. Il mare faceva tempesta, quando c’è tempesta vengono subito a galla i morti, così mi hanno detto, io non lo so... L’acqua è proprio una brutta cosa. I cadaveri mi hanno salvato. Quando è arrivata la barca e i Greci mi hanno preso stava facendo notte. Ero in acqua dalla mattina, speranze non ne avevo più, ormai erano minuti, erano minuti, ero allo stremo delle forze. Eppure, mentre stavo in acqua, non ho mai invocato un santo. Dicevo solo: "Mamma, aiutami! Mamma, aiutami!". Quando non avevo più nessuna speranza, sono arrivati i Greci e mi hanno tirato su una barca. Tiravano su anche i morti. Di 4.500 che ci eravamo imbarcati ci salvammo in 400. Il mare è una brutta cosa... Ne sono morti tanti, nel mare. Tutti quelli che non si sa dove sono morti, che non si sono trovati, e si dice che sono dispersi, stanno tutti in fondo al mare».

Come mai sei stato salvato proprio dai Greci?

  «Quando fu colpita la nave, i Greci domandarono al comandante tedesco se aveva piacere che loro andassero a salvare gli italiani a mare. I tedeschi credevano che fossimo tutti morti e diedero il permesso, così i Greci hanno salvato 400 italiani, tra i

 

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Giornali Scolastici Online - A cura e su progetto del prof. Vittorio Civitilloinfo@giornaliscolastici.it