Noi ragazzi delle contrade San
Felice e Cedrangolo, anche quest’anno ci siamo dati da fare senza risparmio di
forze, per conservare la tradizione dei fuochi di San Giuseppe.
La cosa più
importante, naturalmente, era la raccolta della legna da ardere. Un bel po’
l’andammo a raccogliere nel bosco io, mio fratello Enrico e i miei amici
Vincenzo e Debhora Scarano, Vincenzo e Domenico Riccio; dell’altra ce la diede
un vicino di casa. Dopo averne raccolta e trasportata una buona quantità, nel
pomeriggio preparammo la catasta per il fuoco, davanti al ristorante “Il Borgo
Antico”, mettendo i rametti più sottili sotto e quelli più grossi sopra, in modo
che potessero accendersi facilmente.
Quando finimmo di fare la catasta
pensammo che senza qualcosa da mangiare la festa non sarebbe andata tanto bene,
quindi andammo a casa a cambiarci, poi scendemmo in piazza e comprammo
coca-cola, chinotti, aranciate, panini, salame, mortadella, formaggio e anche
qualche dolce.
Finiti i
preparativi, sembrava che il pomeriggio non passasse mai. Finalmente scese il
buio e cominciò a radunarsi molta gente. A questo punto accendemmo il fuoco.
Tutti eravamo contenti. Ogni tanto aggiungevamo della legna, per tenere alta la
fiamma, e intanto cominciammo a mangiare e a bere le provviste preparate per
l’occasione. Un mio cugino, che si chiama Giuseppe, portò un dolce molto buono,
invece io portai anche delle zeppole, preparate da mamma e da zia Caterina.
Alle 23:30 la legna
era ormai finita e il fuoco si era spento. Noi eravamo stanchi di correre,
ridere e scherzare, ma avevamo passato una serata bellissima ed eravamo tutti
allegri e felici!
Michele Melillo
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Una sera il
nonno mi ha raccontato di un’usanza proprio particolare. Quando lui era ragazzo,
la vigilia di Natale si faceva il fuoco utilizzando un grosso tronco come
capofuoco, cosicché questo potesse durare parecchie sere.
Anzi, era necessario farlo durare per
un’intera settimana, cosicché, la sera dell’ultimo dell’anno e poi a capodanno,
il tizzone residuo si potesse utilizzare per un rito molto particolare. Il
tizzone, infatti, veniva portato intorno al terreno di proprietà, così da
tracciare un immaginario cerchio protettivo.
Tutto ciò diveva servire a tenere lontana la volpe dai propri
terreni e, quindi, dai propri polli!
Maria Civitillo
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