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  Pag. 13Scrittori in ErbaN. 1   Maggio 1999

Insieme ad Orlando alla ricerca di Angelica...

(segue da pag.12)

  Ora io avevo due grossi pesi sulle spalle, ma mi feci anima e coraggio e disperato mi misi in cammino. Dopo un’ora arrivammo finalmente a Maxitipazza.

 A dir la verità un po’ di paura ce l’avevo, ma mi rassegnai, poiché sapevo che la vita del mio migliore amico e di Angelica erano nelle mie mani.

  Siccome il villaggio  era circondato da mura, bussai all’enorme portone. La prima volta non aprì nessuno, così bussai una seconda, ma niente da fare; al terzo toc-toc sentii una voce che mi disse: “Chi è là?”. “Sono un povero cavaliere in difficoltà che ha bisogno di cure per i suoi amici svenuti. Presto, presto, apritemi!”. “Tu sei un pazzo?”. “No.” “Allora non puoi entrare poichè entrano solo i pazzi”. “Ma i miei amici anche se sono svenuti sono pazzi”.  “Ok: entra”.

  Entrando vidi che le strade erano deserte: una città fantasma, ma poi il cancelliere contò fino a tre: “Uno, due, tre” e bam, bum, bem, dalle case sbucarono fuori un mucchio di gente: chi faceva le pernacchie, chi urlava, chi cantava, chi ballava; ma nonostante tutto quel chiasso non dimenticai il mio importante compito, dal quale dipendeva

 

 

 la vita di ben due persone che erano a me care.

  Innanzi tutto dovevo portare Angelica dal dottore per curare il morso del serpente; così chiesi ad uno di quei ceffi: “Dove si trova il medico?” E questo: “Cia cia-pu-cia cia-pu” e ad un tratto accompagnò questa strana musichetta con degli schiaffi e dei calci che faceva risuonare su di me e che facevano abbastanza male, e continuò così per un bel pezzo e io, che non sapevo assolutamente cosa fare, gli dicevo: “Oh, la vo’ finì; oh, la vo’ fini!”. Ma poi, stanco di subire quel dolore io feci: Boom-Boom: un destro e poi un sinistro che lo fecero svenire, e accussì era sistemato.

  E visto che dottori in giro non ce n’erano, cercai di curare da me la ferita di Angelica, provocatale dal serpente. Dopo molti patimenti riuscii a completare l’intervento, impedendo cioè che il veleno la uccidesse.

  Ora dovevamo solo rubare la corona del re, ma con Angelica ed Orlando sulle spalle non potevo certamente riuscire nell’impresa, così li lasciai in una vecchia stalla e mi avviai al castello.

  Il portone del castello era completamente aperto e sentivo benissimo gli enormi frastuomi provenienti dal suo interno; e sentivo dire: iuppì-iuppà-dabadabadu e tante altre parole senza significato.

Nel frattempo pensavo a come fare per riuscire a prendere la corona del re. Forse potevo chiedergliela. Noo, sarebbe stato un gesto troppo sciocco. Però avrei potuto, con un salto, saltare sul lampadario e precipitarmi sulla testa del re, prendendo la corona. “Sì,  sì, così farò”, dissi tra me.

  Entrai e mi preparai a saltare; presi la rincorsa e banf! Un salto altissimo e così su fino al lampadario, mentre quegli stupidi ceffi gridavano: “O, vagliò: fall’ancora, facci verè. E iammu ià, zi’ Nicola bellu, ià”.

(segue a pag.14)


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Giornali Scolastici Online - A cura e su progetto del prof. Vittorio Civitilloinfo@giornaliscolastici.it