la vita di ben due persone che erano a me care.
Innanzi tutto
dovevo portare Angelica dal dottore per curare il morso del serpente; così
chiesi ad uno di quei ceffi: “Dove si trova il medico?” E questo: “Cia
cia-pu-cia cia-pu” e ad un tratto accompagnò questa strana musichetta con degli
schiaffi e dei calci che faceva risuonare su di me e che facevano abbastanza
male, e continuò così per un bel pezzo e io, che non sapevo assolutamente cosa
fare, gli dicevo:
“Oh, la vo’ finì; oh, la vo’ fini!”.
Ma poi, stanco di subire quel dolore io feci: Boom-Boom: un destro e poi un
sinistro che lo fecero svenire, e
accussì
era sistemato.
E visto che
dottori in giro non ce n’erano, cercai di curare da me la ferita di Angelica,
provocatale dal serpente. Dopo molti patimenti riuscii a completare l’intervento,
impedendo cioè che il veleno la uccidesse.
Ora dovevamo
solo rubare la corona del re, ma con Angelica ed Orlando sulle spalle non potevo
certamente riuscire nell’impresa, così li lasciai in una vecchia stalla e mi
avviai al castello.
Il portone del
castello era completamente aperto e sentivo benissimo gli enormi frastuomi
provenienti dal suo interno; e sentivo dire: iuppì-iuppà-dabadabadu e tante
altre parole senza significato.
Nel frattempo
pensavo a come fare per riuscire a prendere la corona del re. Forse potevo
chiedergliela. Noo, sarebbe stato un gesto troppo sciocco. Però avrei potuto,
con un salto, saltare sul lampadario e precipitarmi sulla testa del re,
prendendo la corona. “Sì, sì, così farò”, dissi tra me.
Entrai e mi
preparai a saltare; presi la rincorsa e banf! Un salto altissimo e così su fino
al lampadario, mentre quegli stupidi ceffi gridavano:
“O, vagliò: fall’ancora, facci verè. E iammu ià, zi’ Nicola bellu, ià”.
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