Ma lui diceva:
“Non la lascerò mai”. Orlando allora, infuriato, gli disse:
“Carogna, vile cane! Ah, chestu è?”.
A quel punto
diventò rosso, rosso, rosso e la sua bocca incominciò a bruciare, bruciare e
finì col cacciare fiamme di fuoco che colpirono il cavaliere.
Allora quel
cavaliere, di nome Medoro, cadde a terra trascinandosi anche Angelica e lei: “Ti
prego, lascialo stare, non l’uccidere: lui è il mio amore. Se muore lui muoio
anch’io”. “Ma io ti amo”, disse Orlando.
Allontanandoci
dal luogo dove giocavano Angelica e Medoro, vidi che Orlando barcollava e
ruotava gli occhi. Allora gli chiesi: “Cos’hai Orlando?”.
“Chi è Orlando?
Chi è colui? Certamente non sono io! Il mio nome è Furor!”, e me lo disse con
tal forza da far crollare gli alberi sul nostro cammino.
Allora scese da cavallo,
prese la spada e tagliò tutti gli alberi in un solo colpo, per liberare la
strada.
Ora sapevo che
la sua ragione era scappata via. Ma, guardando bene, vidi che essa stava ancora
accanto a lui. Io allora cercavo di riprernderla, tendendole agguati di qua, di
là, ma non ci riuscivo.
D’un tratto la
caduta di un albero la fece schizzare via e sentii dire: “Addio, ragazzi. Vado
sulla Luna in cerca di fortuna”. Io a sentirmi dire questo, le dissi: ”Puzzi
schiattà!”.
Comunque, voglio
bene ad Orlando, ed è per questo che decisi anch’io di partire per la Luna, in
cerca della sua ragione.
Avevo un
Ippogrifo, per cui problemi di trasporto non ne avevo, ora dovevo solo partire;
allora fischiai e in un momento
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