Era una domenica d’estate e mio
padre accompagnò me e mia sorella Caterina dai miei cugini, che abitavano ad
Alife.
Essi abitavano non nel
centro di Alife ma in periferia e sotto la loro casa c’erano tante piccole
stradine, dove nessuna macchina passava. Questi viottolini erano fiancheggiati
da alberi ed erano fatti di tante piccole pietruzze.
All’inizio giocammo a pallavolo e
formammo due squadrette: da una parte eravamo schierate io e mia cugina Arianna
e dall’altra Caterina e mio cugino Vincenzo.
Ma poi ci stancammo di giocare
con la palla e, visto che mia cugina aveva un motorino, lasciammo Vincenzo e
Caterina e cominciammo a girare, soprattutto a correre a tutta birra col
motorino che io stessa guidavo, e saltavamo buchi e buconi, facendo salti da
campioni, divertendoci scatenatamente, come due pazzerelle.
Preciso le parole buchi e
buconi, perchè dovete sapere che noi i giri li facevamo per quei viottoli di cui
vi ho già parlato.
Comunque, camminando
camminando, anzi girovagabondando, ci ritrovammo di fronte ad un orrendo stagno,
che conteneva in grande abbondanza viscide rane e viscidi girini, con acqua
orribilmente sporca. Ma, nonostante tutto, ci venne l’idea pazza di bagnarci la
punta dei piedi, e così ci scalzammo.
Unico inconveniente era un
muretto abbastanza alto e pericolante, con sotto lo stagno. Trascurando il
pericolo, ci appoggiammo ad esso.
Visto che non arrivavo all’acqua,
io mi spinsi un po’ giù. Ad un tratto incominciai a scivolare e, presa dal
panico, afferrai i piedi di mia cugina, cercando così di aggrapparmi a qualcosa;
ma anch’essa incominciò a scivolare, e scivolando gridavamo come pazze.
Toccammo quindi con i nostri
piedi quell’acqua tanto sporca, ma il peggio doveva ancora venire.
Infatti le rane saltavano da
una parte all’altra sui nostri vestiti, che intanto si erano completamente
bagnati. |